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BOLLETTINO
DELLA
IN NAPOLI
VOLUME XXXV (SERIE IL, VOL. XV).
ANNO XXXVII
1923
Con 6 tavole
( Pubblicato il 10 gennaio 1924)
NAPOLI
Officina .. Cromotipografica « Aldina »
Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2-4
1924
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INDICE
ATTI
(MEMORIE E NOTE)
Gargano C. — Le alterazioni prodotte nel fegato della Lacerta
muralis Laur. dal Cysticercus dithyridium . . pag. 3
Fedele M. — Simmetria ed unità dinamica nelle catene di Salpa „ 20
Palombi A. — Diagnosi di nuove specie di Policladi della R. N.
" Liguria „ . „ 33
Del Regno W. — L'effetto fotoelettrico . . . . . „ 38
Serao C. — Ricerche su la reazione tra cloruro di benzile e fenolo. „ 86
Biondi G. — Osservazioni su alcune bombe vesuviane. . „ 92
Caroli E. — Sulla presenza di Penilia schtnackeri Richard nel
golfo di Napoli ........ „ 96
Carrelli À. — Sull'assorbimento di fluorescenza . . . . „ 100
Gargano C. — L'origine nucleolare dei centrosomi negli oociti di
cagna . . „ 106
Zirpolo G. — Sulla genesi delle colonie primaverili del Zoobotryon
pellucidum Ehrbg . „ 113
Zirpolo G. — Ricerche sulla simbiosi fra Zooxantelle e Phyllirhoè
bucephala Peron et Leseur . . . . . ,,129
Lo Giudice P. — Sulla salinità delle acque di superficie dello
stretto di Messina durante l' inverno 1921-22 . . . ,, 139
Golosi G. — A proposito di Heteroglyphaea paronae Colosi . ,, 141
Salfi M. — Ricerche sull’epitelio del mesointestino di Locusta
danica, L . ,,143
Fedele M. Identità fra Dolchinia mirabilis Korotneff e Do-
liolum Chimi Neumann . „ 152
Marcucci E. — La morfologia del bacino dei Sauropsidi. Il pube
degli Uccelli . „ 159
Colosi G. — Alcune specie discusse di Misidacei . . . . 191
Salfi M. — Stilla geonemia delle specie del genere Chrysochraon
Fisch. ( Orthoptera-Locustidae ) . . . . . ,,196
Gargano C. — Documenti istologici per una ipotetica terapia
degli, epiteliomi cutanei . „ 199
Gargano C. — Alterazioni indotte dal radio sulla tiroide normale „ 208
Gargano C. — Considerazioni sulla morfologia delle cellule col¬
tivate in vitro rispetto a quella di elementi normalmente
liberi in tessuti patologici . „ 221
Zirpolo G. — Studi sulla bioluminescenza batterica ... „ 245
BOLLETTINO
DELLA
SOCIETÀ DEI NATURALISTI
BEI NATURALISTI
VOLUME XXXV (SERIE II., VOL. XV).
ANNO XXXVII
1923
Con 6 tavole
( Pubblicato il 10 gennaio 1924)
NAPOLI
Officina Cromotipografica » Aldina »
Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2-4
1923
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0A.
PtfYMOUTH.
Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli
ATTI
(MEMORIE E NOTE)
Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti.
Le alterazioni prodotte nel fegato della La¬
certa muralis Laur. dal Cysticercus di-
thyrìdium.
Memoria
del socio
Claudio Gargano
(Tornata del 9 Luglio 1922)
Generalità.
Pochi argomenti sono stati oggetto di così numerose osser¬
vazioni da parte di clinici e di patologi quanto quello delle ci¬
sti, che si verificano nel fegato dell'uomo e degli animali dome¬
stici per opera dello stato vescicolare di un cestode. E così i
patologi, coadiuvati dai cultori di zoologia hanno potuto rico¬
struire la biologia di questi elminti, ed hanno chiarito non po¬
chi punti dottrinali e pratici di estremo interesse.
Se è ben noto che un cestode svolga per lo più la sua e-
sistenza cistica e sessuale in due differenti organismi, non si
può dire del tutto chiarita l'interpetrazione che oggi si deve, a -
vere di essi, e credo sia preferibile accettare l'ipotesi di Lemar,
Lang ed Emery, che essi sieno da considerarsi come una c o-
lonia lineare o strobila; la formazione delle proglot¬
tidi sarebbe una generazione agama per gemmazione, e lo sco-
lice come nutrice, generatrice agama di proglottidi sessuate. Le
proglottidi dei cestodi non sono quindi equivalenti ai metameri
perchè hanno sviluppo postero-anteriore, laddove i metameri
presentano invece uno sviluppo antero-posteriore.
Per quanto numerosi, come si è detto, sieno i lavori sui
cestodi parassiti dell'uomo e dei principali animali domestici,
pur essi si limitano ad assodare la biologia del verme, il modo
— 4 -
di diagnosi, le possibili complicanze e la terapia; pochi e fram¬
mentari lavori trattano invece delle alterazioni indotte nel fegato,
nella cellula epatica, per opera di tali elminti.
Nei sauri in genere e nei lacerti di in ispecie sono stati in
varia epoca descritti nel fegato e nel peritoneo cisticerchi di te¬
nie non sempre bene identificate; ed anche noi abbiamo potuto
osservare parecchi esemplari di Lacerta tnuralis Laur., che pre¬
sentavano nel fegato, nell'intestino e nell'ovidutto numerose ci¬
sti di cestodi.
Pur essendo state raccolte le Lucertole in vari anni (giac¬
ché non sempre si trovano in tal guisa ammalate) è notevole
che il verme vescicolare abbia sempre i medesimi caratteri, tali da
fornirci la certezza, che ci troviamo di fronte ad un unico pa¬
rassita.
Nel fegato i cestodi in parola, contrariamente a quanto af¬
fermano i ricercatori, che ci hanno preceduto, sono sempre nu¬
merosissimi, ma per quanto sieno numerosi, non sembra che
l'organo enficiato presenti sensibili aumenti di volume e di peso.
Le cisti si svolgono distruggendo il tessuto epatico in un tem¬
po relativamente breve, in guisa che la massa glandolare utile
per la vita dell’animale in alcuni esemplari è ridotta moltissimo.
Tale riduzione epatica non induce alterazioni sulla vita del¬
l’animale; le lucertole ospitatrici di cisticerchi sono o appaiono
le più floride , confermandosi quanto ha osservato Mingazzini
(’893) in contrapposizione a Metchnikoff, che cioè il parassita e
l'ospite non rappresentano due forze opposte contrastantesi l'una
verso l'altra, ma forse, che in certo modo si trovano in armonia
fra di loro, avendosi un adattamento reciproco dell'ospite e del
parassita, perchè la vita dell'uno e quella dell'altro si compiano
nel modo più facile per entrambi.
Cenni storici sul parassita della Lacerta tnuralis Laur.
Per quanto sieno antiche le prime osservazioni di cisticer¬
chi rinvenuti nelle lucertole , pure non è cosi agevole assodare
la posizione sistematica di essi, giacché, paragonando ciò che è
stato descritto, con quanto a noi è capitato di constatare, non si
— 5 —
ha la certezza, che il parassita delle nostre lucertole abbia la mede¬
sima posizione sistematica di quelli studiati da Leuckart (’879-86)
e da von Listow (’878).
Rudolphi ('819) è il primo a descrivere nelle lucertole due
elminti molto dubbi, le cui caratteristiche sarebbero state la
presenza di due ventose simmetriche e di un corpo appiattito.
Per le affinità grandi con lo scolice di giovani tenie e per la
simmetria delie ventose, include i parassiti in parola nel genere
Dithvridium. Notò altresi che gli individui ospiti della Lacerta
viridis erano più grandi di quelli ospiti della Lacerta muralis .
Valenciennes ('843) [in Moniez] trovò anche egli nella la¬
certa verde una larva di cestode, che è probabilmente la specie
indicata da Rudolphi. Gli individui in gran numero liberi nel
peritoneo, avevano mm, 1 a 3 di lunghezza e svaginati misura¬
vano un centimetro. L'estremità cefalica è fornita di quattro ven¬
tose senza uncini ed il loro corpo è traversato da quattro vasi.
L'estremità posteriore, simile alla vescicola caudale dei cestodi,
è riempita da una massa di apparenza cellulosa più densa, rite¬
nuta lo sbocco di organi riproduttori.
Dujardin (’845) a proposito degli elminti studiati nelle la¬
certe da Rudolphi e da Valenciennes, dice (pag. 632), che: " on
pouvait étre couduit a penser que si d'une parte des articles
isolés des cestoìdes peuvent continuer a vivre isolément dans
l'intestin pour devenir des Proglottis, d'autre part , la téte e la
partie antérièure peuveut se développer isolément en dehors de
l'intestin sans acquérir d'organes génitaux „.
Gurlt (’845) rinviene incistidato nel fegato dei lacertidi
{Lacerta muralis , viridis, agilis , ecc.) lo stesso parassita stu¬
diato da Valenciennes, e lo chiama Dubium cestoideum.
Diesing (’850) trovando che il genere Dithyridiam Rudol-
phi “nomea incongruum mutandum erat „, lo chiamò: Piestocy-
stis e non dice le ragioni; e di questo genere nè dà la seguente
descrizione: “ Animalicula solitaria. Caput subtetragonum inerme ,
retractile, acetabulis quatuor angularibus aut lateralibus oppo -
sitis. Rostrellum nullum. Os terminale. Corpus brevissimum ,
vescica caudali oblonga depressa , ut plurimum transverse ru¬
gosa, transparente. Multiplicatio per vescicae caudalis prolifi-
cationem exter nam, prole solitaria demum a vescica segregata „ .
I Piestocystis di Diesing, a differenza dei Dithyridiam di
Rudolphi sono parassiti oltre che dei rettili, anche dei mammiferi,
degli uccelli e degli anfibi: 11 Iti Mammalium , Avium et Arnphi-
blorum cavo pectoris et abdotninis folliculo membranaceo soll-
tariae inclusa demum quandoque libera „.
Alcuni cisticerchi della Lacerta crocea sono stati da Leu-
ckart ('879-86) ritenuti lo stato cistico della taenla lltterata
della volpe, specialmente sul carattere della grandezza delle ven¬
tose e sull'assenza di uncini.
Marchi ('874) , avendo occasione di trovare nel peritoneo
d t\Y Ascalabotes mauritanlcus alcuni cisticerchi, ritorna su que¬
sto interessante argomento di elmintologia. I cestodi, studiati da
Marchi, vivevano in particolari cisti avventizie, fatte da cuticola
resistente, senza struttura cellulare e di trasparenza quasi vitrea
e di natura chitinosa : erano armati , avendo quattro serie di
uncini (in complesso circa settanta). Il nome di questo parassita
è: Cystlcercus ascalabotldis Marchi.
von Listow (’878) , in un esemplare di Lacerta agllls , ha
rinvenuto più di 100 Cystlcercus dlthyridlum , di cui due soli
incistidati nel fegato e 'gli altri liberi nella cavità peritoneale.
Sono cisticerchi di una tenia inerme, mancando gli uncini, e pre¬
sentano un accenno di segmentazione nel corpo , che con una
lieve curva si ritira nella parte posteriore.
Le ventose sono per lo meno la metà di quelle della Taenla
megalops , che è l'unica tenia inerme dei nostri uccelli indigeni:
per questa ragione, e principalmente sul carattere delle ventose
e sul fatto di essere una tenia inerme, secondo von Listow, il
Cystlcercus dlthyridlum non può divenire una tenia nè di uc¬
celli, nè di batraci, nè di rettili, nè di pesci. Solo nei mammi¬
feri si troverebbero delle tenie inermi, con ventose simili a quelle
del Cystlcercus dlthyridlum e propriamente nel topo campa-
gnuolo.
Moniez ('880) non crede che il Cystlcercus dlthyridlum
possa divenire una Tenia nel topo campagnuolo. Le lacerte sono
divorate dai Falconidi, ed in questi uccelli il cisticerco si svi¬
luppa: la Taenla periata dei Falchi costituisce lo stato definitivo
del Cystlcercus dlthyridlum . Nota FA. come questo cisticerco
descriva una curva molto semplice nella sua vescicola, come ab-
— 7
bia molti corpuscoli calcarei e come un certo numero di essi
passi ad animali perfetti. Manca di formazioni anulari o di bulbo,
il che T allontanerebbe dal Milina descritta da van Beneden :
mancano altresì organi o prodotti genitali. L'estremità del corpo
presenta al contrario un tessuto lasco, non racchiudente quasi
elementi cellulari, ed invece in un punto opposto all' orifizio di
invaginazione vi è un foro molto stretto, abbastanza profondo,
che farebbe credere ad un germogliamento analogo a quello dei
Staphylocystis. Non crede l'A., per i caratteri morfologici, di
poter ravvicinare il Cysticercus dithyridiam al gruppo dei Pie _
stocystis, nè pensa che il cisticerco in parola possa divenire la
Taenia litterata della volpe.
Cretj ('887) studiò alcuni cisticerchi rinvenuti da Monticelli
nell' Ascalabotes mauritanicus.
Essi misuravano mm. 0,80 di lunghezza e mm. 0,77 di lar¬
ghezza, e l'altro mm. 0,50 di larghezza e mm. 0,56 d'altezza, di
colore bianco sporco o gialletto, appiattiti; evidente era in essi
l'invaginazione. Le ventose, robustissime o grandi relativamente
alla piccolezza del cisticerco, misuravano mm. 0,17 di lunghezza
e mm. 0,11 di larghezza.
Erano inermi e privi di vescicola caudale: numerose le pli¬
che della cuticola , numerosi i corpuscoli calcarei , dei quali è
infarcito il loro corpo. Circa la posizione sistematica di questo
essere, l'A. pensa che non sapendo a quale forma di tenia rife¬
rirlo, e potendo d'altra parte essere confusa con i Piestocystis ,
crede opportuno chiamarlo Cysticercus megabothrius .
Crety (’887) trovò poi nel YElafis quadr itine atus liberi nel
peritoneo dei cisticerchi di grandezza variabile : alcuni misura¬
vano mm. 4 di lunghezza e mm. 3 di larghezza: altri erano
lunghi mm. 2 e larghi mm. 3 : infine ve ne erano di quelli an¬
cor più piccoli. Nella parte anteriore l' invaginazione appariva
evidente e molti presentavano rughe trasversali ; la parte poste¬
riore del corpo era in alcuni appuntita, in altri globosa e tesa
pel liquido accumulato nel suo interno. La parte anteriore del
cisticerco aveva un colore bianco sporco, la posteriore era tra¬
sparente. Le ventose erano piccole e misuravano in lunghezza
mm. 0,12, in larghezza mm. 0,6. Osservati a luce riflessa, i cor¬
puscoli calcarei si mostravano numerosissimi, specialmente nella
8 —
invaginazione, anzi l'opacità di questa parte del cisticerco si deve
alla gran copia dei medesimi.
Per i caratteri anzidetti l'A. identifica il cisticerco in parola
col Dithyridium lacertae , studiato da Valenciennes : sarebbe il
medesimo Cysticercus dithyridium , trovato da Moniez n tWEla-
fis, Coronella e Lacerta viridis.
Questo cisticerco, come quello descritto nell ’Ascalabotes mau-
ritanicus, rappresenta la forma larvale di due distinte specie di
tenie, che raggiungono il loro completo sviluppo probabilmente
nell' intestino di uccelli rapaci.
Parona '(886), esaminando la superficie esterna delle tona¬
che intestinali di un giovine Coluber viridiflavus Lacép., le rin¬
venne cosparse da molte piccolissime cisti appena visibili, le
quali erano vescicole di cisticerco. I caratteri del parassita sono
i seguenti : " Cisticercoide a vescicola rotondeggiante : armato da
quattro serie di uncini, dei quali i più piccoli stanno nel cerchio
interno e misurano 0,018 mm.; quelli del secondo giro tnisura-
rano 0,059 mm., quelli del terzo 0,033, e quelli del quarto 0,069
mm. „. L'A., basandosi sul carattere dei quattro giri di uncini a
dimensioni differenti, lo include nella categoria dei cisticercoidi
di Leuckart, ed indica questa forma col nome di Cysticercus
acanthotetra , e lo trova differente dall'altro scoperto da Marchi
nel Gecho.
In un accurato lavoro "sul parassitismo Mingazzini (’893)
dà un largo contributo alla conoscenza dei cisticerchi dei Sauri.
Egli, sia nel Coluber viridiflavus, che nel Seps chalcides ha
avuto occasione di riscontrare un cisticerco, abbastanza dissimile
dal Cysticercus acanthotetra Parona (che è invece simile al Cy¬
sticercus ascalabotidis Marchi dell' Ascalabotes mauritanicus ),
ed egli lo denomina Cysticercus rostratus.
Il Cysticercus rostratus ha il corpo distinto in due parti, una
anteriore, più ristretta, su cui poggiano ventose e rostrello, ed
una posteriore di forma ovale, ripiena di corpuscoli calcarei e
portante nell' estremo posteriore la vescicola escretrice, da cui
partono, ai due lati del corpo, quattro canali escretori. Il rostrello
è notevolmente lungo e ricoperto da uncini in tutta la sua su¬
perficie: le ventose, poste agli spicoli della parte anteriore, sono
quattro, robuste ed eguali. Questo cisticercoide, quando è rac-
— 9
chiuso nella cisti, la sua porzione cefalica, essendo invaginata
nel corpo, non è visibile, soltanto scorgonsi per trasparenza le
quattro ventose ed il lungo rostrello con i suoi uncini.
La seconda specie, studiata da Mingazzini, è stata trovata
nel perinisio dei muscoli della parete del corpo del Seps chal-
cides , e cioè il Cysticercus dithyridium Crety, che è il parassita
dtWElafis quadrilineatus e della Lacerta agilis e vivipera.
Infine nell' Ascalabotes mauritanicus e nel Coluber viridi-
flavus, ha avuto occasione di riscontrare il Cysticercus megabo-
thrius Crety. Ci dice VA. che tale parassita vive a spese della
sostanza epatica distrutta, e che la cisti è formata dalla parte
protettiva di natura fibrillare.
Sonsino (’897) riferisce su di una ricerca del Dr. Tarozzi,
cioè della presenza nel peritoneo parietale e viscerale dt\V Asca¬
labotes mauritanicus , di 9 cisti, della grandezza di una capocchia
di spillo e contenenti un cisticercoide con rostrello a campana,
provvisto di numerose serie (sino a 14) di uncini a disco basale
allargato.
Il fondo delhinvaginazione cefalica era inerme. L' A. lo ri¬
tiene una specie nuova, differendo dal Cysticercoides megabo-
thrius Crety, che è inerme, e dal Cysticercoides trovato da
Marchi.
Ricerche personali*
Nella Lacerta muralis Laur. non è al certo possibile iden¬
tificare il cisticerco servendosi di tagli microtomici di pezzi di
fegato (figg. 7, 8 e 9) previamente fissati, perchè oltre, che nelle
cisti il parassita trovasi invaginato, le sezioni di esso danno
aspetti così vari, che sarebbe disagevole stabilire con questo
metodo la sua posizione sistematica. È necessario quindi isolare
a fresco le cisti dal tessuto epatico (fig. 2) il che si ottiene con
le dissezioni agli aghi e mercè Tausilio del microscopio bino¬
culare del Greenough a visione stereoscopica: in tal modo si
avranno libere le cisti, che basterà aprire per mettere in libertà
il parassita.
Per preparati stabili (figg. 3 e 4) i cisticerchi vanno trat¬
tati con i procedimenti generali usati per il plankton , cioè nar¬
cosi, fissazione, colorazione con alcool a 70° leggermente tinto in
10 —
rosa con poche gocce di paracarminio, disidratazione graduale,
diafanizzazione, e chiusura in balsamo del Canadà nelle lastrine
cellette adoperate per la batteriologia.
Volendo invece svolgere il verme, i piccoli cisticerchi si
pongono con la ordinaria soluzione fisiologica su di una la¬
strina portaoggetti e si coprono con una lastrina coprioggetti,
esercitando su di essa una modica pressione con un pic¬
colo peso (fig. 5), e poi il tutto si immerge in una soluzione
acquosa di cocaina: consecutiva fissazione in alcool a 70° o in so¬
luzione debole di formolo, colorazione, disidratazione, ecc. Il ci-
sticerco così ottenuto (figg. 6 e 7) ha una lunghezza media di
[i 1045 ; è rivestito da una cuticola chitinosa, ha capo sferoidale
privo di rostrello e di uncini, quattro ventose (diametro ia 117,
assenza di corpuscoli calcarei e presenza all'estremo posteriore
di una vescicola escretrice, dalla quale partono quattro canali
esecretori.
Per queste caratteristiche sembra avvicinarsi al Cysticercus
dithyridium studiato da Leuckart ('879-86) e da von Listow ('878).
Quale sarebbe la tenia alla quale questo cisticerco dà sviluppo?
Non è così agevole la risposta. Potrebbe trattarsi sia della tae¬
nia litterata della volpe, o della taenia periata dei falchi, o della
taenia megalops degli uccelli o di una tenia parassita del topo
campagnuolo.
Il trovare in una medesima cisti numerosi cisticerchi non
credo sia argomento sufficiente per dichiarare, che essi sieno
stati generati in epoche differenti; infatti in un medesimo esem¬
plare sono tutti allo stesso stadio di sviluppo. L' aumento del
liquido endocistico, le alterazioni del tessuto epatico e la distru¬
zione di parte delle pareti cistiche portano alla genesi di cisti
più grandi, contenenti un numero maggiore di cisticerchi (figg.
9 e 10).
Fegato normale.
Il fegato dei rettili è una glandola tubulosa composta, ra¬
cemosa, nella quale bisogna considerare l'elemento glandolare,
gli acini epatici ) e due sistemi di vasi, i vasi sanguigni ed i
canali biliari.
— 11 —
Gli acini epatici (fig. 11) di aspetto sferoidale, di dimensioni
maggiori nei sauri, anziché negli altri rettili, risultano di cellule
di forma cubica o cilindrica, fornite di citoplasma granuloso e
di un grosso nucleo vescicolare sito nella parte distale dell'ele-
mento, carico di sostanza cromatica e contenente nel suo interno
uno o due nucleoli.
Le granulazioni citoplasmatiche variano a seconda 1' acino
si trova in attività secernente o in stato di relativo riposo : si
hanno quindi acini con cellule molto granulose ed altri con cel¬
lule più chiare, trasparenti, ed anche nel medesimo acino alcune
cellule possono essere più granulose rispetto alle altre. In ge¬
nerale l'ectoplasma della cellula è quello, che ha maggior nu¬
mero di tali granulazioni.
È da considerarsi nel fegato dei rettili anche un altro tipo
di elementi, i cromatoblasti. I cromatoblasti in citolo¬
gia sono stati argomento di numerose discussioni, sia rispetto al
loro significato, che alla loro funzione : sembra sieno di origine
mesodermica, forniti di prolungamenti citoplasmatici e dotati di
movimenti ameboidi molto attivi, che permettono ad essi di spo¬
starsi da un punto all'altro.
Secondo gli studi di Eberth e Bunge ('895) si troverebbero
attorno ad i cromatoblasti dei cespugli di terminazioni nervose
provenienti da fibrille in comunicazione con nervi volontari. La
disposizione di queste cellule è ancora più oscura del loro va¬
lore morfologico: per lo più si trovano aggruppate in alcuni
acini, e, nelle sezioni di fegato colorate all' ematossilina ferrica
di Heidenhain, appaiono giallo scure.
Non è improbabile che nella funzione complessa del fegato
spieghino un'azione importante : certa cosa è, che nelle altera¬
zioni indotte nel parenchima epatico dal Cysticercus dithyridiam ,
i cromatoblasti sono i primi a risentire questa funesta in¬
fluenza, degenerando.
La bile circola in vasi capillari senza parete, in vasi vir¬
tuali, che circondano gli acini epatici, in modo, che, fissando un
pezzo di fegato in funzione, i cennati vasi sono resi evidenti
dall'ectoplasma granuloso delle cellule glandolari.
Notevole è la circolazione sanguigna arteriosa e venosa; ì
— 12 —
vasellini costituiscono una rete così abbondante, che in molti
punti hanno un predominio sull' elemento glandolare.
Parete cistica.
Tutti gli aa. sono di accordo neH'ammettere che nella cisti
di qualsiasi cestode bisogna considerare un contenuto ed un
contenente.
Il contenuto è rappresentato dal parassita o dai parassiti e
dal liquido cistico, il contenente è la parete cistica, che nella sua
parte interna è originata dal cisticerco e nella parte esterna da
proliferazione del connettivo interstiziale epatico; l'involucro e-
sterno prende anche il nome di ectocisti o di cisti avventizia.
È evidente che la presenza del cestode nel fegato induca
un processo flogistico cronico debolissimo, si abbia cioè prolife¬
razione degli elementi connettivali, che circondano la cisti ; ma
questo connettivo proliferato, che costituisce la ectocisti, ha scarsi
contatti col tessuto epatico circostante, in guisa, che è facile di¬
staccarlo da esso.
Convengo con Dévé ('902-'903) che non vi è un vero pia¬
no di clivaggio fra ectocisti e fegato, ma nella Lacerta tnuralis
le connessioni connettivali sono molto esili.
Mingazzini ('898) nella cisti considera oltre ciò, che è di
origine del cisticerco, anche uno strato di sostanza, che ha il
significato di nutrimento fornito dall'ospite al parassita, nutri¬
mento convenientemente elaborato in forma di liquido ricca¬
mente albuminoso, che passa attraverso i porocanali della cuti¬
cola e quindi sta in rapporto con questa. Questa sostanza, che
si colora variamente, cambiando la sua composizione chimica,
sarebbe attraversata da grossi vasi sanguigni, dalla cui trasu¬
dazione essa sarebbe originata.
Mingazzini crede quindi, che le divergenze finora esistenti fra
gli aa. sui diversi strati, che entrano a comporre la cuticola dei ce-
stodi e lo stato di muta da essi ammesso nei cisticerchi, si deb¬
bano interpretare semplicemente come dovute al fatto, che essi
non abbiano tenuto in considerazione lo strato di sostanza nutri¬
tiva, che avvolge questi parassiti, ed abbiano attribuito alla cuti-
— 13 —
cola del parassita tanto la formazione propria di questo, quanto
l'alimento ad esso fornito dall'ospite.
Nella Lacerta muralis , dove sono numerosissime le cisti di
Cysticercus dithyridiam , il modo di formazione di esse sembra
sia sempre il medesimo per quanto riguarda la endocisti e la
ectocisti.
Non si rinviene un vero strato parenchimatoso, come nel-
rechinococco del fegato dell'uomo, nè una membrana proligera,
che possa generare delle ciste figlie, nè mai nell'interno ci è
stato dato di constatare vescicole libere di primo e secondo or¬
dine. Si notano aderenti alla parete interna della cisti delle grosse
cellule, di apparenza endotelioide, piatte, con nucleo lenticolare,
che in molti punti costituiscono come uno strato, laddove al¬
cune di esse sono invece libere nel liquido cistico. Non è pos¬
sibile dire se la messa in libertà di questi elementi sia origina¬
ta dai fissativi, ovvero rappresenti un fatto normale.
La cisti propria del parassita è costituita da uno strato di
tessuto amorfo, di apparenza chitinoso (anche per le reazioni
microchimiche), al quale segue la ectocisti, connettivale, di ele¬
menti prevalentemente fibrillari, con rari fibroblasti.
Quando una o più cisti (per l'aumento considerevole del
liquido in esse contenuto e per consecutiva distruzione del tes¬
suto epatico) vengono a contatto, si ha usura della parete divi¬
soria e genesi di cisti più grandi, contenenti un numero mag¬
giore di cisticerchi.
Alterazioni epatiche.
Le alterazioni del fegato della Lacerta muralis per opera
del Cysticercus dithyridium, riguardano la cellula epatica, i vasi
sanguigni ed i condotti biliari, ma le maggiori alterazioni sono
in rapporto all'elemento epatico.
Come si è accennato, pochi aa. hanno trattato questo capi¬
tolo di Anatomia patologica. Chauffard (in Dupley e Reclus), a
proposito dell'echinococco dell'uomo si limita a poche parole:
" Attorno ad una cisti idatidea viva o morta il parenchima epa¬
tico non è soltanto soggetto a modificazioni irritative , che si
traducono colla produzione di una membrana fibrosa, spesso
— 14 —
molto densa: esso si atrofizza anche per compressione , le cel¬
lule ghiandolari si fanno appiattite e fusiformi, i grandi vasi
porto-biliari resistono di più ed è così che finiscono per tro¬
varsi applicati sulla faccia esterna della cisti. Se questo arriva
fino alla superficie dell’organo, vi provoca periepatite adesiva e
vedremo come spesso questa complicanza riesca salutare. „
Dévé (’902-'903) ha constatato delle lesioni di ordine in¬
fiammatorio: glicogenesi (che ha del resto ritrovato nei tumori
idatidei adulti del bue), cellule giganti, infiltrazioni leucocitarie,
eosinofilia locale. Ma abbastanza rapidamente per lo meno nel¬
l'uomo, il processo irritativo perde ogni carattere di acuzie e non
si vede che il tessuto di sclerosi di spessore variabile, che si è
sostituito a poco a poco all'elemento glandolare ricalcato, spinto
e finalmente distrutto. Questo tessuto fibroso forma spesso una
membrana sottile, specie di velo traslucido, a traverso il quale
si nota il tessuto epatico sottostante; è, qualche volta nelle vec¬
chie cisti, vitreo ed anche carico di sali calcarei al contatto della
membrana idatidea.
Il parenchima epatico presenta pure nel rimanente della sua
estensione delle ipertrofie e delle iperplasie cellulari, che sono
state interpetrate come fenomeni di ipertrofia vicariante o com-
pensatrice.
Per Perroncito (’882) le lesioni epatiche sarebbero esclusi¬
vamente di natura infiammatoria dovute a fattori meccanici per
la pressione esercitata sugli acini e sui dotti biliari dall’ingran¬
dimento della cisti. Il ristagno della bile si appaleserebbe con la
presenza di grossi granuli gialli di bile nelle cellule epatiche. Le
cellule epatiche in secondo tempo subirebbero dei processi de¬
generativi, che indurrebbero la perdita delle granulazioni grandi
e sottili citoplasmatiche, la degenerazione e scomparsa del nu¬
cleo, la istolisi del protoplasma e la sostituzione di tessuto
connettivo.
Paragonando una sezione di fegato normale di Lacerta mu-
ralis con una infarcita di Cysticercus dithyridiurn, quello che
colpisce si è che nelle zone libere dal verme vescicolare il tes¬
suto epatico (figg. 9 e 10) mostri un aspetto non poco diverso:
sembra infatti che non sieno avvenuti nell'organo ammalato sol-
— 15 —
tanto dei disturbi meccanici cagionati dall’ aumento del volume
della cisti, ma che gli acini glandolari sieno già andati incontro
a notevoli degenerazioni citoplasmatiche e nucleari.
Dalle zone epatiche libere di cisticerchi (fig. 12) si giunge,
per gradi insensibili (fig. 13), alla completa istolisi della cellula
(fig. 14) ed alla produzione di infarti emorragici.
Volendo descrivere queste alterazioni, per ragioni ovvie, è
opportuno schematizzare, e parleremo quindi di tre principali
tappe o stadi, che» corrispondono ai disegni.
1. ° stadio — Riproduce il tessuto epatico delle zone libere
dal parassita (fig. 12). Si ha dilatazione dei capillari biliari, irn-
picciolimento e retrazione dell'acino, chiarificazione del citopla¬
sma cellulare, che ha perduto le sue granulazioni in guisa, che
non è possibile riconoscere microscopicamente gli acini funzio¬
nanti da quelli in riposo. Il nucleo dell'elemento epatico è leg¬
germente retratto, assottigliato nel suo reticolo cromatico, ed il
nucleolo o i nucleoli appaiono molto refrangenti neH'enchilema
cellulare. I cromatoblasti un poco scolorati sono diminuiti di
numero, ma si mantengono raggruppati. Nessuna alterazione dei
vasi sanguigni.
2. ° stadio. — Riproduce il tessuto epatico nelle zone inter¬
medie fra le cisti di Cysticercus dithyridium (fig. 13). Continua
la retrazione dell'acino epatico: si hanno dei sincizi citoplasmas-
matici rotondeggianti con alcuni nuclei nell' interno, senza una
vera divisione cellulare e tal'altra degli acini, nei quali le cellule
sono ancora un poco riconoscibili. Aumenta la risoluzione del
nucleo, in guisa che esso si riduce alla sola membrana nucleare
ed a qualche granulazione nell' interno ; ma sia citoplasma che
nucleo hanno perduto le loro caratteristiche microchimiche, la
loro elettività per i colori acidi e basici. Non si rinvengono cro¬
matoblasti, nè si riconoscono più i capillari biliari. Notevole au¬
mento (relativo) dei vasellini sanguigni e rottura di alcuni di essi,
in guisa che il sangue circola attorno a questi blocchi di tessuto
epatico.
3. ° stadio. — Riproduce un infarto emorragico (fig. 14). Si
hanno spandimenti sanguigni considerevoli, e nell' interno si tro¬
vano dei pezzi citoplasmatici e dei nuclei ancora riconoscibili con
reliquati di cellule epatiche.
16 —
In tanta distruzione di elementi glandolari si ha sempre as¬
senza di una flogosi reattiva, di un processo di neoproduzione
connettivale, di una cirrosi.
Clinica chirurgica della R. Università di Napoli.
LAVORI CITATI
1889. Blanchard, R. — Traité de zoologie médicale : Voi. 1, p. 793.
1891. Chauffard, A. — Vidal, F. — Recherches expérimentales sar les
processus infectieax et dialytiqaes dans les kystes hydatiqaes
da foie: Bull. Mém. Soc. Méd. Hóp. Paris, (3), Tome 8,
p. 168.
1881-82. Colucci, V. — Stadi ad osservazioni salV anatomia patologica
del fegato degli animali domestici : Mem. Accad. Se. Ist.
Bologna, (4) Voi. 3, p. 535, 1 Tav.
1901. Cornil — Petit, Q. — La cirrhose atrophiqae da foie dans la
distornasse des bovidés : C. R. Acad. Se. Paris, Tome 133,
p. 178.
1887. Crety, C. — Intorno ad alcani cisticerchi dei rettili. Nota preli¬
minare: Bull. Soc. Nat. Napoli, (1) Anno 1, Voi. 1, p. 89.
1902. Dévé, F. — Des cholérragies internes consécatives à la roptare
des kystes hydatiqaes da foie , et plas spécialement de la
cholérragie intrapéritonéale (cholépéritoine hydatiqae)\Ro.v. Chir.
Paris, Tome 22, p. 67.
1903. - Sar les rapports des kystes hydatiqaes da foie avec le
système veineax cave: Bull. Mém. Soc. Anat. Paris, Tome 78,
p. 185.
1850. Diesing, C. M. — Systema helmintham : Voi 1, p. 494.
1845. Dujardin, F. M. — Histoire natarelle des Helminthes oa Vers
intestinaax : Paris, p. 594.
1891. Durante — Binot. — Kyste hydatique da foie : dégénerescence
graissease totale da foie: congestion et cirrhose sas-hépatiqae
jaane dans les portions les plas éloignées des Kystes : Bull.
Soc. Anat. Paris, Voi. 65, p. 600.
1895. Eberth, — Bunge. — Die nerven der Chromatophoren bei Fischen:
Arch. Mikr. Anat., Bd. 36, p. 370.
1893. Fraenkel, A. — Demonstration der Leber eines tódlich verlaafenen
Falles von Echinococcas hepatis : Deutsche Med. Wochenschr,
19. Bd., p. 773.
1903. Galli Valerio, B. — Sar ane lésion da foie de Mas decamanas
dae aax ceafs de Trichosoma hepaticam Bancr. Centralbl. Bak.
1 Abt. Jena, Bd., 35. p. 88.
1896. Giannelli L., — Giacomini E. — Ricerche istologiche sai tabo
digerente dei rettili. Nota terza. Intestino medio e terminaleì
fegato. Pancreas : Proc. Verb. Accad. Fisiocrit. Siena, p. 105.
18 —
1845. Gurlt — Verzeichniss der Thiere bei welchen Entozoen gefunden
worden sind : Arch. Natur. Wiegmann, 11. Bd., p. 223.
1893. Krause, R. — Beitràge zur H istologie der Wirbelthierleber : Arch.
Mikr. Anat., Bd. 42, p. 53, 3 T.
1879-86. Leuckart, R. — Die Parasiten des Menschen and die von
Ihnen Herràhrenden Rrantheiten : 3 Aufl., p. 435, fig., 185 A-C.
1872. Marchi, P. — Sopra un nuovo cestode trovato nelV Ascalabotes
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1893. Mingazzini, P. — Ricerche sul parassitismo : Ricerche Lab. Anat.
Norm. Università Roma, Voi. 3, p. 205, 1 T.
1898. - Ricerche sulle cisti degli elminti'. Archiv. Parasit., Tome 1
p. 583, 6 fig.
1880. Moniez, R. — Essai monographique sur les Cysticerques : Paris,
p. 80.
1886. Parona — Elmintologia sarda', Ann. Mus. Civ. Genova, Voi 4,
p. 317, T. 6, fig. 23-25.
1900. Ritchie R. H. — Effects of thè extravasation of hydatid fluid
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p. 349.
1819. Rudolphi, K. A. — Entozoorum Synopsis, cui accedunt Mantissa
duplex et indices locupletissimi : Berlin, p. 558.
1897. Sonsino P., — Di alcuni elminti raccolti ed osservati in Pisa :
Proc. Verb. Soc. Tose. Se. Nat., 4 luglio.
1844. Valenciennes, A. — Observation ' d'une espèce de ver de la caviti
abdominale d’un Lézard ver-piqueté des environs de Paris,
le Dithyridium lacertae. Nob.\ C. R. Acad. Se. Paris, Tome 19
p. 544.
1858. Van Beneden — Mémoires sur les Vers intestinaux : Supplément
aux C. R. Acad. Se. Paris, p. 321.
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Osterwieck (Harz, Zickfeldt): cfr. p. 14.
1878. von Listow, O. — Neue Beobachtungen an Helminten : Arch.
Naturg., Bd. 44, p. 222.
— 19 —
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 1-2
Tav 1.
Fig. 1 — Lacerta Muralis con fegato affetto da cisti di Cysticercus dithyridium.
Disegno di insieme.
Tav. 2.
Fig. 2 — Cisti di C. d . isolata dal tessuto epatico. Il parassita si vede a tra-
2
sparenza. Colorazione Paracarminio Mayer. Zeiss
AA
Fig. 3 e 4 — Cisticerco tolto dalla cisti ed incluso in balsamo del Canada. Co-
2
lorazione Paracarminio Mayer. Zeiss
AA
Fig. 5 — Cisticerco in via di svaginazione incluso in balsamo del Canadà. Co-
2
lorazione Paracarminio Mayer. Zeiss
AA
Fig. 6 e 7 — Cisticerco completamente svaginato ed incluso in balsamo del Ca-
2
nadà. Colorazione Paracarminio Mayer. Zeiss
AA
Fig. 8 — Sezione di C. d. incluso nella cisti. Colorazione Ematossilina ferrica.
Zeiss 2
AA
Fig. 9 e 10 — Sezione di fegato con cisti di C. d. Molte cisti per usura delle pareti
hanno dato luogo a cisti più grandi contenenti numerosi cisticerchi. Nella
fig. 9 apparisce anche una lacuna sanguigna. Colorazione Ematossilina
3
ferrica. Zeiss-
AA
Fig. 11 — Sezione di fegato normale di L. m. con cromatoblasti. Colorazione
3
Saffranina e verde luce. Zeiss — = — •
t
Fig. 12 e 13 — Degenerazione progressiva del tessuto epatico di L. m. per
la compressione esercitata dalle cisti di C. d. Colorazione Ematossilina
3
ferrica. Zeiss — = —
Finito di stampare il 25 maggio 1923
Simmetria ed unità dinamica nelle catene
di Salpa.
Nota
del socio
PtoL Marco Fedele
(Tornata del 4 febbraio 1923)
Lo studio di diverse specie di Salpe, che ho potuto osser¬
vare viventi nella Stazione Zoologica di Napoli e, in parte, in
quella di Rovigno — della Salpa punctata Forsk, cioè, della S. mas¬
sima Forsk, S. fusiformis Cuv., 5. confoederata Forsk, 5. de-
macratica Forsk, ò\ zonaria (Pall), Gyclosalpa pianata Forsk
e C. Virgilio Vogt — mi ha sempre confermata la esistenza di
una maggiore vivacità di movimenti, sia in condizioni naturali
che sperimentali sotto determinati stimoli, delle forme solitarie
di queste specie, in confronto ad una maggiore varietà di orga¬
nizzazione sensoriale nelle forme aggregate.
Queste forme, costrutte, dal lato neuro-muscolare, ad una
minore attività dal punto di vista quantitativo, per la loro mag¬
giore varietà delle disposizioni nervose ci fan pensare alle pro¬
babili relazioni di questa maggiore ricchezza qualitativa con la
vita in comune, che così lungamente le lega nella catena.
E' certo che la presenza degli organi sessuali si accompagna
nelle salpe con una maggiore varietà del sensorio ma, data la
natura della organizzazione, anche sessuale, delle salpe, noi dif¬
ficilmente riusciremmo a trovare relazione fra questi due fatti,
e la ricchezza di organi sensitivi più facilmente si spiega (anche
se r esperimento non ci desse la conferma di ciò) con i rap¬
porti che vengono a stabilirsi nella coordinazione degli individui
sessuati connessi nella catena.
— 21 —
Il riposo od il movimento, come la rapidità e il seguirsi
del ritmo delle contrazioni, mostra nelle catene, in buone condi¬
zioni di vita, una innegabile coordinazione, che è più chiaramente
visibile ed apprezzabile specialmente nelle giovani catene nuo¬
tanti, tanto più vivaci nei movimenti e nelle risposte alle stimo¬
lazioni esterne.
In queste se alcuni individui stanno, tutti stanno ; se alcuni
individui accelerano rapidamente alcune contrazioni, quasi tutti
gli altri replicano il rapido susseguirsi di esse ; sicché gli indi¬
vidui della catena o rimangono tutti immoti o tutti si contraggono
con ristesso ritmo (sincronia e omoritmia).
Una catena in riposo, in cui alcuni individui entrano in at¬
tività, mostra generalmente un ugual inizio di moto negli altri
individui, i quali, in breve istanti, raggiungono la omoritmia.
Omoritmia va intesa riguardò alla durata e celerità delle
contrazioni e non vuol significare che esse siano sincrone in
tutti gli individui, come con sincronia si vuol indicare che tutti
gli individui sono in moto ma non tutti a movimento espansivo
e contrattivo contemporaneo, poiché le contrazioni non sono con
ristessa fase in tutti gli individui, ma si susseguono e si propa¬
gano dall' uno al seguente, quasi come un’ onda propagantesi
metacronicamente; così, secondo la rapidità di propagazione,
mentre un individuo è in contrazione, il secondo, il terzo ecc.
a partire da esso si trova nel momento di massima espansione
e così via, dando in tal modo la impressione che la catena sia
percorsa come da un'onda regolare, e spesso ritmica, di con¬
trazione.
Questo accordo, questa armonia di movimento in frequenza
e intensità così manifesta nella progressione normale di una ca¬
tena, si complica e diventa più intimo in speciali condizioni di
stimolazioni naturali o sperimentali esercitate su una qualunque
delle salpe componenti la catena, specie quelle anteriori, in modo
da provocare in questa un arresto temporaneo o una inversione
di movimento, ed una spinta nel senso cloacale, che fa indie¬
treggiare 1’ animale.
Il meccanismo della trasmissione di questo riflesso, non spie¬
gabile con fatti esclusivamente meccanici, richiede un intervento
coordinativo del centro nervoso; e siccome la inversione si prò-
— 22 —
paga rapidamente, da individuo ad individuo, a tutta la catena,
tutti i centri nervosi delle singole salpe intervengono nella nuova
coordinazione, e ciò non sotto uno stimolo comune esercitato
collettivamente su tutti gli individui del gruppo, ma dietro una
stimolazione ben localizzata su un solo individuo e trasmessa, per
gli effetti, a tutta la catena, che è messa in condizione di risen¬
tire le variazioni di moto dell' individuo stimolato.
Ho sperimentato sulle diverse forme aggregate con le più
svariate stimolazioni: meccaniche, chimiche, termiche, luminose,
variando le modalità di applicazione e di intensità, e sempre ho
riscontrato, per gli stimoli efficaci compresi nei limiti della sen¬
sitività degli animali in esame, una risposta riflessa propagatesi
successivamente e rapidamente attraverso i componenti della
catena.
In questa trasmissione si mostrano molto più pronti e com¬
pleti gli individui delle catene piuttosto giovani, specialmente in
5. maxima i cui individui sessuati possono raggiungere dimen¬
sioni relativamente grandi ed un forte ispessimento dello strato
di tunicina, perdendo, ad un determinato stadio del loro svi¬
luppo, molto della vivacità e sensibilità normali.
Usando, anzi, qualche volta, stimolanti chimici apportanti,
dopo efficace reazione difensiva, Timmobilità, per paralisi o ane¬
stesia temporanea, dell'individuo direttamente stimolato, ho ri¬
scontrato una uguale trasmissione della inversione di movimenti
secondo il riflesso difensivo (chiusura dell'orifizio cloacale, rapi¬
da contrazione generale, fuoriuscita dell'acqua dall'apertura boc¬
cale con conseguente spinta nella direzione cloacale e indietreg-
giamento dell'animale) per gli individui successivi della catena
che, coordinando i loro movimenti di indietreggiamento e tro-
vantisi in stridente contrasto con l'individuo paralizzato, finiscono
con lo staccarsi da esso, anche se gli organi di attacco, in ec¬
cellenti condizioni, avrebbero potuto cementare ancora lunga¬
mente gli individui della catena.
E così pure lo stimolare fortemente, immobilizzandoli, uno o
più individui intermedii di una catena, con una tenace compres¬
sione esercitata con una pinza, porta per conseguenza lo spez¬
zamento della catena, allontanandosi i due frammenti laterali agli
individui stimolati in direzioni opposte; accelerando e prose-
— 23 —
guendo l'anteriore il movimento già in atto nella catena, indie¬
treggiando l’altro.
E' indubitato, quindi — per questa rapida coordinazione di
movimenti e pronta armonizzazione di essi, anche per rapidi e
variati cambiamenti dietro stimoli causali, e per la complicatezza
del riflesso difensivo *) da non potersi spiegare con esclu¬
sive cause meccaniche o regolazioni periferiche — che nelle Sal¬
pe aggregate debbono esistere connessioni nervose fra i diversi
individui della catena, in connessione con i centri dei vari zoonti.
A questa conclusione son venuto non solo per lo studio
approfondito che ho fatto del sistema nervoso di questi animali
e per i risultati affermativi ottenuti nei riguardi delle connes¬
sioni accennate, ma anche per avere analizzata la possibilità, che
ho dovuto scartare, di possibili coordinazioni dovute a fatti mec¬
canici, a mutue compressioni trasmettentisi da zoonte a zoonte
in tutta la catena, all’ infuori dell'intervento del sistema ner¬
voso.
Nelle Salpe — animali a sistema nervoso di elevata orga¬
nizzazione, ed a forte accentramento, ed in cui sono da esclu¬
dere, come ho già dimostrato in altro luogo, assolutamente reti
fibro-cellulari neuro-epiteliari diffuse — le connessioni neurali fra
gli individui della catena, nette e ben differenziate, le riscontriamo
sulle pareti cementanti gli organi di attacco, in cui, con moda¬
lità variabili nelle diverse specie , si riscontrano (v. fig. 1) non
solo fibre nervose derivanti da rami ben determinabili, e da me
determinati, di tronchi nervosi (N.), attraverso i quali è possi¬
bile seguirne il percorso fino al ganglio centrale, ma disposi¬
zioni cellulari sensoriali formanti veri cuscinetti sensitivi (Ps)
nettamente delimitati nelle aree segnate dalle pareti di attacco,
h II riflesso difensivo si manifesta nei Thaliacea con la chiu¬
sura dell'orifizio più lontano dalla parte stimolata, rapida ed energica contrazione
simultanea della rimanente muscolatura, ed ha per effetto un vivace scatto
dell'animale in senso contrario alla provenienza della stimolazione.
Per questo e gli altri riflessi di questi animali vedi la mia memoria su
" Un nuovo organo di senso nei Salpidei „ in Monit. Zool. italiano, anno
XXXI, 1920, p. 10-21, e il mio lavoro sulle " Attività dinamiche e rapporti
nervosi „ in corso di stampa nel Voi. IV delle " Pubblicaz. della Staz. Zool. di
Napoli,, A. 1923 p. 129-240.
— 24 —
ed adibiti alla trasmissione delle stimolazioni generate dalle va¬
riazioni di movimento degli adiacenti zoonti.
Per mezzo di queste disposizioni ciascun individuo è in
grado di risentire prontamente le variazioni dell'attività dinamica
Fig. 1. — Disposizioni neuro-sensoriali di una placca adesiva di Salpa maxima Forsk,
forma aggregata.
Ps = cuscinetto cellulare sensoriale ; N= rami nervosi in chiara connessione col
centro gangliare; Fn = filamenti nervosi sensitivi ; Ma = Margine di adesione della
placca.
degli individui con cui è saldato e reagire, coordinando ad essa
la propria attività, ottenendo così quella unità dinamica neces¬
saria alla saldezza della catena, così facilmente suscettibile, dietro
disturbi e trazioni disordinate, di scomporsi nei suoi componenti.
A queste connessioni neurali, che cementano in una unità
superiore le singole salpe nella catena, bisogna aggiungere altri
notevoli particolari della organizzazione che rendono questa unità
ancora più evidente, anche dal punto di vista della forma, e che
ci mettono in grado di discernerne chiaramente il significato.
- 25 —
La ricchezza di aggruppamenti sensitivi nelle forme catenate
di Salpe non si rivela solo per i cuscinetti sensoriali, da me in¬
dicati come legame nervoso fra gli individui, ma ancora con la
presenza di altri organi e disposizioni sensoriali che sono evi¬
dentemente in relazione con fattori che possono influire sul di¬
namismo complessivo degli aggregati di Salpe e che possono
subire, negli individui staccati e menanti vita solitaria da qualche
tempo, notevoli riduzioni, fino all'atrofia.
Di alcuni di questi organi abbiamo cenni, non ben definiti
strutturalmente e fisiologicamente, anche in precedenti ricerche
su alcune delle forme di salpa anche da me studiate, come p. e.
Salpa maxima Forsk, Gyclosalpa virgula (Vogt) *), ma io ho
potuto seguire queste formazioni nelle diverse specie di salpe,
vederne i rapporti e dedurne la chiara importanza in corrispon¬
denza a stimolazioni riguardanti più che i singoli individui che
ne son forniti, il dinamismo e l'euritmia invece, complessivi
della catena. Debbo procedere qui, come è ovvio, per afferma¬
zioni, rimandando a più ampia esposizione i particolari illustra¬
tivi e le prove.
Questi organi - manifestantisi come disposizioni mammel-
lonari o tentacolari, con una cupola estrema ricca di elementi
sensoriali e coronati da una formazione membranosa, che prende
l'aspetto di un cappuccio più o meno completo, e con ricchezza,
alle volte, veramente singolare di nervi (v. fig. 2) - hanno una
posizione molto caratteristica per le diverse specie, che, trascu¬
rando i particolari topografici, variabili da forma a forma, è par¬
ticolarmente notevole per il fatto che, nell'istessa specie e negli
individui dell' istessa catena, per alcuni sono localizzati in un lato
del corpo, per altri nel lato opposto; così, p. es., in Salpa maxi¬
ma (fig. 3) i due organi di tale natura, esistenti per ciascun in¬
dividuo, si riscontrano, per alcuni, il primo a sinistra, anterior¬
mente al primo muscolo anteriore del corpo (Ts), ed il secondo
a destra, anteriormente alla prima fascia muscolare del secondo
h Cfr. Todaro, F. — Sopra un particolare organo di senso nelle Sal-
pidae. — Rend. R. Acc. Lincei, Voi. 16, 1. Sem. p. 575, A. 1907.
Fernandez, M. — Ueber zwei Organe junger Kuttensalpen. — Zool. Anz.
Bd. 32, p. 321-328, 1907.
— 26 —
gruppo dei muscoli principali del corpo (Tsj), mentre per gli
altri si trovano corrispondentemente, all' istesso livello, a destra
il primo (TsO ed a sinistra il secondo (Ts2).
Fig. 2. — Organo sensoriale laterale anteriore di Salpa maxima Forsk. Forma aggregata.
Colorazione vitale. Ts = tubercolo sensoriale ; Cs — cellule sensitive ; N= Nervo in
cui confluiscono le fibre ( Fn ) provenienti dalle cellule sensoriali; Mpc — margine de¬
limitante il tubercolo sensoriale e la parete del corpo ; M = Mantello; Cs = Cappuc¬
cio dell’organo sensoriale di dimensioni ridotte.
Questa disposizione unilaterale non è generale poiché in
qualche catena (S. democratica ) possiamo riscontrare, e spiegare
in armonia alla conformazione di essa, organi pari posti simme¬
tricamente, su un lato e l'altro, nella parte anteriore del corpo; ma
nelle catene che hanno conformazione e progressione in cui, gli
individui dei due lati espongono, in modo nettamente diverso,
le superficie destra e sinistra della parte anteriore del corpo,
alle stimolazioni generate dal dinamismo dei zoonti adiacenti
della catena, e dalla progressione di questa nell'acqua, gli organi
si trovano sviluppati asimmetricamente, ma sempre in stretta
relazione con quelle parti del corpo meglio allogate per la ri¬
cezione delle suddette stimolazioni, specialmente le variazioni di
resistenza dell'acqua, come di correnti e vibrazioni generate in
essi dalle contrazioni dei zoonti precedenti nella serie.
Per fissare le idee accennerò alle modalità riscontrabili in
una delle specie più comuni, la Salpa maxima, per non scendere
in soverchi particolari, ed essendo sufficiente la descrizione som¬
maria di essa per legittimare le mie conclusioni che trovano,
— 27 —
d’altronde, piena conferma nelle disposizioni riscontrabili nelle
altre specie studiate.
Nella Salpa maxima , come nelle altre specie, è riscontrabile,
nella forma aggregata, una diversità degli individui dei due lati
che, ad un primo esame risultano l’uno verso l’altro come un
oggetto rispetto la propria immagine in uno specchio (v. fig. 3).
E così furono interpretati dall’ Apstein ') che fermando la sua
Fig. 3. — Individuo destro e sinistro della forma aggregata di Salpa maxima Forsk.
Nv == nucleo viscerale ; Br = cordone branchiale ; E = endostile ; G = ganglio con
organo oculare ; C = cuore; O = uovo in isviluppo; Tsi = tubercolo sensoriale an¬
teriore; 7s2 — tubercolo sensoriale posteriore.
Le dimensioni di questi dne ullimi organi sono alquanto esagerate per poter più
chiaramente indicare la loro posizione.
attenzione su Cyclosalpa virgula, la. cui muscolatura asimmetrica
rendeva chiaramente visibile questo fatto, giudicò che gl’ indi¬
vidui delle due file di una catena fossero fra di loro e n a n t io¬
ni o r f i e sostenne la esistenza di un piano di simmetria passante
per l'asse della catena, e rispetto al quale gli individui delle due
parti risultavano simmetrici.
l) Apstein , C. - Die Thaliacea der Plankton-Expedition. Ergebn. Plan-
kton-Exped. Bd. II, E. a B. ; p. 1-67; specialmente p. 7 a 9.
— 28 —
Ma per essersi fermato ai soli caratteri appariscenti della
muscolatura, senza spingere ranalisi alla organizzazione com¬
plessiva degli animali, non ha potuto afferrare bene i limiti di
questa presunta enantiomorfia, nè il suo significato.
In tutte le coppie corrispondenti della catena, ad un esame
approfondito, risulta chiarissimo che la divisione degli individui
destri e sinistri si rispecchia esclusivamente negli organi stabi¬
lenti rapporti tra gl' individui nella catena e a quelli che con¬
corrono al dinamismo di questa (organi di attacco da una parte,
e quindi conformazione esterna determinata dai prolungamenti
del corpo, e organi motori e sensoriali, riguardanti Fattività della
catena, dall’altro), mentre resta fondamentalmente inalterata la
topografia degli altri organi essenziali alla vita individuale: appa¬
rato digerente, apparato circolatorio, organi sessuali; che rispec¬
chiano il tipo unico e stabile di architettura di questa forma
della specie.
Malgrado un certo grado di torsione, destrorsa o sinistrorsa,
dovuta al vario sviluppo, topograficamente parlando, dei pro¬
lungamenti del corpo dell'animale, e che fa obliquare, verso de¬
stra o sinistra, il cordone branchiale, in modo da formare, per
chi guardi dal lato dorsale, un angolo fra branchia ed endo¬
stile rivolto rispettivamente verso sinistra o destra, gli altri
organi vegetativi hanno Tistesso comportamento negli individui
dei due lati ; gli organi sessuali e l'embrione, p. es., che si svi¬
luppano per tutti nell’ istesso lato, e il cuore che è facilmente
osservabile con la convessità della sua curva rivolta costantemente
verso destra (v. fig. 3, O, C.)
La netta divergenza di comportamento fra gli organi ine¬
renti alla vita vegetativa dei diversi zoonti, e quelli connessi
con le relazioni e il dinamismo della catena, risulta inoppugna¬
bilmente dalle reciproche posizioni che prendono l'organo sen¬
soriale posteriore (7s2) e l'uovo o embrione ( O ) negli individui
destri o sinistri, come è visibile con persuasiva chiarezza nella
figura 3, senza bisogno di ulteriori descrizioni.
Non possiamo, quindi, parlare di enantiomorfia degli
individui della catena, nè di piano di simmetria passante per l'asse
di questa, poiché la simmetria speculare rispecchia solo: 1) la
disposizione destra o sinistra degli organi d'attacco, con la con-
— 29 —
seguente influenza sulla conformazione esterna del corpo, sulle
conseguenti congruenti torsioni e sulla muscolatura che si mo¬
della al corpo e alle parti libere nei movimenti di esso; 2) nella
presenza rispettivamente a destra o sinistra di organi sensoriali
in rapporto alla attività motoria della catena (nella 5. maxima gli
organi descritti e rappresentati nella fig. 2 e 3); 3) nella po¬
sizione del nucleo che appare a destra o sinistra nel complesso
del corpo, per gli spostamenti che importano il differente svi¬
luppo dei prolungamenti del corpo già accennati.
Però tutto ciò non intacca le disposizioni essenziali relative
degli organi principali vegetativi ed è perciò che la distinzione
di individui destri e sinistri più che organica è una di¬
stinzione puramente dinamica, nei riguardi del dinamismo
complessivo della catena, che imprime, con i suoi legami, alla
conformazione dei vari individui di essa, l’impronta di una in¬
dividualità superiore, che non invade, pertanto, il campo delle
singole individualità dei zoonti capaci, come è noto, di prolun¬
gata ed efficace vita indipendente.
Ci troviamo in presenza qui di rapporti molto differenti di
quelli intervenenti in molte forme coloniali in cui la fusione,
l'armonizzazione, più che altro, interviene nella organizzazione e
funzionalità vegetativa e, nei legami fra i zooliti, predominano,
generalmente, le vie per la distribuzione dei succhi.
Qui invece i legami son formati esclusivamente da rapporti
nervosi, e le armonizzazioni avvengono nella forma e nel dina¬
mismo muscolare e negli organi sensoriali che possono influire
su di esso ; due facce concorrenti e, secondo me, conseguenti
dell’ istesso fenomeno dinamico della coesione e locomozione
della catena.
Non piano di simmetria passante lungo l’asse della catena,
ma dissimmetria; ma, non pertanto, il piano che passa fra il
doppio allineamento degli zoonti divide forme perfettamente spe¬
culari, limitatamente alla organizzazione dinamica: due zoonti col¬
laterali destro e sinistro formano una coppia dinamica e si
completano intorno al piano rigido della loro coesione; e quella
della catena è una vera simmetria dinamica, che ha significato
solo nei riguardi del movimento complessivo dell’ aggregato e
dell'armonizzazione dell'azione dei diversi individui in essa.
— 30 —
E solo in questo senso noi possiamo descrivere una s i ni¬
ni e t r i a della catena.
Nella S. maxima , da me principalmente data ad esempio,
il piano che passa fra la doppia fila di zoonti divide quelli de¬
stri da quelli sinistri . I successivi membri di ciascun allineamento
si sovrappongono per circa una metà del loro corpo, prendendo
aderenza nei rispettivi dischi adesivi; la metà del fianco sinistro
superiore dell’individuo posteriore aderisce alla metà destra po¬
steriore (cloacale) degli individui successivamente anteriori; ret¬
tificando Tasse della catena, i successivi individui delle due serie
sono inclinati sull’asse di un angolo di circa 45°, volgendo ester¬
namente il lato dorsale con il sistema nervoso, gli organi sen¬
soriali notati e la muscolatura.
Abbiamo quindi una parte assiale rigida e immobile, in cui
si trovano gli organi di attacco e i cuscinetti sensitivi connet¬
tenti i diversi individui (connessioni sensoriali e vie coordinative
interne) ed una parte periferica libera e mobile, organizzata per
la sensazione dei più svariati stimoli generali (corrispondenze
sensoriali e vie coordinative esterne) e fornite di fascie musco¬
lari che, incomplete ai limiti della parte assiale, si completano
quasi, nella coppia dinamica, in cerehie muscolari complete e
concordanti.
Possiamo così distinguere nella catena, mercè un piano nor¬
male a quello dividente la parte destra dalla sinistra, e passan¬
te anch’esso per Tasse della catena, una faccia orale (muscolare-
sensoriale) libera nella propulsione, e che potremmo chiamare dor¬
sale, ed una faccia cloacale volta normalmente in basso (ventrale) e
segnante la parte vegetativa ed asimmetrica della colonna. Na¬
turalmente la designazione di dorsale e ventrale nei riguardi
della catena non corrisponde alla dorso-ventralità degli indi¬
vidui.
A questa bilateralità non si sottraggono nemmeno le Cyclo-
salpat in alcune delle quali, come nella C. virgula , essa è ap¬
pariscentissima oltre che nella muscolatura, anche nell’organo ten¬
tacolare visto anche dal Todaro, a cui è sfuggita però la varia¬
bilità della posizione e, per preconcetti teorici, il vero significato.
Ma in questa specie la dissimetria, e la corrispondenza destra
e sinistra degli individui, non ci sorprendono, data la forma della
31 —
catena bilaterale e non circolare, come erroneamente fu ritenuto
dal Vogt e da altri che lo seguirono; è notevole, invece, che an¬
che in C. pianata , questa forma tipica a catena concentrica, è
visibilissima la bilateralità originaria e permanente dell'aggregato,
manifestantesi in individui destri e sinistri per le disposizioni
muscolari e neurali e per la presenza di una netta forma tenta¬
colare, allogata qui, nelle due serie di individui, sui limiti ante¬
riori destro e sinistro, fra corpo ed organo di attacco.
In tutte le forme, quindi, mentre la trama organica vegeta¬
tiva permane indipendente, secondo un tipo unico individuale,
subendo al più torsioni e rotazioni per necessità puramente spa¬
ziali, per lo sviluppo e l' attività delle altre, queste, esclusiva-
mente parti nervose e muscolari od organi di connessione, si
orientano e si connettono in unità superiore che si manifesta nella
coordinazione ed efficacia dei movimenti della catena.
Ecco così fermata e delimitata quella unità
della catena di Salpe il cui significato dinamico
risulta evidente non solo dallo studio fisiologico
neuro-muscolare di essa, ma dalla impronta istessa
che queste attività segnano nella sua organizzazione.
Ma la genesi di questa coordinazione di forma e di attività è inge¬
nita nei tubi cellulari stessi iniziali dello stolone, o si va for¬
mando per i necessari contatti dello sviluppo e delle condizioni
che si vanno successivamente creando nel progredire della
catena ?
Debbo confessare la scarsezza dei dati positivi che ho po¬
tuto raccogliere a riguardo di questo quesito, di cui non mi
sfugge la grande importanza, e l' insuccesso dei tentativi speri¬
mentali tendenti a stabilire condizioni di sviluppo anormale per
vedere la possibile influenza della variazione di rapporti nelle
catene. Da questo lato, le Salpe sono un materiale difficilissimo.
Nonpertanto , alcuni dati possono almeno fornirci qualche
luce sulle possibili cause plasmatrici di questa bilateralità dina¬
mica della catena, che ha tutti i dati di un fenomeno cenogene-
t i c o, subentrante in seguita ai mutui rapporti stabilentisi fra i
singoli individui coordinati nella catena, e perduranti finché que¬
sta sussiste.
In questo senso ci parlano lo sviluppo e 1' atrofia degli or-
gani adesivi, come degli organi in rapporto con produzioni che
son chiamate ancor più a cementare 1' unione stabilita dagli or¬
gani di attacco, e infine il comportamento di disposizioni sen¬
soriali che, cessato il loro attivo funzionamento nei riguardi della
unità dinamica della catena, vanno successivamente perdendo di
importanza ed alcuni, pare, scompaiono del tutto o perdono parte
notevole dei loro tipici caratteri J).
Così p. es. è molto significativo il fatto che nella forma¬
zione ciclica degli aggregati di Cyclosalpa pianata gli organi
tentacoliformi a cui ho avanti accennato si sviluppano a destra
in una metà giusta degli individui coerenti e a sinistra nell' al¬
tra metà, qualunque sia il numero degli individui coerenti nel
ciclo salvo, s'intende, i casi di numero dispari dove la diffe¬
renza in più da uno dei lati si limita sempre ad un solo individuo.
E così il constatare la scomparsa o riduzione più o meno avan¬
zata degli organi sensoriali destri o sinistri già accennati in indivi¬
dui pescati isolati e con ogni probabilità menanti da tempo vita
indipendente, come il riscontrarli in ottimo stato di sviluppo in
individui anche di grosse dimensioni ancora riuniti in catena (ne
ho constatati di ben sviluppati in una catena di individui di Salpa
maxima di più di 15 cm.) ci fanno con convinzione pensare
alla influenza che possono avere nello sviluppo di questi orga¬
nismi non solo rapporti spaziali manifestantisi con torsioni e disu¬
guaglianze di accrescimento, ma anche l'influenza di determi¬
nate condizioni dinamiche, non solo su inuguaglianze di sviluppo,
ma sulla determinazione di ben specificati organi che, col ces¬
sare delle condizioni determinanti, possono ridursi e scomparire.
Finito di stampare il 25 maggio 1923.
l) Per gli organi sensoriali di Salpa maxima da me descritti non si può
parlare di completa involuzione, come accenna il Fernandez (1. c. p. 324) nè
di scomparsa, avendoli io constatati ben differenziati in individui di grosse di¬
mensioni. E' facile invece constatare nella s. maxima, ed in altre specie, la
scomparsa di altri organi di natura ben diversa, a forma di mammelloni o ca¬
pezzoli, mostranti in un primo tempo attivo trofismo e proliferazione cellulare
e la cui distribuzione, diversa in individui destri e sinistri, è in evi¬
dente rapporto con le asimmetrie di accrescimento che si vanno pronunziando
fra le due categorie di Individui della catena.
Diagnosi di nuove specie di Policladi della
R
Nota preliminare
del socio
Dott* Arturo Palombi
(Tornata del 4 febbraio 1923)
Il Prof. Monticelli ha voluto affidarmi lo studio dei Po¬
licladi raccolti dalla R. Nave Liguria a lui inviati in esame dal
Prof. Senna di Firenze che ha illustrato le raccolte planctoniche
fatte dalla nave nel viaggio di circumnavigazione del 1903-05.
Riservandomi in un lavoro, di prossima pubblicazione, accom¬
pagnato da figure, la illustrazione completa del risultato delle
mie ricerche, riassumo ora, per prender data, le diagnosi delle
nuove specie da me riconosciute.
Gen. Cryptocelides Bergendal 1890
Cryptocelides samoensis nov. spec.
Corpo di salda consistenza, uniformemente largo ed appun¬
tito alle due estremità. Occhi piccoli, non molto numerosi e di¬
stinti in frontali, cerebrali e tentacolari; questi ultimi raccolti in
due cumuli ben definiti. Cervello concavo nella parte posteriore,
profondamente diviso nella parte anteriore. Faringe muscolosa
con poche e larghe tasche. Intestino riccamente ramificato con
i rami non anastomizzati. Orifizio sessuale maschile dietro il fem¬
minile. I grossi canali del seme, non anastomizzati, versano il
loro contenuto in cinque apparati glandolari granulosi “ apparati
copulatori „ i quali sboccano in un unico antriim masculinum.
— 34 —
Numerose glandole granulose a pera, aprentesi isolatamente
all’esterno, sono localizzate nel quinto posteriore del corpo dietro
l'orifizio sessuale femminile.
Uteri posti lateralmente alla faringe; ovidotti sboccanti nella
vescicola glandolare di Lang sacciforme. Grossa vagina bulbosa
aprentesi all’esterno per un largo foro.
Habitat: Oceano Pacifico, in vicinanza delle isole Samoa.
Polyposthides nov. gen.
Animali a corpo ovale alquanto appuntito all’estremità an¬
teriore. Mancano i tentacoli. Numerosi piccoli occhi marginali
in serie prolungatesi ail'indietro ed altri ancora, piccoli anch'essi,
sulla parte anteriore; oppure, oltre a questi, due file di occhi
cerebrali od anche grossi occhi a breve distanza dal margine del
corpo e due cumuli tentacolari molto grossi ed evidenti. Cer¬
vello spostato in avanti non molto lontano dal margine anteriore.
Faringe situata un poco indietro della metà del corpo. Nume¬
rosi orifizi sessuali maschili nella linea mediana con numerosi
apparati copulatori a rosetta, sboccanti in un atitrum masculi-
num. Grandissimo numero di apparati glandolai in tutto il corpo
col collo diretto verso gli apparati copulatori maschili. Due per
ogni apparato a rosetta grossi canali seminali tortuosi. Appa¬
rato femminile con due grossi uteri lateralmente alla faringe.
Orifizio genitale femminile più o meno lontano dal margine
posteriore.
Polyposthides karimatensis nov. spec.
Animali di soda consistenza alquanto appuntiti all'estremità
anteriore. Numerosi piccoli occhi marginali ordinati in duplice,
ed anche in triplice fila, orlano il bordo anteriore del corpo ;
cessano del tutto alla fine del primo quarto. Altri occhi, un
poco più grandi, sono sparsi nella parte anteriore. Tra questi,
risalta una fila di pochi occhi piuttosto grandi situati a poca
distanza , margini laterali ed anteriore. Up denso cumulo
di piccoli occhi presso il cervello. Questo, piuttosto piccolo e
spostato in avanti, mostra due leggere insenature.
Bocca quasi a metà della tasca faringea. La faringe, poco
increspata e non molto muscolosa, non oltrepassa il terzo quarto
del corpo. Orifizio femminile poco lontano dal margine posteriore.
Habitat : Mare della Sonda, nello stretto di Karimata, tra
Sumatra e Borneo.
Polyposthìdes affinis nov. spec.
Corpo tozzo e robusto, appuntito all' estremità anteriore.
Numerosissimi piccoli occhi marginali estesi per un buon tratto
indietro.
Numerosi altri, che non oltrepassano la linea del cervello,
su tutta la porzione anteriore. Tra questi piccoli, spicca una fila
di occhi più grandi ed allungati che si prolunga indietro. Due
gruppi di occhi tentacolari molto grossi sono situati ai lati della
faringe. Cervello piccolo, non molto distante dall'estremo ante¬
riore, largamente e profondamente diviso anteriormente. Bocca
al centro della tasca faringea. Faringe lunga e riccamente in¬
increspata con strette insaccature. Orificio sessuale femminile a
non grande distanza dal margine posteriore.
Habitat : Come la precedente.
Polyposthìdes caraibica nov. spec.
Corpo ovale molto delicato. Occhi marginali nella porzione
anteriore del corpo. Due file di pochi occhi piuttosto grossi
(occhi cerebrali) ai lati, del cervello. Mancano completamente gli
occhi tentacolari. Faringe con brevi e strette tasche laterali. Nu¬
merosi rami intestinali. Orifizio sessuale femminile molto distante
dal margine posteriore del corpo.
Habitat: Mare Caraibico.
Metaposthia norfolkensis nov. gen. nov. spec.
Corpo ovale. Numerosi occhi sulla porzione anteriore del
corpo. Occhi cerebrali in due file arcuate ai lati e sopra il cer¬
vello. Due cumuli di occhi tentacolari piuttosto grossi. Cervello
con due insenature. Bocca e faringe nel mezzo del corpo. Fa¬
ringe robusta e poco piegata. Intestino in fitta rete anastomo-
tica per tutto il corpo. Orifizi sessuali nella porzione posteriore
del corpo: il maschile dietro il femminile. Numerosi apparati
'
— 36 —
copulatori circondano Y organo femminile. Numerose glandole
granulose nella porzione posteriore del corpo. Grossi canali del
seme lunghi e riuniti indietro. Grossa vagina bulbosa. Uteri poco
tortuosi riuniti innanzi alla tasca faringea.
Habitat : Oceano Pacifico, Mar di Tasmania, al largo del-
T isola Norfolk.
Gen. Stylochoplana Stimpson (Bock 1913 emend.)
Stylochoplana siamensis nov. spec.
Corpo non molto esteso, appuntito alle due estremità. Man¬
cano i tentacoli. Pochi occhi cerebrali in duplice fila, ai lati del
cervello; due marcati gruppetti di occhi tentacolari spostati in¬
dietro e lateralmente. Cervello fra gli ultimi occhi cerebrali. Fa¬
ringe piccola ed increspata, situata nella metà anteriore del corpo.
Bocca al centro della tasca faringea. Orifizi sessuali molto di¬
stanti fra loro : il maschile quasi nel mezzo del corpo, il femminile
a breve distanza dal margine posteriore. Grossa vescicola semi¬
nale e robusta vescicola glandolare granulosa. Pene piuttosto
grosso ed inerme. Guaina e tasca del pene ben marcate. Antro
maschile abbastanza lungo. Vescicola glandolare di Lang pre¬
sente. Glandole del guscio sboccanti nella vagina media. Grossa
e robusta vagina bulbosa.
Habitat : Golfo del Siam presso la costa Malay.
Stylochoplana caraibica nov. spec.
Corpo leggermente slargato nella parte anteriore. Mancano
i tentacoli. Occhi ai lati del cervello. Bocca circa alla metà del
corpo. Faringe lunga ed increspata. Due vescicole seminali nella
porzione posteriore deir apparato copulatore. Grossa e lunga¬
mente distesa vescicola glandolare granulosa. Pene grosso ed
armato di un lungo stiletto. Guaina del pene muscolosa. Antro
maschile molto grosso. Vescicola glandolare di Lang esistente.
Vagina bulbosa. Orifizio sessuale femminile non molto distante
dal margine posteriore,
Habitat : Mare Caraibico.
— 37 —
Gen. Notoplana Laidlaw (Bock 1913 emend.)
Notoplana parvula nov. spec.
Corpo ovale molto piccolo. Piccoli occhi in due file allun¬
gate ed arcuate. Gli occhi posteriori corrispondono ai tentaco¬
lari. Bocca intestinale al centro della faringe, bocca esterna a
breve distanza da questa. Faringe pochissimo increspata e mu¬
scolosa. Orifizi sessuali molto distanti l’uno dall’altro; il fem¬
minile presso il margine posteriore. Pene piccolo con stiletto.
Guaina del pene ed antro moltp sviluppati. Vescicola glandolare
di Lang piccola. Grossa e robusta vagina bulbosa.
Habitat : Regione della Sonda a Sud di Borneo.
Euryleptides brasiliensis nov. gen. nov. spec.
Corpo breve, ovale, privo di tentacoli. Numerosi occhi in
doppia fila marginale ed occhi cerebrali in due file ai lati della
faringe. Cervello ad eguale distanza circa tra il margine anteriore
e la bocca. Intestino con numerose paia di rami intestinali di
cui cinque notevolmente grossi anastomizzati fra loro. Grande
ventosa situata dietro la metà del corpo. Apparato maschile con
due grossi canali del seme sboccanti nella vescicola seminale.
Apparato copulatore situato sotto la faringe e rivolto in avanti.
Vescicola glandolare granulosa e due piccole vescicole glando¬
lar! accessorie sboccanti nel dotto eiaculatore. Pene provvisto di
stiletto. Manca la tasca del pene. Apparato femminile con due
grossi e lunghi uteri riuniti all' indietro. Glandola uterina cen¬
trale nella quale sboccano gli uteri. Apparato copulatore femmi¬
nile con antro che sbocca ad eguale distanza tra la ventosa e
T orifizio boccale.
Habitat : Oceano Atlantico, coste del Brasile.
Napoli , Istituto Zoologico, Dicembre 1922 .
Finito di stampare il 25 maggio 1923.
L’ effetto fotoelettrico
Memoria
del socio
Prof. Washington Del Regno
(Tornata del 18 marzo 1923)
Nel corso delle sue classiche esperienze sulle oscillazioni
elettriche Hertz l) ebbe per primo a notare che la scintilla fra
due conduttori elettrizzati si stabiliva più facilmente quando i
due conduttori venivano illuminati con radiazioni di alta rifran¬
gibilità.
In seguito T Hallwachs 2) fece rilevare che l' influenza della
luce si esercitava anche sui corpi elettrizzati: un corpo carico
di elettricità negativa difatti si scarica qualora venga colpito da
radiazioni luminose, mentre lo stesso non accade se il corpo è
carico di elettricità positiva. Lo stesso Hallwachs, ed indipen¬
dentemente il Righi 3), notò poi che un corpo isolato sotto Y a-
zione della luce acquista un potenziale positivo.
A questi fenomeni fu dato il nome di fenomeni fo¬
toelettrici: lo studio di essi, per quanto svolto con notevole
larghezza, sia dal punto di vista sperimentale, sia dal punto di
vista teorico, per opera sopratutto di Einstein, Thomson, Ri-
chardson/ Sommerfeld, Debye e Millikan, ha condotto a sta¬
bilire con certezza solo alcune delle leggi che regolano il com¬
plesso fenomeno. A tutt' oggi molti dei fatti che ad esso si
1) Hertz. — Wiedemann's. Ann. Physik. Voi. 31 pag. 383, 1887.
2) Kallwachs. — Ann. d. Physik. 33 pp. 301 - 312 - 1888.
3) Righi. — Rend. R. Accad. Lincei 1888, Voi. IV.o fascic. 5. l.o semestre
pag. 185. Phil. Mag. 5, 25 pp. 314 -316 -Anno 1888.
— 39 —
collegano non hanno ancora spiegazione sicura nè si conosce
la vera natura del fotoelettrone che secondo alcuni sarebbe
T elettrone libero degli strati superficiali del metallo mentre se¬
condo altri sarebbe 1' elettrone liberato dagli strati esterni del-
T atomo.
I. — Principali modalità sperimentali.
Le prime esperienze furono eseguite nell' aria alla pressione
ordinaria.
Una lamina del metallo in esame veniva collocata di fronte
ad una griglia a pochi millimetri di distanza da questa ed espo¬
sta alle radiazioni di una sorgente ricca di raggi ultravioletti.
Collegando la lamina con una delle coppie di quadranti di un
elettrometro, mentre V altra coppia era in comunicazione con la
griglia e con la terra, e mettendo prima per un istante a terra
la lamina, il Righi i) aveva, con l' illuminazione, una deviazione
sempre assai lenta che raggiungeva un valore massimo tanto
più rapidamente quanto maggiore era la estensione della su¬
perficie illuminata e quanto più intensa la radiazione eccita¬
trice. Esperienze analoghe furono eseguite dallo Stoletow che
inseriva una batteria di pile fra la griglia e la coppia dei qua¬
dranti a terra, il polo positivo di questa batteria essendo in co¬
municazione con la griglia. All'elettrometro, in molte esperienze,
veniva sostituito un galvanometro di alta sensibilità: variando
il potenziale della batteria si poteva raggiungere per la corrente
fotoelettrica il valore massimo cioè la corrente di satu¬
razione.
Alle misure nell'aria ben presto seguirono quelle in celle a
pressione ridotta fino a raggiungere i vuoti più spinti : solo di¬
fatti nel caso di assenza di aria o di altri gas, in particolare i
gas occlusi dalla sostanza che si esamina, la corrente fotoelet¬
trica risulta dagli elettroni emessi dalla sostanza e non da questi
e da quelli che si vengono a formare per la ionizzazione del gas
circostante.
Per liberare le sostanze dai gas occlusi si ricorre al riscal-
A) l. c.
— 40 —
damento con la corrente elettrica oppure al bombardamento ca¬
todico facendo funzionare per tutto il tempo dell'operazione
delle pompe ad alto vuoto. Alle lamine così trattate alcuni spe¬
rimentatori sostituiscono depositi sottilissimi ottenuti o per iono-
plastica o per distillazione della sostanza nel vuoto. Hugues i)
ha difatti costruita una cella che porta nel suo interno una for¬
nace di quarzo ottenendo superficie di metallo che possono
considerarsi come pure e libere di quelle pellicole esilissime che
non possono non formarsi quando si usano lamine preparate
con smeriglio e sottoposte a lavaggi con sostanze varie.
Il Millikan * 2) ed i suoi allievi, nelle ricerche fatte allo
scopo di determinare, per via fotoelettrica, la costante della
legge di Plank, è riuscito ad ottenere risultati non meno buoni
di quelli avuti dall'HuGUES usando lamine ordinarie preparate
col semplice riscaldamento a mezzo della corrente.
Solamente, poiché anche nel vuoto non mancano di for¬
marsi, col tempo, delle pellicole superficiali che, per quanto
sottilissime, alterano il valore della forza elettromotrice di con¬
tatto, di cui bisogna tener conto nel calcolo dei potenziali fo¬
toelettrici, come risulta dalle esperienze dello stesso Millikan,
del Richardson e del Compton 3), egli ha usato superficie sem¬
pre fresche raschiando, prima di ogni esperienza, la superficie
del metallo mediante un coltello mosso con un elettromagnete
dall’esterno.
Come sorgenti luminose negli studii di fotoelettricità si
usano la lampada a mercurio, la scintilla o l’arco fra elettrodi
metallici e la scarica nei gas rarefatti.
La lampada a mercurio presenta sulle altre sorgenti il van¬
taggio dì mantenere abbastanza costante l’intensità luminosa:
la più piccola lunghezza d’onda ch’è possibile ottenere con que¬
ste lampade e che corrisponde al limite di assorbimento del
quarzo, sotto gli spessori che ordinariamente vengono impie¬
gati in queste lampade, è À 1850.
4) Hugues. — Phil. Trans. A. CCX1I p. 205. 1912.
2) Millikan. Phys. Rev. VII. 1916 pag. 362. Hennings A. E. - Kadesch.
W. H. -Phys Rev. Vili. 1916, pag. 221.
3) Richardson e Compton. — Phil. Mag. XXIV. p. 577, 1912.
Quando però si voglia disporre di una maggiore sensibilità
e quindi di lunghezze d'onda più brevi, si fa uso della scintilla
fra elettrodi metallici ottenuta con forti rocchetti d'induzione de¬
rivando delle capacità agli estremi del secondario : con elettrodi
di alluminio si ha, nell'aria, uno spettro assai ricco che si estende
nell'ultra violetto con un bellissimo gruppo di righe assai in¬
tense nell'intorno di X 1300. Millikan e SawveR' l) trovarono
per scintille fra elettrodi di C, Zn, Fe, A g ed Ni, nel vuoto
assai spinto, i limiti degli spettri rispettivamente a X 360, Z 317,
X 272, X 260, X 202.
Anche la scarica nei gas rarefatti viene usata in ricerche di
fotoelettricità. Lyman 2), che ha studiato lo spettro della scarica
nell’H e nell'He, trova che l'H, ad una pressione da 1 a 5 min.,
dà uno spettro assai ricco di radiazioni di piccola lunghezza
d'onda con un estremo a circa X 905 mentre per l'elio l'estremo
è al 510. Queste scariche hanno una debole intensità luminosa
ma fotoelettricamente sono molto attive: qualora però si vogliano
impiegare lunghezze d'onda così piccole bisogna ricorrere a di¬
spositivi completamente nel vuoto.
Nella determinazione della relazione fra effetto fotoelettrico
e frequenza della luce eccitante, relazione che conduce alla de¬
terminazione della costante della legge di Plank, è necessario
isolare radiazioni di lunghezza d’onda ben determinate, ciò che
nelle prime esperienze non si riusciva ad ottenere avendosi nei
risultati scarti dal 10 al 20% del valore della detta costante. Fu
il Millikan a notare, fra le altre, anche questa causa di errore :
oltre a far ricorso a buoni monocromatori egli usava anche degli
opportuni filtri coi quali era sicuro di eliminare le lunghezze
d’onda più brevi di quella impiegata per l'esperienza.
Ai filtri si ricorre sempre quando non vi sia bisogno di
una radiazione semplice: è nota tutta una serie di filtri per un
intervallo che si estende nell'ultravioletto fino a X 600.
0 Millikan e Sawyer. — Phy. Rev. Voi. 12 pag. 167, 1918. Astrophysical
Journal. Voi. 52 pag. 47, 1920.
2) Lyman. The spectroscopy of thè Extreme Ultra - Violet. Longmans.
Astrophysical Journal Voi. 43 pag. 89, 1916. Science Voi. 45, pag. 187, 1917.
42
II. — Potenziale fotoelettrico*
L' emissione di elettroni dalle sostanze per azione della luce
è un fenomeno assai complesso sul quale influiscono sia la na¬
tura della sostanza, sia la intens:tà, frequenza e natura delle ra¬
diazioni eccitatrici,
Si considerino due lamine affacciate 4 e 5 della stessa so¬
stanza ed allo stesso potenziale. Se A viene colpita da un fascio
luminoso mentre B resta all'oscuro, degli elettroni si liberano
da A e vanno verso B : come risultato si ha una differenza di po¬
tenziale, A essendo positiva rispetto a B , che va crescendo fino
a che il lavoro che é capace di compiere l'elettrone espulso da
A, e che vien dato da lJ2 m v2, se con m si indica la massa
dell' elettrone e con v la velocità posseduta da esso fuori del
metallo, non diventi uguale a V e, cioè al lavoro delle forze elet¬
triche dovute al campo antagonista generatosi.
Si ha quindi
(1) Ve = 72mv2
che dice essere la velocità massima di emissione proporzionale
alla radice quadrata del potenziale V che prende il nome di p o-
tenziale fotoelettrico.
Esso può determinarsi sia applicando un campo antagoni¬
sta alle due lamine A e B sufficiente ad arrestare tutti gli elet¬
troni provenienti dalla lamina A sotto 1' azione della luce, sia
applicando ad esse una differenza di potenziale atta a produrre il
moto di convezione degli elettroni liberati : variando il poten¬
ziale si può raggiungere il valore al quale viene a corrispon¬
dere la corrente di saturazione.
L' andamento del fenomeno viene indicato dalla curva della
figura 1 : da essa si rileva:
1. ° che i potenziali contati da O verso D rappresentano dei
potenziali acceleranti mentre quelli da O verso A sono poten¬
ziali ritardanti ;
2. ° OA rappresenta il valore della differenza di potenziale
alla quale corrisponde una corrente nulla cioè rappresenta, in
valore assoluto, il potenziale fotoelettrico :
43 —
3.° un'ordinata della curva, ad esempio EF, rappresenta la
intensità di corrente per la quale gli elettroni hanno una velo¬
cità superiore a quella che corrisponde al valore di v ricavato
Fig. 1
dalla (1) nella quale si faccia V = OF: questa curva, per tale pro¬
prietà, prende anche il nome di curva di distribuzio¬
ne delle velocità.
Dalla figura si rileva poi che senza campo accelerante solo
una parte degli elettroni emessi dalla lamina A raggiunge la la¬
mina B : perchè cioè si possa ottenere la corrente di saturazione
necessita un potenziale accelerante che in figura è indicato con
OD. Tale fatto, che nasce dall' esperienza, è dovuto:
1. ° alla riflessione per parte della lamina B di alcuni degli
elettroni emessi da A, riflessione che cessa a partire da un de¬
terminato valore del campo accelerante l 2):
2. ° dal mancato arrivo di elettroni sulla lamina B per 1' a-
zione deviatrice del campo magnetico terrestre 2):
3. ° sopratutto perchè, come Richardson e Compton 3) hanno
previsto e mostrato in seguito sperimentalmente, la differenza di
potenziale effettiva fra i due elettrodi è quella applicata più o
o meno, a seconda della natura delle sostanze, la differenza di
4) Bayer. O. V. — Verh. Deutsch. Phys. Ges. Bd. 10, p. 96, 1908.
2) Hugues. — On thè emission velocities of piloto electrons. Phil. Trans.
Roy. Soc. 212 pp. 205-226, 1912.
3) Richardson and Compton. — The photoelectric effect. Phil. Ma g. XXIV.
p. 577, 1912.
— 44
potenzale di contatto per effetto Volta. Richardson e Compton
hanno sperimentato con platino, rame, bismuto, stagno e allu¬
minio ottenendo curve regolarissime che mostrano un anda¬
mento analogo a quello della curva (2) nella fig. 1. Non si hanno
quindi elettroni che per raggiungere la lamina B hanno bisogno
di potenziale accelerante, come forse non si avevano nelle altre
esperienze, nelle quali la irregolarità sarebbe dovuta al non aver
tenuto conto della detta differenza di potenziale.
III. — Velocità massima di emissione ed intensità luminosa*
La velocità massima di emissione degli elettroni, e di con¬
seguenza il potenziale fotoelettrico, è indipendente dalla intensità
della luce eccitante come risulta da esperienze di Lenard l)
Lademburg, 2 3) Mohlin 3) e più recentemente di Millikan e
Whincester 4).
Alcune esperienze di Elster e Geitel 5) con superficie di
sodio, di potassio ed anche con amalgame di questi metalli, nelle
quali l’intensità luminosa veniva variata a mezzo di un diafram¬
ma ad iride, han messo in evidenza che la variazione dell’inten-
sità luminosa influisce solo sul tempo necessario a che la lamina
assuma il potenziale positivo costante caratteristico della sostanza
ma non sul valore di questo potenziale che è sempre lo stesso.
Questa indipendenza fra potenziale positivo ed intensità lumino¬
sa risulta anche dalle esperienze di J. R. Wrigt6) che sperimentò
suiralluminio, in vuoti assai spinti, e con sorgenti costituite da
scintille fra elettrodi di zinco, cadmio e ferro che davano varia¬
zioni di intensità luminosa da 10 a 100 unità ottenendo varia¬
zioni del potenziale non superiori al 0, 5 °[0.
Alcuni sperimentatori han creduto di notare una differenza
nei valori della velocità massima di emissione col variare della
0 P. Lenard. — Ann. Physik. Bd. 8, pp. 149-198, 1902.
2) Lademburg. — Deutsch. Phys. Gesell. Verh. Bd. 9. pag. 508, 1907.
3) Mohlin. — Akad. Abhandl. Upsala, 1907.
4) Millikan e Winchester. — Phil. Mag. (6). Voi. 14. p. 201. 1907.
5) Elster e Geitel. — Phy. Zeit. Bd. 10 pp. 457-465, 1909.
6) J. R. Wright. — Phy. Rev. Voi. 33 pp. 43-52, 1911.
— 45 —
intensità luminosa: le esperienze accuratissime del Millikan i)
e di Pohl e Pringsheim 2) dimostrano che la maggiore velocità
che si ottiene usando una sorgente costituita da una scintilla, in
confronto al valore ottenuto con l’impiego dell'arco, è dovuta
unicamente al fatto che nel primo caso non viene eliminata la
influenza delle perturbazioni elettromagnetiche generate dalla
scintilla. Il Millikan ha verificato questo fatto usando elettrodi
di zinco e scintille molto luminose : tutto il sistema che costi¬
tuisce la sorgente viene chiuso in una ga. bia metallica che fun¬
ziona da schermo, il passaggio della luce avendo luogo attra¬
verso una finestra di quarzo. Con questo dispositivo egli ha ot¬
tenuto con la scintilla gli stessi valori ottenuti con l'arco a mer¬
curio : come nelle esperienze di Elster e Geitel il potenziale
positivo costante sotto l'azione della luce veniva raggiunto, per
le intensità molto deboli, in un tempo che era da cinque a sei
volte quello richiesto nelle esperienze con intensità forti.
IV. — Intensità della corrente fotoelettrica ed intensità luminosa*
L’intensità della corrente fotoelettrica, a differenza della ve¬
locità massima di emissione, risulta proporzionale alla intensità
della radiazione eccitante. Tale fatto è stato confermato anche in
eperienze molto recenti fatte dall' Hugues 3), da Ives, f)t Du-
shmann e Karrer4 5 6) e da Elster e Geitel 6); e dalle quali risulta
che nei casi nei quali la proporzionalità non si verifica gli scarti
sono da attribuire all'influenza perturbatrice di qualche parte
della superficie della cella non rivestita dallo strato sensibile, su¬
perficie che viene ad acquistare una carica per elettroni che la
raggiungono. Tale carica è diversa a seconda dell'intensità del¬
l'illuminazione e dell'intensità del campo applicato : ad essa è
4) Millikan. — Phys. Rev. Bd. 1, p. 73, 1913.
2) Pohl e Pringsheim. — Verh. Deutschr. Phys. Ges. Bd. 15, pag. 974, 1912.
3) Hugues. — Phil. Mag. Voi. 35, pag. 679, 1913.
4) Ives. — Astrophysical Journal. Voi. 39, pag. 428, (1914). Voi. 40, pag.
182, (1914). Voi. 46, pag. 241, (1917).
5) Dushman e Karrer. — Astrophysical Journal. Voi. 43, pag. 9, 1916.
6) Physikalische Zeitschrift. Bd 14, pag. 741, 1913.
— 46 —
dovuta una distorsione del flusso di elettroni e quindi una va¬
riazione della corrente misurata.
La forma della cella ha dunque un'importanza particolare:
\mjjl
Fig. 2
1' Hugues indica, in sostituzione del comune tipo della fig. 2 il
tipo della figura 3 che presenta la superficie interna quasi
Fig. 3
completamente ricoverta da uno strato sottile di sodio mentre
l’altro elettrodo è costituito da un bastoncino metallico Elster
— 47
e Geitel trovano che quando tale influenza è eliminata la pro¬
porzionalità si verifica in un intervallo che va da 30000 a
6 X IO’4 ùix : la più piccola intensità d'illuminazione, in queste
esperienze, è di 2,4 X IO'6 Ìux e dà, con un potenziale di 200
Volta applicato alla cella, una corrente di 1,8 X IO'12 Ampère.
Le celle fotoelettriche sono formate generalmente di idruri
di metalli alcalini che risultano più sensibili dei corrispondenti
metalli: per aumentarne ancora la sensibilità s'introducono nel-
T interno di esse piccole quantità di gas inerte, generalmente
He, Ne, Ar, alla pressione di circa 1 mm. La corrente di queste
celle, che sono sensibili anche alla luce ordinaria, può inoltre
essere amplificata con valvole a tre elettrodi : Kunz l) e Pike 2)
hanno ottenuta un'amplificazione nel rapporto di 1 a 15000 e
più di recente Meyer, Rosemberq Tank3) ed altri sperimentatori
sono arrivati ad ottenere correnti 125000 volte più grandi di
quelle misurate direttamente. Si è trovato inoltre che il rapporto
di amplificazione resta sensibilmente costante per correnti de¬
boli.
V. — Intensità della corrente fotoelettrica
e natura della luce eccitante*
Le prime esperienze sulla dipendenza fra piano di polariz¬
zazione, angolo d'incidenza della radiazione ed intensità della
corrente fotoelettrica, per quanto numerose ed accurate, risultano
assai contraddittorie.
Elster e Geitel 4) trovano difatti per i metalli alcalini un
comportamento che non si accorda con quello trovato da Pohl 5)
per altri metalli, come Pt, Cu ed Hg. Con sodio e potassio,
allo stato liquido ed eccitati con luce bianca polarizzata, Elster
e Geitel trovano che la corrente fotoelettrica è dipendente sia
q Kunz. — Phys. Review. Voi. 10 pag. 205. 1917.
2) Pike. — Phys. Review. Voi. 13 pag. 102, 1919.
3) Tank. — Archives des Sciences. Tome 2 pag. 260, 1920.
4) Elster e Geitel. — Weitere lichtelehtrische Versuche. Wied. Ann. Bd.
52, 1894. pag. 433.,, Bd. 55, 1895 pag. 684.
5) Pohl R. —Ueber den lichtelektrischen Effect au Pt, Cu , Hg, in pota
siertem ultrav iolette m licht. Verh. d. D. Phys. Ges. Bd. Il, 1909 pag. 399. Bd.
11, 1909, pag. 609.
— 48 —
dallo stato di polarizzazione della luce sia dall'angolo che il
raggio luminoso fa con la superficie del metallo.
Relativamente allo stato di polarizzazione della luce:
a) si ha un massimo quando il piano di polarizzazione è
perpendicolare al piano d’incidenza, cioè il vettore elettrico, nel¬
l’onda luminosa, è parallelo al piano d'incidenza e quindi con
una componente normale alla superficie del metallo:
b) si ha un minimo quando i due piani sono paralleli.
In quanto poi all'influenza della particolare incidenza del
raggio eccitatore si ha :
a) una corrente fotoelettrica proporzionale alla quantità di
luce assorbita per la luce polarizzata parallelamente al piano di
incidenza :
b) per luce polarizzata perpendicolarmente al piano d'inci¬
denza la proporzionalità manca e si ha solo quando si consi¬
dera quella parte di energia che corrisponde alla componente ad
angolo retto con la superficie metallica.
A diverso risultato conducono invece le esperienze di Pohl
con Pt, Cu e Hg eccitati con luce polarizzata o non e con an¬
goli d’incidenza diversi, impiegando strati sottilissimi del metallo
formati per ionoplastica su lastrine di quarzo.
Se si fanno i rapporti delle intensità delle correnti fotoelet¬
triche ottenute e delle corrispondenti quantità di luce assorbite
si hanno gli stessi valori per tutti gli angoli d'incidenza: si può
quindi dire che vi è un'influenza del piano di polarizzazione e
del diverso angolo d' incidenza della luce eccitante solo in quanto
si ha, per tal fatto, una diversa quantità di luce assorbita.
Altra differenza da notare è che variando la lunghezza di
onda della luce eccitante si ha nelle esperienze di Elster e Geitel
una corrente che va aumentando, raggiunge un massimo per
una certa lunghezza d' onda e poi diminuisce, mentre per
gli altri metalli, nelle esperienze di Pohl, si ha un'andamento
sempre crescente col diminuire della lunghezza d'onda : questo
stesso andamento si ha nelle esperienze dell'Hallvachs per uno
dei metalli alcalini, il potassio, ma in questo caso, ed a diffe¬
renza da quello delle esperienze di Elster e Geitel, esso viene
eccitato con luce normale alla superficie sensibile.
Tale disaccordo fra queste diverse esperienze è però solo
— 49 —
ir ■ .
r .
apparente com'è stato assai bene messo in evidenza, con tutta
una lunga serie di esperienze, da Pohl e Pringsheim !), ricerche
che han condotto a stabilire resistenza di due specie di feno¬
meni fotoelettrici: il fenomeno normale ed il fenomeno se¬
lettivo.
Nell'effetto fotoelettrico normale, che si riscontra in tutti i
metalli, il numero di elettroni emessi, a parità di luce assorbita,
è, per tutti indistintamente i metalli, indipendente dall'orientazio-
ne della vibrazione elettromagnetica. Nell'effetto selettivo invece,
caratteristico dei metalli alcalini, e limitato ad un breve inter¬
vallo di lunghezze d'onda, il numero di elettroni liberati è mag¬
giore quando il vettore elettrico è nel piano d'incidenza. Nelle
esperienze di Elster e Geitel l'influenza del piano di polariz¬
zazione era dovuta al fatto che i due autori sperimentavano con
luce bianca, cioè proprio nella zona di lunghezza d'onda nella
quale si determina il fenomeno selettivo. In questi metalli l'ef¬
fetto fotoelettrico totale può essere riguardato come la sovrap¬
posizione dei due fenomeni con questo di particolare che nel
selettivo il numero di elettroni liberato dall'unità di energia lu¬
minosa è però molto maggiore di quello che si ha con effetto
4) Pohl R. und Pringsheim P. — Verh. D. Phis. Ges. Bd. 12 1910, pag.
349 — Bd. 12 1910, pag. 682 — Bd. 12 1910, pag. 697 — Bd. 12 1910, pag.
1039 — Bd. 13 1911, pag. 219 — Bd. 13 1911, pag. 474 — Bd. 14 1912, pag.
46 — Bd. 15 1913, pag. Ili — Bd. 15 1913, pag. 431.
50 —
normale. La fig. 4 si riferisce (Pohl e Pringsheim) ad una lega
Na-K illuminata obliquamente e l'intensità è quella del fascio
incidente. Per la luce polarizzata E± (vettore elettrico perpen¬
dicolare piano incidenza) l'effetto cresce rapidamente al decre¬
scere della lunghezza d'onda mentre per E|| si ha il fenomeno
di massimo corrispondente ad una determinata lunghezza d'onda.
Nell'ordine d'idee avanzato da Pohl e Pringsheim sottraendo
dall' effetto totale l' effetto normale si hanno le curve indicate nella
fig. 5 che mostrano come col variare dell'angolo d'incidenza lo
effetto aumenta senza che vi sia però uno spostamento della
lunghezza d'onda corrispondente al massimo (lunghezza d'onda
critica). Da ciò si comprende come nelle esperienze dell'HALL-
wachs *) sul potassio il massimo non appaia: con l'incidenza
normale, impiegata da questo sperimentatore, viene difatti a man¬
care ogni componente del vettore elettrico perpendicolare alla
superficie eccitata, vettore al quale sarebbe dovuto il fenomeno
selettivo.
In quanto poi alla posizione di km essa si sposta verso le
lunghezze d' onda più brevi col diminuire del peso atomico dei
l) Hallwachs. — Ann. Phys. Voi. 30, pag. 593, 1909.
metalli alcalini mentre diminuisce la grandezza dell’ effetto mas¬
simo e la curva assume base più larga, come dimostrano i se¬
guenti dati.
Sostanze
À,max
Larghezza della zona
di effetto selettivo
Rb
4700
1800
K
4400
2500
K-Na
3900
2900
K-Hg
3800
2900
Na
3400
-a- 3200
K - TI
3000
> 3200
Li
2800
—
Ba
2800
—
E’ notevole inoltre considerare che nel caso di amalgame
di sodio e di potassio non si ha una lunghezza d' onda massima
ciò che induce a credere che il fenomeno sia un fenomeno di
pura risonanza dell' atomo del metallo alcalino.
Molti sperimentatori, specie in principio, ritennero che ogni
massimo riscontrato in queste curve fosse da ritenere dovuto ad
effetto selettivo : le esperienze successive hanno confermato l'ef¬
fetto selettivo solo per i metalli alcalini mentre negli altri casi
è escluso che il massimo, quando lo si ottiene, sia di natura
selettiva. Il Richardson, in base ad induzioni teoriche, è con¬
dotto a ritenere che le sostanze con effetto normale debbano
presentare tutte un massimo che non è stato notato perchè molto
lontano nell' ultravioletto, massimo che sarebbe completamente
indipendente dallo stato di polarizzazione e dall' angolo d' inci¬
denza: per il sodio l'effetto normale avrebbe un massimo a
k — 227 [api. Pohl e Pringsheim pensano che il fenomeno se¬
lettivo sia in relazione col potere riflettente del metallo. Espe¬
rienze sono state fatte da Mabel K. Erehafer l) sul rapporto
l) Mabel. Frehafer. — Phy. Rev. Voi. 15 pag. 110, 1920.
52 —
dei poteri riflettenti del K e del Na con luce polarizzata nei
due piani : da esse si rileva che per entrambi i metalli si ha un
Eli
massimo ed un minimo del rapporto g-j- (riferito al fascio ri¬
flesso) per le lunghezze d' onda rispettivamente À 3650 U. A.
e 3341 : per il sodio i valori mostrano che la variazione del po¬
tere riflettente, per i due fasci polarizzati ad angolo retto, cade
proprio nell' intervallo nel quale corrisponde il massimo dell’ef¬
fetto selettivo, ciò che non si verifica per il potassio, per il quale
si ha solo una piccola variazione nella curva, in corrispondenza
a À 4358, ma poco netta e, come nota lo stesso A, non troppo
sicura avendo questa parte del diagramma bisogno di ulteriore
conferma per il numero insufficiente di punti rilevati. Gli espe¬
rimenti fatti poi con film sottili, tanto di sodio quanto di po¬
tassio, non hanno indicata alcuna discontinuità nei fenomeni di
riflessione ed assorbimento nella zona dell' effetto selettivo la cui
natura resta perciò ancora oscura e senza spiegazione.
VI. — Emissione fotoelettrica dai corpi non conduttori.
Oggetto di alcune interessanti ricerche è stata la emissione
di elettroni da parte di sostanze non conduttrici.
Generalmente in queste esperienze si ricorre ad un conden¬
satore piano ponendo su di una delle lamine una lastra della
sostanza da esaminare. Con questo dispositivo Goldmann e Ka-
landyk 2) studiarono Y effetto fotoelettrico nello zolfo : R. Wei-
ger 3) sperimentò con altri isolanti quali ad esempio la ebonite,
la mica, la ceralacca ed il vetro che mostrano tutti un' assai pic¬
cola emissione fotoelettrica se esposti alla luce di un arco a
carbone.
Più complete sono invece le determinazioni del Kelly *)
fatte con un dispositivo analogo a quello impiegato da Millikan
nelle sue ben note esperienze per la determinazione del valore
di e. Il particolare condensatore, usato in queste determinazioni,
2) Goldmann e Kalandyk. — Ann. Phys. Bd. 36, p. 589, 1911.
3) R. Weiger. — Ann. Physik Bd. 17, p. 935, 1905.
q Kelly. — The valency of photo electrons and thè Photo-electric Pro-
perties of some insulators. Physical Review. Voi. 16, Ottobre 1920, p. 260.
— 53
è a lamine circolari orizzontali, distanti circa due centimetri, chiuso
tutt* intorno da una striscia di ebonite nella quale sono oppor¬
tunamente ricavate delle finestruole una per l' illuminazione della
goccia, T altra per il microscopio di osservazione e la terza, li¬
mitata da una lamina di quarzo, per 1' entrata delle radiazioni
eccitatrici. Le gocce si ottengono portando la sostanza allo stato
liquido, oppure in soluzione, e polverizzandola nella camera su¬
periore del condensatore. Il potenziale impiegato in queste espe¬
rienze è di 7000 Volta e la carica della goccia, fra i due
piatti, viene regolata a mezzo dell'azione di un fascio di raggi X.
L’ equilibrio viene a mancare per l'azione della luce ultra-
violetta : intercettandone 1' entrata non appena si produce la va¬
riazione nella velocità di caduta, dalla conoscenza di questa
variazione si ha, applicando metodi noti, il valore della carica
emessa.
Il Kelley . sperimentò con zolfo, olio, paraffina e ceralacca
ottenendo le lunghezze d' onda limiti dell’ effetto fotoelettrico
X 2400-2200 per lo zolfo, l 2200 per la ceralacca, 1 2150 per
l'olio e la paraffina: di più egli notò che la fotoemissione dalle
molecole di zolfo e ceralacca risulta di un singolo elettrone per
ogni emissione.
Ricerche di tal genere hanno un grande interesse dal punto
di vista teorico inquantochè la emissione di elettroni dai corpi
cattivi conduttori, che non hanno quindi elettroni liberi, è uno
degli argomenti che può essere portato a sostegno della ipotesi
della natura atomica dei fotoelettroni. Questa ipotesi è ancora
controversa: non è però controverso, come risulta da mie espe¬
rienze l) che nel Selenio, corpo cattivo conduttore dell’elet¬
tricità all' oscuro, la conducibilità prodotta dalle radiazioni lu¬
minose sia dovuta ad elettroni liberati dalPatomo con le modalità
che sono caratteristiche dei fenomeni di risonanza.
l) Del Regno, W. — Sulla natura del fenomeno foto-elettrico nel Selenio.
Nuovo Cimento Serie VI. Voi. 8, Fascicolo Ottobre 1914.
— 54 —
VII. — Influenza della temperatura sulla velocità
massima di emissione.
Anche la determinazione della velocità massima di emissione
in rapporto alla temperatura presenta un grande interesse teorico
perchè Tesservi o no dipendenza fra la detta velocità e la tem¬
peratura è criterio per stabilire appunto la natura del fotoelet¬
trone oggi ancora sconosciuta.
Un'influenza della temperatura sulla velocità di emissione
porterebbe a stabilire T ipotesi che gli elettroni espulsi siano
proprio gli elettroni liberi che vagano negli spazii intermoleco¬
lari dello strato superficiale: la maggiore forza viva che essi
acquistano col crescere della temperatura sarebbe tale da renderli
più facilmente capaci di vincere le forze del doppio strato su¬
perficiale del metallo e liberarli con una velocità all' esterno
tanto più grande quanto maggiore è la temperatura. Qualora
invece i fotoelettroni altro non siano che gli elettroni atomici, e
s' intende non quelli nucleari ma quelli degli strati corticali, è
da prevedere una indipendenza della velocità di emissione dalla
temperatura la cui azione nell' interno dell' atomo è piccolissima
se non del tutto nulla.
Le prime esperienze sull'argomento presentano la più gran¬
de incertezza sia perchè fatte per la maggior parte nell'aria, i cui
moti convettivi rendono incerte le determinazioni , specie se
elettrometriche, sia perchè le sostanze impiegate non erano ac¬
curatamente e completamente liberate dai gas occlusi.
Anche ai nostri giorni, pur usando tutte le precauzioni che
tali delicatissime esperienze richiedono, non esclusa quella di ope¬
rare in vuoti altissimi, non pare sia possibile, a temperature un
poco alte, di sceverare, nelle deviazioni elettrometriche, la parte
dovuta alla dispersione naturale da quella dovuta all'effetto fo¬
toelettrico.
Le migliori determinazioni restano sempre quelle del Mil¬
likan 0 che ha sperimentato prima sull' alluminio, spingendosi
*) Millikan and Winchester. — The influence of temperature upon
photo-electric effects. Phil. Mag. Voi. 14, p. 188, 1907.
1
— 55 —
fino alla temperatura di 348°, ma con risultati non troppo con¬
cordanti, e poi su di undici metalli con i quali ha però dovuto
limitarsi, per avere buoni risultati , alla temperatura di 125° : a
temperature più alte la perdita naturale del sistema costituito
dalla lamina e dall'elettrometro (la lamina era carica a -20 Volta)
diveniva così grande da mascherare completamente l'effetto do¬
vuto all'azione della luce, ed a 400° l'elettrometro disperdeva
ugualmente sia una carica positiva sia una carica negativa. I
risultati ottenuti da questo sperimentatore sono indicati nelle
tabelle seguenti : essi portarono, all'epoca in cui vennero otte¬
nuti, alla conclusione che nessuna influenza sul potenziale foto-
elettrico è esercitata dalla temperatura e quindi che al fenomeno
non prendono parte gli elettroni liberi.
Valori della scarica in divisioni della scala
25°
35°
40°
50°
65°
80°
100°
125°
Rame ....
25.10
25.15
25.20
25.25
25.00
25.05
24.80
24.75
Oro ....
24.70
24.60
24.55
24.70
24.80
24.75
24.40
24.00
Nichel. . . .
24.00
23.96
23.98
23.90
24.05
23.90
23.55
23.40
Ottone. . . .
23.80
23.85
23.95
24.00
23.85
23.90
23.40
23.40
Argento . . .
17.16
17.20
17.15
17.20
17.10
17.00
16.90
16.77
Ferro ....
16.40
16.25
16.30
16.20
16.36
16.55
16.15
16.00
Alluminio . .
14.90
15.00
14.85
14.86
15.06
14.90
14.50
14.55
Magnesio . . .
11.00
11.12
11.10
11.05
11.00
10.97
10.90
10.90
Antimonio . .
4.00
4.00
4.10
4.00
4.00
4.00
3.90
3.95
Zinco ....
1.20
1.30
1.31
1.35
1.26
1.20
1.24
1.10
Piombo . . .
0.90
0.90
0.90
0.88
0.90
0.90
0.90
0.90
È da osservare che l'intervallo assai limitato delle tempe¬
rature nel quale si è sperimentato non consente di asserire
nulla 1' influenza della temperatura sul potenziale fotoelet¬
trico. E’ noto difatti che a temperature relativamente basse,
quali quelle raggiunte dal Millikan , anche i fenomeni di
emissione termoionica, cioè fenomeni enormemente più cospicui
— 56 —
di quelli fotoelettrici, essendo essi dipendenti dagli elettroni li¬
beri che si trovano in numero grandissimo nel metallo, hanno
Potenziali fotoelettrici
26° C.
40°
55°
60°
80°
95°
Argento ....
1.340
1.340
1.342
1.339
1.338
1.336
Ferro ....
1.225
1.224
1.224
1.230
1.220
1.219
Oro .
1.215
1.217
1.215
1.214
1.215
1.213
Ottone ....
1.174
1.170
1.180
1.176
1.181
1.182
Rame ....
1.135
1.132
1.130
1.128
1.126
1.125
Nichel ....
1.126
1.126
1.130
1.130
1.122
1.130
Magnesio . . .
0.839
0.840
0.840
0.842
0.835
0.840
Alluminio . . .
0.738
0.738
0.738
0.735
0.740
0.738
Antimonio . . .
0.394
0.395
0.390
0.395
0.396
0.390 .
Zinco . . . .
0.197
0.197
0.199
0.192
0.190
0.188
Piombo. . . .
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
valori assai piccoli. Non è quindi da escludere che ad alte tem¬
perature un'influenza si abbia anche per questo fenomeno,- in¬
fluenza che, appunto se è piccola, potrà essere rilevata solo quan¬
do venga esplorato un'intervallo di temperature abbastanza am¬
pio. E, solo allo scopo di aumentare l'ampiezza del campo delle
temperature esplorato, si presenta utile lo studio del fenomeno
dalle temperature dell'ambiente a quelle inferiori fino, ad esempio,
alla temperatura dell'aria liquida; una ricerca come quella del
Lienhop l) fatta solo nell’ intervallo temperatura ambiente-tem¬
peratura dell’aria liquida, pur presentando un notevole interesse
dal punto di vista sperimentale è, da sola, insufficiente a deci¬
dere la questione.
Una tale indagine va dunque ripresa specie oggi che lo
stesso Millikan, avanzando l’ ipotesi che i fotoelettroni siano
proprio gli elettroni liberi, riconosce la necessità di una revi¬
sione di tutte le esperienze non escluse le sue.
— 57
Vili. — Legge di Einstein e
determinazione fotoelettrica della costante di PLANK.
Le esperienze fatte per trovare la relazione fra potenziale
fotoelettrico e frequenza della luce eccitante han messo in ri¬
lievo che, qualora tutte le cause di errori nelle determinazioni
siano eliminate, si ha una relazione di perfetta proporzionalità
fra l'energia massima dell'elettrone liberato e la frequenza della
radiazione eccitatrice. Se si indica graficamente questa relazione,
nel piano frequenza energia, si ha una retta, e la tangente del¬
l'angolo che essa fa con l'asse delle frequenze sta ad indicare il
valore della costante h della formola di Plank, mentre il suo
punto d’incontro col detto asse indica la frequenza minima ca¬
pace di liberare un elettrone dalla superficie del metallo, frequenza
che viene comunemente indicata col nome di soglia (threshold)
dell'effetto fotoelettrico.
Nel 1905 Einstein l) ha estesa la teoria di Plank al feno¬
meno fotoelettrico e ritenendo che l’energia di un fotoelettrone
sia appunto il quanto di luce è stato condotto a stabilire la
formola
Ve = hv — p = hv — V0e
nella quale V rappresenta il potenziale fotoelettrico, Ve l’energia
dell'elettrone dopo che ha abbandonato il metallo, V0e l'energia
perduta attraversando il metallo, h la costante di PLANCk e v la
frequenza della luce eccitante.
Se tutta l'energia del fotoelettrone è spesa nel lavoro ne¬
cessario ad attraversare la superficie del metallo, avendosi per
tal fatto all'uscita una velocità nulla, la relazione precedente di¬
venta:
O == hv0 - V0 e cioè V0 e = hv0
che dà il valore dell' energia necessaria per attraversare la su¬
perficie del metallo ed il valore v0 della soglia dell'effetto foto-
lettrico per il particolare metallo in esame.
9 Einstein A. — Ueber eitien die Erzengung und Verwandlung des Li -
chtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt. Ann. Phys. Voi. 17, 1905, 123.
— 58 —
Le esperienze del Ramauser ]) sono le uniche che appaiono
in disaccordo con le precedenti conclusioni tratte dalla relazione
di Einstein: in base ad esse non vi sarebbe un punto d'incon¬
tro della linea dei potenziali fotoelettrici con l'asse delle fre¬
quenze, e quindi non vi sarebbe una soglia dell'effetto fotoelet¬
trico caratteristica per ogni metallo, ma si avrebbe per tutte le
sostanze, un andamento assintotico tendente a zero.
Millikan 1 2) ha fatto una disamina accurata di questi risultati
mettendo in rilievo il fatto che la mancanza d'incontro della
detta linea con l'asse delle frequenze è dovuta al non avere
eliminato, in dette esperienze, l'azione di radiazioni di lunghezza
d'onda più piccole di quella con la quale si determinava volta
per volta il potenziale fotoelettrico, e ciò per l’imperfezione dei
monocromatori usati.
Egli che nelle prime esperienze aveva irregolarità del tipo
di quelle notate dal Ramauser potè avere risultati concordanti,
nell'ordine di vedute dell'EiNSTEiN, impiegando oltre a buoni mo¬
nocromatori opportuni filtri. Altro perfezionamento sperimentale
usato in queste ricerche è stato quello di annullare l'azione di
piccole quantità di luce che arrivano sempre sulla superficie
interna della gabbia di Faraday, destinata a raccogliere gli elet¬
troni liberati dalla lamina eccitata, provocando una corrente, per
quanto piccola, antagonista a quella diretta che dà la misura del¬
l'effetto. Ciò egli otteneva usando pel rivestimento interno della
gabbia una sostanza con una soglia fotoelettrica molto lontana
nell'ultravioletto, e studiando il fenomeno con sodio, potassio e
litio che sono sensibili alla luce ordinaria. Con questo artificio, la
sostanza impiegata pel rivestimento è l' ossido di rame, il Ka-
desch 3), allievo del Millikan, ha ottenuto per h i valori di
1) Ramauser. — Ueber eine direkte magnetiche Methode zur Bestinu-
MUNG der lichtelehtrischen Geschwind igkeits verteilu n g . Ann. Physik. Bd. 45,
1914, pag. 961. Ueber die lichtelehtusche Geschwindigkeitsverteilung und ihre
Abhangigkeit voti der Welleti lànge. Ann. Physik. Bd. 45, 1914 pag. 1120.
2) Millikan. — Einstein ’s Photo electric Equation and Contact Electromo--
trice Eorce. Physical Review. Voi. 7, pag. 18, 1916.
3) Kadesch. — The energy of photo-electrons from Sodium and Potas-
sium as a function of thè frequency of thè incident tight Phys. Rev. Voi. 3,
pag. 367, 1914.
— 59 —
6,16 X IO"27 e 6,09 X IO"27 rispettivamente per K ed Na: le espe¬
rienze successive del Millikan *), estese anche al litio, hanno dato
i valori di 6,569 X IO'27 per il sodio e 6,584 X IO'27 per il litio.
IX. — Relazione fra forza elettromotrice di contatto di due metalli
e frequenze limiti dell'effetto fotoelettrico.
Alcune considerazioni teoriche del Milltkan * 2) hanno con¬
dotto ad un altro metodo sperimentale per la verifica della rela¬
zione di Einstein.
Se si ammette che i fotoelettroni siano gli elettroni liberati dal-
P atomo e non quelli liberi il termine p dev'essere la somma di due
termini pì e p2: il primo rappresenta il lavoro necessario a staccare
l'elettrone dall'atomo e farlo diventare elettrone libero, il secondo
è invece il lavoro necessario per liberare l'elettrone dal metallo.
Ponendo due metalli A e B successivamente dinnanzi alla
stessa gabbia di Faraday si hanno le due relazioni.
per il metallo A (V + K) e == h v — h v0
„ „ B (V' + K')e = hv -hv0'
nelle quali K rappresenta il potenziale di contatto.
Sottraendo dalla seconda la prima si ha
(1) K’-K=X(vo-v0')-(V’-V)
che dà una relazione fra la forza elettromotrice di contatto i po¬
tenziali di arresto e le frequenze limiti dell'effetto fotoelettrico,
relazione che viene verificata sperimentalmente.
Ponendo inoltre
per il metallo A (V + K) e = hv — (pj + p2)
» „ B (V' + K') e = hv — (Pl* + p2')
e sottraendo dalla seconda la prima si ha
(2) (V’— V) + (K1 — K)= - PX
9 Millikan, A. R. — A direct photo eie ctric determination of Plank’s “hin
Phys. Rev. Voi. 7, pag. 355, 1916.
2) Millikan A. R. — Einstein'’ s photoelectric equation and contacte elee -
tromotrice force . Phy. Rev. Voi. 7, pag. 18, 1916.
— 60 —
Essendo e — 2 i valori dei potenziali intrinseci Vsa e V'sb
dei due metalli ed essendo inoltre VSa — V'sb = K'— K la (2
diventa
(3) V' — V =
Le esperienze fatte da Pages, Kadesch e dallo stesso Mìl-
likan per la verifica di queste forinole hanno condotto ad un ri¬
sultato inatteso : ponendo due metalli successivamente e rapida¬
mente davanti alla stessa gabbia di Faraday i potenziali di arresto
V e V' risultano uguali. Per tal fatto la (1) e la (3) danno ri¬
spettivamente
K’ — K = ~ (v0 — V o)
Pi = Pi’
Non potendosi ammettere, perchè contrario ad un gran nu¬
mero di fatti sperimentali, che il lavoro per staccare un elettrone
da un atomo di un metallo sia lo stesso per tutti i metalli, biso¬
gnerà ammettere, per la validità delle relazioni precedenti, che hv0
rappresenti per -i singoli metalli l'energia necessaria pel distacco
dell'elettrone dal metallo stesso e quindi che, alla stessa tempe¬
ratura, vi sia identità fra la funzione hv0 del lavoro fotoelettrico
e la funzione epe del lavoro termoionico.
Ammessa intanto una tale ipotesi deriva che, o 1’ energia
della luce incidente può essere comunicata all'elettrone libero
nella quantità data da un quanto intero, oppure che 1' energia
della luce incidente non è assorbita per quanti interi ma 1' as¬
sorbimento continua fino a che l'elettrone sia in grado di la¬
sciare l'atomo con l’energia hv, la maggiore quantità di energia
p essendo rappresentata appunto dal lavoro necessario per stac¬
care 1' elettrone dall' atomo.
A questa conclusione arriverebbe Barkla con le sue espe¬
rienze con i raggi X ed anche il De Broglie che trova elettroni
con energia hv -|- a, hv -j- b etc.... per quanto egli riconosca che i
termini additivi siano tanto piccoli di fronte ad hv da essere tra¬
scurabili.
L'ipotesi del Barkla condurrebbe ad ammettere che nel me¬
tallo possano esservi un numero infinito di frequenze naturali
— 61 —
oppure che un elettrone in un atomo sia capace di assorbire una
quantità di energia caratteristica dell' atomo ed un'altra che è
solo caratteristica del raggio incidente.
Il Millikan, respingendo questa ipotesi, è propenso ad am¬
mettere che i fotoelettroni siano gli elettroni liberi ciò eh' è in
evidente disaccordo con le conclusioni che egli traeva dalle sue
esperienze sulla nessuna influenza della temperatura sui poten¬
ziali fotoelettrici, esperienze che egli stesso riconosce debbano es¬
sere rivedute. Le curve che danno i potenziali fotoelettrici con
le temperature dovrebbero, secondo il Millikan, presentare delle
discontinuità nei punti in cui agli elettroni liberi si cominciano
ad unire anche gli elettroni provenienti dall'atomo.
X. — Teorie del fenomeno foto-elettrico*
Le principali teorie del fenomeno fotoelettrico sono tre : la
teoria dell'EiNSTEiN i) o dei quanti di luce, la teoria del Debye
e Sommerfeld 2) o dei quanti di azione ed infine la teoria del
Richardson 3) o teoria statistica.
In quanto alla prima, come abbiamo già visto, essa ha buone
conferme sperimentali e non v'ha altra difficoltà ad ammetterla
oltre quella che si riferisce alla impossibilità di spiegare con la
ipotesi della discontinuità dell'energia raggiante i ben noti feno¬
meni dell'ottica fisica.
Le teorie del Debye e del Richardson, per quanto essen¬
zialmente diverse, conducono ad espressioni che si identificano
con quella di Einstein senza però fare alcuna ipotesi sulla natura
dell'energia raggiante.
Secondo il Debye l'elettrone costituirebbe nell’atomo un ri¬
suonatore capace di assorbire l'energia dal campo nel quale esso
4) L. C.
2) Debye, P. - Sommerfeld A. — Theorie des lichteléktrischen Efjettes
Voti Standpunkt des Wirkungs quantum. Ann. physik. Bd. 41, pag. 873, 1913.
3) Richardson, O. W. — Some applications of thè electron theory of
matter. Ph. Mag. Voi. 23, pag. 594, 1912.
— id. id. The theory of photoelectric action. Phil. Mag. Voi. 24, pag.
570, 1912.
— id. id. Richardson and Compton.— 77z£ photoelectric effect. Phil.
Mag. Voi. 24, pag. 575, 1912.
— 62 —
viene a trovarsi immerso: nel caso dell'effetto fotoelettrico dal
campo della radiazione luminosa eccitante. Esso, per l'energia
assorbita, si libererebbe dall'atomo dopo un certo tempo, il tempo
necessario ad assorbire un quanto di azione dato in valore
h
da— — in cui h è la costante di Planck; l'espressione della
2 Jt
energia sarebbe poi data da
r
(i)
o
in cui r è il tempo di azione ed H la differenza fra l'energia
cinetica e l’energia potenziale dell'elettrone. Si avrebbe quindi,
secondo il Debye, all'atto della liberazione dell' elettrone.
r
o
L'energia richiesta per liberare l'elettrone dalla sostanza non
sarebbe contenuta nell'atomo ma nella radiazione eccitante sulla
cui natura, per la teoria del fenomeno, non occorre fare alcuna
particolare ipotesi tanto meno quella della discontinuità dell'e¬
nergia ammessa nella teoria dell'EiNSTEiN.
Si supponga ora l'elettrone nell'atomo legato alla sua posi¬
zione di equilibrio da una forza - fx, cioè contraria allo sposta¬
mento x e proporzionale ad esso. Se l'elettrone è sollecitato da
una forza esterna, dovuta unicamente all'onda incidente monocro¬
matica, data da
e F == e Ecosnt
diretta secondo l'asse delle a: (n == pulsazione == 2jcv) l'equazione
del movimento dell'elettrone, trascurando ogni smorzamento, sarà
mx" = eF - fx = e Ecosnt - fx
L'energia cinetica e l'energia potenziale saranno date rispet¬
tivamente da
T = % mx'2 U == % fx2
— 63 —
Sostituendo ad H nella (1) il valore
T - U == V2 mx’2 — V2 fx 2 si ha
r r
(3) W = / ~ x'm - f-t x2dt
o o
Sviluppando per parti il primo degli integrali si ha
r r
f'm ,, m , /s m ....
x'2dt=^- x x- I x^-x'dt
o o
e sostituendo nella (3)
r
(4) W=~ x'x - -ì- I x(mx" - fx) dt
o
L'energia dell'elettrone è rappresentata da una curva oscillante
la cui ampiezza va da zero ad un massimo. Se W deve raggiungere
il valore rappresentato dal quanto di azione 0 — questo deve
Z 3T
avvenire nelle vicinanze di un massimo perchè in caso diverso esso
viene a corrispondere al massimo dell'oscillazione precedente.
Per W massimo
dW
dt
= o e quindi T = U
cioè
m
• ’2
_ f
fX2
~r x2 e quindi x'2 =
2 m
(5)
Per essere la pulsazione dell'elettrone
n0 = 2jevc
V-L
m
la (5) dà x' =n0 x
e quindi il primo termine della (4) si trasforma in
m 1 m T
— XX = - zr- x 2 — - —
2 n0 2 n0
cioè il primo termine dell'espressione di W, e che corrisponde al
tempo r poiché è nullo per t = o (x = x’ = o), è dato dall'energia
— 64 —
cinetica dell'elettrone dopo il tempo di accumulo r divisa per la
sua pulsazione n0.
Essendo
h
2 JT
T-_ _ jl /
n0 2 J
xFdt
si avra
Tr = hx)0 + f JcFdt (6)
O
che dà il valore dell'energia cinetica dell'elettrone quando esso
viene emesso dalla sostanza. Nel caso della risonanza pura si di¬
mostra che il secondo termine della (6) si annulla e quindi per
l'energia dell’elettrone si ha il valore
T = hv0 = hv
In questa espressione, come in quella di Einstein, non com¬
pare l'intensità della radiazione incidente che influisce solo sul
valore di r. Quando invece non si ha la risonanza pura, se n >n°,
1'emissione fotoelettrica ha luogo con un’energia Tr <hv0<hv;
se n<n0, non si verifica in generale l'accumulo di un quanto di
azione e quindi non si ha emissione fotoelettrica. Da questa teo¬
ria scaturisce dunque anche un' influenza della sostanza eccitata,
ciò che non si ha nella teoria dell'EiNSTEiN, influenza che porta
alla esistenza di un massimo per tutte le sostanze com'è preve¬
duto per altra via, teoricamente, dal Richardson.
In questa teoria il Richardson considera una cavità nell'in¬
terno della sostanza mantenuta a temperatura costante: nelle
condizioni di equilibrio il numero di elettroni che in un deter¬
minato tempo dall'atmosfera di elettroni, che riempie la cavità,
entrano nella sostanza attraverso la superficie, è uguale al numero
di elettroni che vengono emessi dalla superficie per effetto della
radiazione totale che agisce fotoelettricamente.
Il numero di elettroni contenuto per ogni cm3 dall'atmosfera
— 65 —
di elettroni che riempie la cavità considerata è funzione della
temperatura alla quale essa si trova ed è dato da
J " RT- dT
n = Ae
in cui A è una costante che dipende dalla natura della sostanza,
R è la costante dei gas e si riferisce ad un singolo elettrone
dimodoché l'energia cinetica di un elettrone alla temperatura T
è data da 3/2 R T ed w è il calore latente di evaporazione di un
elettrone dalla sostanza, calore che è dato dalla somma di due
termini, uno w0 equivalente al lavoro fatto per vincere le forze di
richiamo da parte della sostanza e l'altro equivalente all'energia
cinetica posseduta aall'elettrone.
Dalla teoria cinetica dei gas risulta che il numero di elettroni
che da quest'atmosfera arriva alla superficie della parete che
limita la cavità, per secondo, è dato da
j_
N == (3n T 2
e quindi
, dT & \
N = pATTe
e sostituendo ad co il suo valore si ha
- CDo
N = A,re~RT
Questo è il numero di elettroni che, nelle condizioni di
equilibrio, dev'essere eguale al numero di elettroni emessi. Con¬
siderando la densità dell'energia raggiante nell'intervallo di fre¬
quenze dv e supponendo che essa sia rappresentata da una fun¬
zione E della temperatura e della frequenza (nei calcoli per le
verifiche sperimentali il Richardson impiega o la formola diWiEN
o quella del Plank) la quantità di questa energia che viene as¬
sorbita è data da
~ sE(vT)dv
— 66 -
nella quale c rappresenta la velocità della luce ed s è remissività
della sostanza.
Se si ammette che il numero di elettroni emessi dalla super¬
ficie per l'eccitazione della radiazione è proporzionale alla quantità
di energia elettromagnetica assorbita, e se F (vT) indica il nu¬
mero di elettroni emessi dall'unità di area della superficie quando,
attraverso di essa, passa l'unità di quantità di energia raggiante
di frequenza v, il numero totale di elettroni emessi nell'unità di
tempo dalla radiazione totale è
00
r*>
sF(vT)E(vT)dv.
O
Nelle condizioni di equilibrio si ha
<» — 03 o
-—■I eF(vT)E(vT)dv = A1T2e”Rr
O
che, quando per E (vT) si assuma la formula di Wien diventa
°°* -hv - co0
T '~ir§l ®F(vT)hv3e~Sr dv = A2T2e^r
O
che ammette come soluzione
(a) eF(vT) = o quando o<hv<co0
COo
hv
Essendo co0 = hv0 dalla prima delie (a) risulta che manca la
emissione fotoelettrica per frequenze minori di cioè minori
di v0 (soglia) e ciò in accordo ai risultati sperimentali.
Inoltre se Tv è l'energia cinetica media di un elettrone libe¬
rato dalla luce di frequenza v, l'energia totale di tutti gli elettroni
emessi sarà
co
E = -j- /TveF(vT)E(vT)dv
)
per co0<hv<oo
sF(vT) =
_Ah_
R2V2
(
— 67 —
L'energìa che arriva al metallo a causa dell'agitazione termica
degli elettroni interni è data da 2NRT per secondo. Se non vi è
riflessione si ha
oo -hv -hv
f TveF(vT)hv3e_5r" dv = 2A2RT3e RT
O
Con i valori della (a) si ricava
Tv = hv-o)0 per co0<hv<oo
formola che si identifica con quella di Einstein senza che vi sia
stata necessità di ammettere una particolare struttura dell'energia
incidente.
L'esame della relazione (a) dice inoltre che la emissione foto-
elettrica invece di crescere indefinitamente raggiunge un valore
massimo in corrispondenza al valore della frequenza v=3/2v0
Ciò può essere sottoposto al controllo sperimentale per quanto
non sia possibile nelle esperienze realizzare le condizioni teori¬
che assai semplici messe a base dei calcoli: del resto, anche quan¬
do ciò fosse possibile, bisogna tener presente che le funzioni
indicate sono soluzioni del problema ma non soluzioni complete.
Esse indicano che la funzione ha la stessa forma per tutte le so¬
stanze, la caratteristica deila sostanza entrando semplicemente
nel valore particolare di v0 cioè della soglia fotoelettrica del
metallo.
A verificare la detta relazione Compton e Richardson l) spe¬
rimentarono con Pt, Al, Na e Cs con luci monocromatiche di
frequenze differenti. I risultati ottenuti per l'alluminio ed il Na
(vedi fig. 6a e fig. 7a a pag. seguente) indicano un valore del
massimo che è più netto di quello presentato dalla curva costruita
in base ai dati teorici: vi è però accordo fra i due massimi.
In quanto al sodio la curva sperimentale presenta due mas¬
simi ben definiti ed un andamento molto diverso da quello teorico.
Il Richardson è condotto a ritenere la (a) come un'espressione
4) Compton and Richardson. — The photoelectric effect. Phil. Mag. Voi.
26, pag. 549, 1913.
— 68 —
incompleta della e F (v T) che lascia prevedere la lunghezza d'onda
della soglia ed il primo dei massimi : l'altro massimo sarebbe
dato da un'altro termine che completerebbe l'espressione di
Fig. 6.
gF (v T). Ciò significa che anche per gli altri metalli vi è l’altro
massimo ma esso capita troppo oltre nell'ultravioletto per poter
essere determinato.
— 69 —
PARTE SPERIMENTALE
Relazione fra comportamento fotoelettrico e comportamento elastico
dei metalli.
Nella vasta letteratura sul fenomeno fotoelettrico non ho
trovato traccia di ricerche intese a stabilire una possibile dipen¬
denza fra fenomeno fotoelettrico e stato particolare di tensione
dei diversi metalli sottoposti all'azione della luce.
Questa indagine ho voluto tentare sia per interesse che
presenta in sè, sia perchè essa si collega a tutto un complesso
di ricerche che, con indirizzo unico, da diversi anni e da diversi
sperimentatori, si eseguono nell' Istituto di Fisica Sperimentale
della R. Università di Napoli.
Questa parte del presente lavoro, unitamente ai risultati della
mia precedente ricerca sulla natura del fenomeno fotoelettrico
nel Selenio *) rappresenta il contributo, di carattere sperimen¬
tale, portato dall'A. alle nostre attuali conoscenze sul fenomeno
fotoelettrico.
Dispositivo sperimentale impiegato»
Il dispositivo impiegato nello studio che mi sono proposto
è il seguente:
La lamina sulla quale si sperimenta è in comunicazione con
una delle coppie dei quadranti di un elettrometro tipo Doleza-
lek che può essere anche messa a terra. L'altra coppia di qua¬
dranti è messa stabilmente a terra mentre l'ago si carica ad un
potenziale determinato, servendosi di una piccola batteria di
elementi Kruger tale da aversi nelle condizioni di ciascuna espe¬
rienza una conveniente sensibilità.
Di fronte alla lamina, alla distanza di qualche millimetro, è
posta una griglia metallica che trovasi in ccmunicazione con il
polo positivo di una piccola batteria di accumulatori di cui l'al-
tro polo è a terra. La sorgente luminosa è costituita da una
lampada a vapori di mercurio tipo Heraeus: i raggi luminosi
l) L. C.
— 70 —
sono concentrati sulla lamina a mezzo di una lente di quarzo e
possono essere intercettati con la chiusura di una finestruola
portata da un opportuno schermo: la distanza fra lampada e
lamina risulta in queste condizioni di m. 0,50.
La lamina è fissata ad un pezzo ad U rovescio che, me¬
diante grosse viti, è unito ad una sbarra fissa di legno : le viti
penetrano in due grossi cilindri di ebollite intasati nella sbarra.
La parte superiore della lamina è stretta fra due lastre di ebo-
nite in modo che il passaggio delle viti non stabilisca contatto
della lamina col sostegno ad U che è metallico e propriamente
di ottone. La parte inferiore poi della lamina è stretta in un
pezzo simile a quello superiore: per fare in modo che la lamina
si conservi sempre alla stessa distanza dalla griglia in tutto il
corso delle esperienze, e specie quando si applica il carico, il
sostegno è fatto come si è detto ad U rovescio, dimodoché le
colonnine possono fare da guida. A questo pezzo, mediante un
gancio che passa pel centro , viene sospesa una grossa rotella di
ebonite sulla cui gola passa un filo rivestito d' isolante che porta
all'estremo il piatto dei carichi messo stabilmente in comunica¬
zione col suolo.
Non v'ha dubbio che la lamina metallica, stretta fra le quattro
lastrine di ebonite ai due estremi, sia completamente isolata dal
sostegno metallico : questo per altro è, a sua volta, bene isolato
dal suolo perchè alla parte superiore è avvitato nei cilindri di
ebonite portati dalla sbarra di legno ben secco, ed alla parte in¬
feriore è separato dal piatto dei carichi a mezzo della grossa ro¬
tella di ebonite. Con questo dispositivo viene a mancare ogni
dubbio circa possibili effetti di variazioni di potenziale dovute a
variazioni di capacità elettrica prodotte dalle variazioni del carico,
ed inoltre quando, per una causa qualunque, venga a difettare o
addirittura a mancare l'isolamento fra carico e sistema portante
la lamina, se ne ha indizio dalla mancata indicazione dell'elet¬
trometro.
Nella tema che l'applicazione del carico avesse a produrre,
con lo spostamento del pezzo inferiore del sostegno per rispetto
alle colonnine, una piccola elettrizzazione per strofinio, ogni
qualvolta si variavano i carichi l'intero sostegno veniva messo
a terra.
— 71
Le esperienze sono state condotte nel seguente modo.
Portata la lampada a regime costante e tenendo la lamina a
terra si apriva la finestruola in modo da dar passaggio ai raggi lu¬
minosi: rapidamente veniva tolta la comunicazione della lamina
col suolo facendo contemporaneamente scattare un conta secondi.
Le letture venivano fatte ad intervalli di un primo fino ad aversi
un potenziale costante sotto razione della luce. Chiusa la fine¬
struola e rimessa a terra la lamina, si applicava il carico e poscia
si ripeteva l'esperienza in modo analogo notando il nuovo valore
del potenziale raggiunto dalla lamina. Per tal modo di speri¬
mentare non v'ha dubbio che l'effetto differenziale, malgrado si
operi nell'aria, sia dovuto unicamente alla variazione di tensione
della lamina.
In tutte le esperienze veniva, a brevi intervalli di tempo,
controllata la sensibilità dell' elettrometro con uria pila cam¬
pione tipo Weston che si riuscì ad avere costante per tutto il
tempo di un'esperienza e per diversi giorni consecutivi.
Le lamine cimentate si sono sempre caricate positivamente:
tutte le curve dei potenziali ottenute, malgrado i tempi non pic¬
coli di esposizione, mostrano una regolarità che assicura dell'as¬
senza di qualsiasi causa disturbatrice dovuta ad azioni sia elet¬
trostatiche sia termiche. Per quanto si dimostrasse superflua pure
non si mancò di operare la verifica della natura dell' effetto :
intercettando i raggi luminosi con un vetrino l'elettrometro ri¬
maneva a zero.
Risultati ottenuti.
Da uno studio preliminare da me fatto con una lamina di
nichel isolata, messa a piccola distanza da una griglia portata a
potenziali diversi, risulta che in corrispondenza alla stessa inten¬
sità luminosa ed alla stessa distanza fra lamina e griglia, l'indi¬
cazione data dall'elettrometro, pel potenziale della lamina, va au¬
mentando, per quanto sempre meno rapidamente, con l'aumentare
del potenziale della griglia. Difatti, come si rileva dallo specchietto
a pagina seguente, mentre passando da + 4 Volta a + 12 Volta pel
potenziale di griglia con un' illuminazione corrispondente a 2
ampère per la corrente di alimentazione della lampada, l'aumento
— 12 —
di potenziale della lamina è di 1,96 Volta, passando da + 12 a
+ 100 Volta l'aumento è solo di 1,42 Volta: per Tilluminazione
corrispondente a 3 ampère per la corrente di alimentazione, lo
effetto è più cospicuo avendosi prima un aumento di Volta 3,13
e poi di Volta 0,86.
Poiché, come risulta dalle indagini del Thomson, con lo
aumento dell'intensità del campo, al fenomeno fotoelettrico viene
a sovrapporsi quello dovuto alla ionizzazione per urto nello
spazio che intercede fra la lamina e la griglia, e dato l'assai pic¬
colo aumento del potenziale raggiunto dalla lamina in corrispon¬
denza ad un aumento di potenziale al di là dei 12 Volta, ho, in
Intensità corrente
della lampada
+ 4 Volta
+ 8 Volta
+ 12 Volta
+ 100 Volta
2 ampère
0,95
1,41
2,91
4,33
3 ampère
2,79
4,16
5,92
6,78
tutte le mie esperienze, nelle quali ho quasi sempre impiegato
1' illuminazione con la corrente di 2,5 ampère della lampada,
portata la griglia al potenziale di 12 Volta.
Le lamine da me sperimentate presentano, illuminate la pri¬
ma volta, una sensibilità che diminuisce in principio rapidamente
con le successive illuminazioni e poi in seguito più lentamente
e con modalità diverse che sono dipendenti dal particolare av¬
vicendarsi delle eccitazioni luminose e dei processi meccanici ai
quali la lamina è sottoposta. L'andamento assai regolare indicato
dalla tabella a pagina seguente si riferisce ad una lamina di rame
fortemente ricotta e trattata poi con smeriglio: illuminata la prima
volta ho avuto, con le successive illuminazioni sempre nelle stesse
condizioni e separate da un intervallo di cinque minuti di riposo,
una rapida accomodazione fotoelettrica con un potenziale finale
che può ritenersi il potenziale della lamina nelle condizioni ini¬
ziali perchè si ritrova anche dopo aver cimentata la lamina per
— 73 —
circa quattro ore con carichi diversi e dopo averla lasciata in
riposo per quindici ore.
V
2'
3'
4'
5'
15'
Volta
la
illuminazione
405
498
522
529
530
514
+ 8.30
2a
«
. 375
455
482
490
491
482
+ 7.79
3a
»
342
425
450
460
462
456
+ 7.36
4a
»
325
407
432
440
444
451
+ 7.28
5a
il
328
409
438
447
451
451
+ 7.28
Intensità di corrente della lampada: Ampère 2.5.
Potenziale della griglia: 12 Volta.
Per quanto lavorassi in aria, con lampada a mercurio e quindi
in atmosfera assai ricca di ozono, non ho avuto, come indica
qualche autore, effetti quasi immediati di notevole fatica fotoe¬
lettrica. Ho potuto constatare, e ciò si rileva nelle esperienze
riportate, che, successive identiche illuminazioni producono, in
generale, una piccola diminuzione dei valori dei potenziali rag¬
giungendosi in molti casi, dopo due o tre illuminazioni, valori
quasi costanti. Per tale ragione quando s'intende mettere in evi¬
denza razione del carico, e quando quest'azione è piccola e nel
senso di una diminuizione, occorre iniziare 1' esperienza solo
dopo una serie di illuminazioni, a lamina scarica, nelle identiche
condizioni di luce in modo o da aver raggiunto il potenziale
costante o da conoscerne la velocità di variazione. Occorre
quindi, oltre che per altre ovvie ragioni, che la lampada abbia
un'intensità luminosa costante, ciò che si è raggiunto assai bene
nelle mie esperienze usando una batteria di accumulatori sem¬
pre ben carica, mantenendo la lampada sempre accesa anche
nei periodi di riposo delPesperienza, perchè se occorre del tempo
per raggiungere un certo regime, questo, una volta stabilito, si
mantiene anche per lunghe ore, e finalmente eliminando la luce
dovuta ad uno degli estremi del bastone luminoso che non
cessa mai, per quanto si possa ridurre, di presentare un leg-
— 74 —
giero tremolio. Dato inoltre il non breve periodo di funziona¬
mento della lampada in una serie di esperienze, un'influenza del
riscaldamento, e quindi una variazione dell'intensità luminosa,
si ottiene qualora si usi la lampada nelle condizioni di massima
luminosità. Io ho preferito ridurre l'intensità della corrente a
2.5 ampère, mentre la lampada poteva lavorare fino a 3.5 ampère,
e guadagnare d'intensità luminosa avvicinando al massimo la sor¬
gente alla lamina e concentrando la luce con una lente di quarzo.
Per ora, volendo sopratutto assodare* 1'esistenza del feno¬
meno, ho sperimentato solo su due metalli, il rame ed il nichel
con i quali è possibile avere buone superficie quasi inalterabili
all'aria: per ottenere condizioni di isotropia, trattandosi di me¬
talli laminati, li ho ricotti e poscia trattati con carta smeriglio
sottile e lavati con benzolo, alcool ed acqua distillata.
In tutte le mie esperienze ho avuto costantemente
verificata l'influenza del carico.
La tabella la e la tavola la si riferiscono ad una lamina di
Tabella l.a Nichel Carico 5 Kg.
Tempo
scarica
carica
scarica
carica
scarica
carica
V
188
200
180
198
181
197
2'
259
310
247
295
253
293
3'
285
366
270
338
278
341
4'
297
392
278
358
287
364
5’
299
402
280
368
291
379
6’
299
409
280
371
294
387
r
299
411
281
374
295
393
8’
299
412
280
376
298
392
9’
299
413
280
376
299
390
10’
—
413
280
376
299
387
+ 5.75
+ 7.94
+ 5.38
f 7.23
+ 5.75
+ 7.44
Intensità corrente della lampada : Ampère 2.5.
Tensione della griglia: Volta 12.
- 75 —
nichel solo leggermente ricotta. Essa è stata di seguito, alterna¬
tivamente, caricata e scaricata con un carico di 5 kg., ottenen¬
dosi sempre, nella trazione un aumento, e nella detrazione una
diminuzione del potenziale. Inoltre la variazione relativa del po¬
tenziale per effetto del carico, che la prima volta è 0,38, diventa
più piccola nei cicli successivi: si ha difatti pel secondo ciclo il
valore 0,34 e pel terzo 0,29 ciò che indica un piccolo effetto di
fatica fotoelettrica. La tabella 2a si riferisce sempre alla stessa
Tabella 2.a Nichel Carico 5 Kg.
Tempo
Carica
Carica
Scarica
Carica
Scarica
Carica
V
120
120
114
110
108
107
2'
203
213
193
190
177
165
3'
255
277
232
250
210
199
4'
288
327
254
286
225
220
5'
309
355
268
317
232
231
6'
321
375
278
335
239
238
: r
327
374
284
348
245
240
8'
330
375
287
359'
247
242
9'
341
375
290
365
236
243
10'
350
382
289
368
234
242
11'
361
392
288
370
228
242
12'
367
393
287
371
222
242
13'
371
386
284
372
220
242
14'
377
376
282
373
218
242
15'
380
364
282
373
217
242
+ 6.67
+ 6.38
+ 4.94
+ 6.54
+ 3.81
+ 4.24
Intensità della corrente della lampada = 2.5 Ampère
Tensione della griglia = Volta
lamina sulla quale si è voluto esagerare' l’effetto di fatica fa¬
cendola rimanere con la tensione corrispondente al carico ap¬
plicato di 5 kg. per la durata di 45'. Le due serie, fatte con la
— 76 —
làmina in queste condizioni nei primi e negli ultimi 15', danno
un valore poco diverso del potenziale con una leggera dimi¬
nuzione del secondo rispetto al primo: le serie fatte successi¬
vamente, caricando e scaricando la lamina, confermano l'influenza
del carico sul potenziale ed il segno della variazione. Solamente
in questo caso si nota l'influenza della fatica prodotta sulla la¬
mina perchè la variazione relativa del potenziale scende rapida¬
mente, da un ciclo all'altro, da 0,32 a 0,11.
Cimentando questa stessa lamina con un carico maggiore
si è avuta l' inversione del segno della variazione così come
nelle esperienze del Cantone ed altri, col crescere del carico, si
ha prima una diminuizione e poi un aumento della resistenza
elettrica specifica.
La tabella 3a e la tavola 2a si riferiscono al carico appli-
Tabella 3.a Nichel Carico 7 Kg.
Tempo
scarica
carica
scarica
carica
scarica
carica
r
115
110
106
104
100
98
2'
201
187
188
183
170
168
3‘
260
240
250
240
238
219
4'
303
280
297
279
281
258
5’
333
304
329
310
315
280
6'
353
322
350
330
338
305
r
368
338
369
337
356
314
8’
379
346
380
339
369
321
9’
387
352
390
339
378
329
10'
392
357
396
342
384
330
ir
395
359
399
339
390
335
12’
398
362
402
339
392
334
13'
400
364
402
340
393
337
14’
402
365
402
341
394
336
+ 7.17
+ 6.51
+ 7.18
+ 6.09
+ 7.03
+ 6.00
Intensità corrente della lampada: Ampère 2.5.
Tensione griglia: 12 Volta.
— 77 —
cato di 7 kg. si ha in queste esperienze sempre una diminu¬
zione del potenziale con 1' applicazione del carico ed un ritorno
al potenziale primitivo quando la lamina si scarica.
E’ degno di nota rilevare come scaricando la lamina, la prima
volta, si ritorna perfettamente allo stesso valore del potenziale,
mentre la seconda volta si ritorna ad un potenziale solo un pò
più piccolo ciò che indica un leggero effetto d'isteresi. Anche il
potenziale della lamina carica differisce di assai poco nella se¬
conda e terza esperienza: come risultato si ha che la variazione
relativa è la stessa nelle due ultime esperienze avendosi i valori
rispettivamente di 0,09 — 0,15 — 0,15.
Le esperienze successive fatte con un carico di 9 kg. con-
Tab. 4.a Nichel Kg. 9
Tempo
Scarica
Carica
Scarica
1'
93
84
90
2'
170
158
165
3'
231
211
219
4'
280
250
260
5'
316
280
292
6r
346
304
314
7'
367
319
332
8'
386
334
344
9'
399
344
356
10'
410
352
363
11'
417
358
369
12'
424
360
374
13'
429
365
377
14'
432
368
378
15'
434
370
381
+ 7.75
+ 6.61
+ 6.80
Intensità: Ampère 2.5.
Tensione griglia: 12 Volta.
— 78 —
fermano come indicano le tabelle 4a e 5a che si riportano, Y in¬
fluenza del carico ed il senso della variazione che corrisponde
sempre ad una diminuzione del potenziale. La lamina però, sia
per il maggior carico sia per il lungo periodo di lavoro, è meno
attiva che nella esperienza precedente, avendosi una variazione
relativa di 0,14 che si riduce ancora essendo successivamente
eguale a 0,08.
Tabella 5.a Nichel Carico Kg. 9
Tempo
Scarica
Carica
Scarica
1’
60
60
54
54
57
57
2’
92
94
85
88
91
90
3’
109
112
102
106
107
109
4’
117
119
113
115
118
116
5'
122
126
118
120
125
124
6’
125
129
120
125
127
128
r
126
133
123
125
130
129
8’
127
137
124
125
132
131
9'
131
136
124
125
134
132
10’
131
136
124
125
136
133
ir
132
137
125
126
135
133
12’
133
137
126
124
135
133
13’
135
137
125
125
135
132
14’
136
138
126
124
135
132
15’
136
138
127
124
135
132
137
+ 3.16
125
+ 2.89
133
+ 3.04
Intensità: Ampère 2.5
Tensione griglia: 12 Volta.
Comportamento essenzialmente diverso presenta il rame per
il quale si ha sempre diminuzione del potenziale per effetto del-
T applicazione del carico con variazioni relative più piccole di
quelle che si avevano col nichel. Inoltre non è possibile, col ra-
79 —
me, spingersi a carichi un pò forti perchè in tal caso si ha un
notevole effetto di fatica che riduce notevolmente Y attività fo¬
toelettrica della lamina.
La tabella 6a si riferisce ad una lamina di rame fortemente
ricotta: da essa si rileva la variazione dei potenziali per un ca¬
rico di 5 kg: per un carico piu piccolo l’effetto non manca per
Tabella 6.a Rame Carico 5 Kg.
Tempo
Scarica
Carica
Scarica
Carica
Scarica
Carica
Scarica
V
328 !
315
327
310
318
299
328
2'
409 ;
393
409
390
398
378
413
3'
438
415
432
414
421
408
432
4’
447 ;
421
442
421
431
420
442
5'
451
425
446
425
435
—
444
6’
453
426 !
447
425
436
—
454
T
451
427
448
425
437
429
453
8'
451
429
450
425
439
429
448
9’
452
429
450
425
439
430
443
10'
456
428
449
425
440
428
448
w
456
429
449
425
439
427
449
12’
454
429
450
425
438
426
449
13’
452 #
429
451
424
438
428
449
14'
452
429.5
452
424
437
428
449
15'
451
430
451
424
437
429
449
+ 7.28
+ 6.94
+ 7.28
+ 6.83
+ 7.05
+ 6.92
+ 7.22
Lamina di rame fortemente ricotta.
Intensità della corrente della lampada : Ampère 2.5,
Potenziale dalla griglia: 12 volta.
quanto piccolo ed è anche di diminuzione del potenziale col ca¬
rico applicato.
L' esperienza dice che per il primo ciclo si ha scaricando
la lamina un ritorno al valore che si aveva prima dell’ applica-
— 80 —
zione del carico ed un effetto d' isteresi quasi nullo. Non così nel
ciclo successivo nel quale si ha una maggiore variazione relativa
del potenziale, passandosi dal valore 0,046 al valore 0,061, ma non
manca un effetto d* isteresi : considerando il terzo ciclo si ha nel
ritorno una curva che si mantiene non al disotto come prece¬
dentemente, ma al disopra della curva di andata: qualora però
la si rapporti ai valori corrispondenti dell’andata, tanto nel primo
che nel secondo ciclo, essa si trova al disotto. In questo terzo
ciclo la variazione relativa del potenziale è assai piccola ridu¬
cendosi a 0,018.
Con questa stessa lamina, dopo un periodo di riposo di 20
ore, ho avuto, con una maggiore eccitazione luminosa (3 ampère
invece di 2,5) i risultati indicati nella tabella 7.
Tabella 7.a Rame
Tempo
Scarica
CARICA
Scarica
Kg. 2.000
Kg. 4.000
Kg. 5.000
r
320
330
320
310
320
2'
460
457
447
434
455
3'
510
500
489
483
506
4'
530
517
503
501
523
5'
540
523
509
509
527
6'
546
527
512
512
528
7'
, 552
531
515
514
527
8'
555
533
514
514
528
9'
556
533
516
514
527
10'
558
535
516
514
527
Volta + 8.73
Volta + 8.38
Volta + 8.20
Volta + 8.1 7
Volta +8.44
Lamina di rame fortemente ricotta
Intensità corrente della lampada: Ampère 3.
Potenziale di griglia: 12 Volta.
— 81 —
Essi si riferiscono ad un ciclo compiuto con carichi diversi
il massimo dei quali era di 5 kg. come nel caso precedente: i
valori stanno ad indicare una diminuzione continua del poten¬
ziale col carico, il ritorno ad un valore del potenziale maggiore
scaricando la lamina, ed un effetto d'isteresi. La variazione re¬
lativa di potenziale, malgrado la maggiore eccitazione luminosa,
non ha superato il valore massimo ottenuto nella serie prece¬
dente essendo uguale a 0,064 ciò che indica una diminuzione
dell'attività fotoelettrica della lamina.
L' esame delle curve dei potenziali in funzione del tempo
d’ illuminazione e corrispondenti alla lamina scarica ed alla la¬
mina carica, mette in evidenza un altro particolare dell' azione
delle forze interne di tensione sui potenziali.
Quando 1' azione del carico corrisponde ad una diminuzione
del potenziale raggiunto dalla lamina, la curva dei potenziali a
lamina carica dopo una rapida salita si prolunga con un tratto
che è meno inclinato del tratto analogo della curva corrispondente
alla lamina scarica. Ciò indica che la variazione relativa del po¬
tenziale è diversa per i diversi periodi d’ illuminazione e pro¬
priamente che va crescendo col tempo.
Quando invece 1’ azione del carico, come per carichi non
troppo grandi nel nichel, corrisponde ad un aumento del poten¬
ziale, allora la curva per la lamina in tensione è più inclinata di
quella corrispondente alla lamina scarica quindi anche in questo
caso si ha una maggiore variazione relativa dei potenziali rag¬
giunti col tempo. Anche per il rame vi è una variazione col
tempo e nel senso di un aumento come in tutti i casi pel nichel:
la tabella 8a è calcolata pel nichel.
Tabella 8.a
Tensione 9 kilogrammi
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„ 4) fatta dopo diversi giorni nei quali la lamina fu sottoposta a periodi diversi, alternati, di lavoro e di riposo.
„ 5) 6) 7) fatte consecutivamente nello stesso giorno.
,, 8) e 9) fatte in giorni diversi.
Tutte le serie sono state fatte nell'ordine secondo il quale sono segnate.
Conclusioni.
Tralasciando molti degli altri risultati da me ottenuti in
queste esperienze e che richiedono un'ulteriore conferma, a me
pare di potere, in base ai dati raccolti ed esposti sin d'ora, sta¬
bilire alcune conclusioni di carattere generale.
Le due questioni ancora aperte, quella riguardante la natura
del fotoelettrone e l'altra la grandezza dello strato che prende
parte al fenomeno dell'emissione, possono entrambe giovarsi di
qualche contributo portato da queste esperienze.
Ed invero se gli elettroni emessi fossero esclusivamente quelli
dello strato limite superficiale vi sarebbe da attendere un'azione
immediata quasi istantanea della eccitazione luminosa. In tutte
le mie esperienze invece si ha un'azione che in principio, per
quanto rapida, dura sempre diversi minuti primi e poi in seguito
assai più lenta, non cessa che solo dopo un tempo piuttosto lun¬
go. Il fenomeno fotoelettrico sarebbe quindi non solo, e preva¬
lentemente, un fenomeno superficiale, perchè è oramai in modo
indubbio assodato, ed anch'io ho potuto verificarlo nel corso di
queste esperienze, che lo stato particolare della superficie ha in¬
fluenza notevole sull'emissione fotoelettrica, ma anche un feno¬
meno di volume relativo però solo ad un certo strato il cui
spessore andrebbe aumentando col tempo ma limitatamente ad
un valore sempre assai piccolo.
E qui non sembra arrischiato il ritenere che possa esservi
se non identità analogia fra queste modalità e quelle presentate
dal Selenio sotto l'azione della luce, fenomeno che verrebbe quin¬
di ad inquadrarsi nella vasta categoria dei fenomeni comune¬
mente indicati col nome di fotoelettrici.
In quanto poi all’accertata influenza della tensione sull’emis¬
sione fotoelettrica essa conferma questo punto di vista perché
tale azione varia appunto col tempo.
Ben più importante però è il fatto di aversi un'influenza
della tensione ed una variazione del segno col variare del ca¬
rico come nel caso del nichel. Ciò vuol dire che la relazione di
dipendenza non è limitata solamente all'intervento delle forze e-
lastiche, ma che vi ha qualche altro fattore caratteristico della
— 84
sostanza se non, come appare più probabile, dello stato fisico
in cui la sostanza viene a trovarsi.
E se questo fosse vero non dovrebbe, ad esempio, ritenersi
probabile che per sostanze con punti di trasformazione possa
esservi indipendenza del potenziale fotoelettrico dalla tempera¬
tura neirintorno del punto di trasformazione. Si arriva quindi
alla conclusione che, almeno in questi casi, e per ragioni diverse
da quelle indicate nei precedenti ordini di considerazioni, non
dovrebbe mancare un’influenza della temperatura sulla emissione
fotoelettrica: tale influenza, così accertata, non ci autorizzerebbe
però ad identificare il fotoelettrone nell'elettrone libero anziché
in quello vincolato.
Deduzioni di tal genere saranno possibili solo quando si
potranno conoscere le modalità di carattere elettronico con le
quali avvengono i passaggi per i punti di trasformazione ed in
generale il meccanismo di azione delle forze esterne sugli elet¬
troni sia liberi sia vincolati della sostanza, meccanismo, a tut—
t'oggi, ancora sconosciuto.
INDICE
Parte Generale
1. — Principali modalità sperimentali .... pag. 2
2. — Potenziale fotoelettrico . » 5
3. — Velocità massima di emissione ed intensità lu¬
minosa . » 7
4. — Intensità della corrente fotoelettrica ed intensità lu¬
minosa . . » 8
5. — Intensità della corrente fotoelettrica e natura della
luce eccitante . « 10
6. — Emissione fotoelettrica dai corpi non conduttori . » 15
7* — Influenza della temperatura sulla velocità massima
di emissione . « 17
8. — Legge di Einstein e determinazione fotoelettrica
della costante di Plank . » 20
9. — Relazione fra forza elettromotrice di contatto di due
metalli e frequenze limiti dell’effetto fotoelettrico . . . » 22
10. — Teorie del fenomeno fotoelettrico . . . . » 24
Parte sperimentale
1. — Relazione fra comportamento fotoelettrico e com¬
portamento elastico dei metalli . » 32
2. — Dispositivo sperimentale usato. . . . . » 32
3. — Risultati ottenuti . » 34
4. — Conclusioni . . , « 47
i-
Ricerche su la reazione tra cloruro di
benzile e fenolo
del socio
Dott. Carlo Serao
(Tornata del 18 marzo 1923)
Come è noto, nella reazione tra C6 H5 CH2 CI e C6 H5 OH
in presenza di zinco !) o di altri catalizzatori 1 2 3) ed in assenza
o presenza di un solvente neutro 3), si hanno sempre prodotti
solubili e insolubili in NaOH. Tra i primi è stato isolato e
identificato il para-monobenzilfenolo fondente a 84° che si ac¬
compagna all’ isomero liquido ritenuto per orto-monobenzilfenolo
dal Rennie 4 5), dal Liebmann s) e dallo Zincke.
Nel ripetere questa sintesi in seno a benzina di petrolio
(p. e. 100°-110°) con Zn polveroso, sia con quantità equimole-
colari di C6 H5. OH e C6H5. CH2. CI (A), sia con quantità doppia
di quest'ultimo (B), essa si compì con grande regolarità svolgen¬
dosi HC1 misto ad H per la reazione secondaria che ha luogo
tra lo Zn e l'HCl, ciò che determina un consumo di una quan¬
tità di Zn pari alla decima parte in peso circa del fenolo im¬
piegato.
1) Paterno, E. — Ricerche sul fenolbenzilato. Gazz. Ch. It. 1872, pag. 1.
2) Aloe, M. — Sintesi in presenza dei metalli e loro alo ge miri. (Disser¬
tazione di laurea. R. Università di Napoli, 1917.
3) Bakunin, M. — Sulle condensazioni in presenza di metalli o di loro
cloruri. Rend. Acc. Se. Fis. Mat. Anno 1903, p. 58.
4) Rennie, E. H. — Sul benziljenolo di Paterno e su un suoi somero.
Journal Chem. Soc. (41, 33, 35, 220).
5) Liebmann, A. — Synthese der hotnologen Phenole. Ber. der Deut. ecc.
1882, p. 150.
— 87 —
Separate con trattamento sodico in imbuto a rubinetto le
parti solubili dalle insolubili e liberatele dalla benzina:
A. gr. 500 di C6H5OH e gr. 675 di C6H5CH2C1
dettero gr. 710 di solubili e gr. 230 di insolubili.
B. gr. 500 di C6H5OH e gr. 1350 di C6H5CH2C1
dettero gr. 815 di solubili e gr 650 di insolubili.
Parte solubile in NaOH.
Dalla parte solubile, con distillazione frazionata fino a 110° e
a 2 cm. di pressione, si separò del fenolo immodificato: gr. 71
in A e gr. 14 in B e per cristallizzazione delle successive fra¬
zioni fino a 270° e a 3 cm. di pressione circa, gr. 150 di p-
benzilfenolo in A e gr. 230 dello stesso prodotto in B.
11 liquido, liberato dalla parte cristallina, risponde alla com¬
posizione del monobenzilfenolo ed è probabilmente l'orto-ben-
zilfenolo mescolato con piccole quantità di para. Infatti per com¬
bustione si ebbe:
1) Prodotto di A- Sost. = gr. 0,2325; C02=: gr. 0,7248;
H2 0=gr. 0,1498.
2) Prodotto di A tenuto in essiccatore a vuoto- Sost. ==
gr. 0,2022: C02 = gr. 0,6285; H20 = gr. 0,1130.
3) Prodotto di B- Sost. = gr. 0,2093; C02 = gr. 0,6502 ;
H20 = gr. 0,1319.
4) Prodotto di B tenuto in essiccatore a vuoto - Sost. ==
gr. 0,2224; C02=gr. 0,6909; H20 = gr. 0,1255.
donde:
I
II
III
IV
Teoria per Cl3H120
C°/0 84,98
84,76
84,72
84,72
84,78
Ho/o 7,15
6,20
7,00
6,27
6,50.
Del medesimo prodotto le determinazioni crioscopiche hanno
data col benzolo [K = 49 (Raoult)] :
Abbassamento
del punto di gelo ' Peso mol. trov.
0°,190 186,7
0°,240 184,1
Peso mol. calcolato
per C13H120
184
Concentraz. °/0
0,724
0,902
- 88 —
Le frazioni poi, distillate al disopra di 270° e sempre a 3 cm.
di pressione circa, rispondono, per i dati analitici, alla compo¬
sizione di un dibenzilfenolo :
1) Prodotto di A-Sost. = gr. 0,2185; C02 = gr. 0,6980;
H2 O = gr. 0,1406.
2) Prodotto di B- Sost. = gr. 0,2089; C02 = gr. 0,6740 ;
H20 = gr. 0,1360.
donde :
I II Teoria per C2oH180
Co/o 87,20 87,03 87,59
Ho/0 7,14 7,20 6,57
Le temperature elevate di distillazione determinano certa¬
mente parziale alterazione dei prodotti, come lo dimostrano gli
spumeggiamenti che Taccompagnano ed il residuo per nulla
trascurabile di sostanze pecioce. Non mi è possibile perciò ri¬
portare dati sicuri sulle rispettive proporzioni dei componenti
la miscellanea.
Il coefficiente di solubilità nella Na OH della frazione di¬
stillata al disopra di 270°, diminuisce notevolmente rispetto le
mescolanze primitive del prodotto grezzo, ciò che fa supporre
che la presenza dei monobenzilfenoli contribuisca a facilitarne la
soluzione.
Che l'OH fenolico sia ancora immutato, lo dimostra la sua
trasformazione in etere benzilico eseguita col metodo all'alcoolato
sodico dello Staedel *)• H nuovo etere si presentò liquido,
vischioso e di color bruno-rossiccio. Per combustione dette:
Sost. == gr. 0,2294; C02 = gr. 0,7450; H20 = gr. 0,1377
donde :
Trovato Teoria per C27H240
C % 88,66 89,01
Ho/0 6,66 6,59
mentre l' etere benzilico del p-benzilfenolo, preparato con lo
stesso metodo, cristallizza in prismetti rombici bianchi, dotati
9 Staedel. — Sopra alcuni nuovi eteri jenolici di Demselben. Liebig’s
Aiinalen. Bd. 217-218, p. 40.
— 89 —
di viva iridescenza con p. di f. di 50°. Per combustione dette:
Sost. = gr. 0,2100; C02 = gr. 0,6736; H20 = gr. 0,1287
donde :
Trovato Teoria per C20H18O
C o/o 87,49 87,59
H o/0 6,81 6,57
Le porzioni solubili risultano perciò costituite dai due mo-
nobenzilfenoli para ed orto, e da un dibenzilfenolo.
Parte insolubile in NaOH*
Le combustioni direttive fatte sui prodotti insolubili in NaOH
delle due preparazioni , liberati dal solvente e dal C6H5CH2C1
non combinato, dettero percentuali in C tra 88,00 ed 88,36 e
percentuali in H tra 6,6 e 6,9 ciò che farebbe supporre Y esi¬
stenza in tali prodotti di una mescolanza di dibenzil e triben-
derivati. Infatti la teoria vuole per :
C o/o H o/0
C20H18O 87,59 6,57
C27H240 89,01 6,59
Percentuali medie : 88,30 6,58
Preparazioni di eteri*
Gli eteri preparati con la non realizzata speranza di otte¬
nere prodotti ben cristallizzati ed atti a facilitare la separazione
dei vari prodotti, esistenti forse anche in diverse forme isomere,
li ottenni per azione della P2 05 sui benzilderivati dei fenoli
e gli acidi sciolti in benzolo *), lavati con NaOH ed H20 e
cristallizzati dal benzolo o dall'alcool, liberandoli poscia dal sol¬
vente per evaporazione e opportuni essiccamenti se liquidi.
Ottenni così :
9 Bakunin, M. — Preparazione di eteri fenici per azione di P2 05 su
acidi e fenoli sciolti in solvente neutro. Atti Acc. Se. Fis. Mat. Voi. X, se¬
rie II, n.o 11.
— 90
1) Etere o - ni tr obenzo i c o del p-benzilfe-
nolo — Cristallizzato in lamelle bianco-giallastre dairalcool ed
avente un p. di f. di 83°.
Sost. = gr. 0,2132; C02 = gr. 0,5637; H20 = gr. 0,0969
donde:
Trovato Teoria per C2oH15N04
Co/o 72,10 72,07
H o/o 5,04 4,50
2) Etere m-nitrobenzoico del p-benzil-
fenolo — Cristallizzato in piccoli aghi bianchi dairalcool ed
avente un p. di f. di 91°.
I) Sost. =gr. 0,1971; C02 = gr. 0,5203; H20 = gr. 0,0833
II) „ = „ 0,2168; „ = „ 0,5725; „ = „ 0,0920
donde:
Co/o
Ho/0
I
71,99
4,69
II
72,01
4,71
3) Etere p - nitrobenzoico del p-benzil-
fenolo. — Cristallizzato dairalcool in aghi lunghi e sottili di
color grigio-argentino-pisello ed avente un p. di f. di 105°.
Sost. = gr. 0,2190; C02 = gr. 0,5783; H2 0 = 0,0932
donde :
Co/0 = 72,17; Ho/0=4,72
4) Etere o-nitrobenzoico dell'isomero
o-benzilfenolo. — Costituito da una sostanza vischiosa
gialla dell'apparenza di un olio, dal benzolo.
Sost. = gr. 0,2052; C02 = 0,5429; H20 = gr. 0,0887
donde:
Co/o = 72,12; Ho/o = 4,80
5) Etere m-nitrobenzoico dell’ isomero
o-benzilfenolo. — Costituito da una sostanza gialla d'a¬
spetto oleoso e più vischiosa della precedente, dal benzolo.
— 91 —
Sost.= gr. 0,2048 ; C02 = gr. 0,5435 ; H20 = 0,0888
donde :
C % = 72,37 ; Ho/0=4,81
6) Etere p-nitrobenzoico dell' isomero
o-benzilfen olo. — Cristallizzato dall' alcool in cristallini
giallo-brunastri ed avente un p. di f. di 168°.
Sost. =gr. 0,2291; C02 == gr. 0,6100; H20 = gr. 0,0996
donde:
C % = 72,61 ; HQ/0,==4,83.
*
* *
Da queste ricerche preliminari risulta che l'uso di quantità
equimolecolari di C6H5OH e di C6H5.CH2.C1 dà una maggior
percentuale di CeH5.OH immodificato e non impedisce la forma¬
zione di polibenzilsostituiti che si accompagnano ai due monoben-
zilfenoli solido e liquido; che il numero dei gruppi benzilici sosti¬
tuiti diminuisce la solubilità in NaOH del fenolderivato, fatto già
constatato in altri casi *); che l'unico etere cristallizzato, finora
ottenuto, dall'isomero orto-benzilfenolo è il para-nitrobenzoico,
ciò che mi fa supporre che potrò ottenerne altri e facilitare
così la separazione dei vari componenti della massa di reazione.
Con l'ulteriore studio dei prodotti della reazione mi pro¬
metto di completare l'isolamento e l'identificazione dei singoli
componenti.
Napoli - Laboratorio di Chimica Organica della R. Scuola Sup. Politecnica.
Finito di stampare il 20 luglio 1922.
l) Mazzara, G. — Timoli benzilati. Gazz. Ch. It. ; Anno 1881, p. 346.
Osservazioni su alcune bombe vesuviane.
Nota preliminare
del socio
Gennaro Biondi
(Tornata del 18 marzo 1923)
Su di una colata lavica dell' aprile 1872, che si estende su
le Novelle di Resina, si osservano una grandissima quantità di
bombe di varie dimensioni. Sono in generale di forma sferica o
elissoidale e presentano all' interno una struttura molto varia.
Fra queste una, assai vistosa, per la sua mole gigantesca, è stata
in particolar modo da me studiata* Poiché dall' analisi biblio¬
grafica è risultato che nessuno finora si è occupato di queste
bombe, e, poiché dal mio studio di varii anni sono riuscito a
determinare la loro genesi, la loro morfologia e le loro proprietà,
in attesa di poter al più presto pubblicare il lavoro completo, co¬
munico per ora i risultati più notevoli del mio studio.
La bomba più grande, della quale riferisco per prima, trovasi
a m. Ili dalla centrale elettrica Cook, e la sua posizione cor¬
risponde a:
qp == 40°. 49'. 53", 3
l = lo. 56'. 13", 6. E di Roma. (M. Mario)
Ha forma ellissoidale, con circonferenza equatoriale di m. 8,15
e quella meridiana di m. 7,85. I suoi assi misurano, nella dire¬
zione NS. m. 2,60, in quella EW. m. 1,90 ed in ultimo il ver¬
ticale m. 2,10. La superficie totale è di m.2 15,205, ed il volume
corrisponde a m.3 5,431826. Infine, avendone calcolato il peso,
ho ottenuto che dovrebbe essere di tonnellate 11,3.
93 —
Delle altre bombe, che sono disposte tutte nel piano da me
indicato, mi sono pure occupato nel modo più accurato possibile.
Dal complesso di osservazioni fatte risulta che, questi massi
sferici od ellissoidali, possono dirsi delle bombe vere e proprie,
appunto perchè si formano, con una certa analogia, come le bombe
di projezione , ma che non debbono affatto confondersi con
queste.
Per evitare, quindi, ulteriore confusione nella denominazione
di queste, ed anche per completare la classificazione dei prodotti
vesuviani di questo genere, propongo di chiamarle "bombe
peritrepiche „ 1).
Ho notato, invero, che affinchè una bomba peritrepica possa
originarsi, bisogna, principalmente, che la lava venga a trovarsi
o su di un piano alquanto inclinato, oppure in gole e avvalla¬
menti inclinati, che restringendo il campo di scorrimento, ven¬
gono a far sottostare la colata lavica a tre forti pressioni esercitate
sia dalle regioni laterali, che dal peso della dietrostante lava. Nel-
T uno e r altro caso, la lava produce, per il rapido dislivello a
cui va soggetta, o per la nuova posizione statica, nella regione
crostosa, numerose fenditure , che permettono la fuoruscita di
parti del magma lavico sottostante.
Queste, essendo ancora fluide ed alquanto vischiose, coin¬
volgono, alle volte, scorie ed altri elementi superficiali, e roto¬
lando, per gravità, lungo il pendìo vanno a finire dove questo
termina, acquistando così la forma caratteristica ovale e sferoi¬
dale, che si riscontra in esse.
Nel lavoro completo esporrò ampiamente la loro giacitura.
Per ora mi preme far notare che i campi bombiferi più im¬
portanti trovansi su lave poste in pianure situate presso alzate,
colline e piani inclinati in genere, oppure lateralmente a quelle
incastonate in gole ed avvallamenti; così da poter dire che mag¬
giore è la pendenza e la estensione dei piani, maggiore è la
formazione ed il numero delle bombe peritrepiche.
La struttura di queste bombe è variabilissima, tanto che di
esse ne ho potuto distinguere quattro gruppi.
9 3T8(h = intorno e TQejtco = volgere.
— 94 —
Nel primo gruppo ho classificato tutte quelle che non mo¬
strano alcuna distinzione tra la regione centrale e la periferica,
perchè la loro struttura è quasi omogenea, quindi le ho chiamate
"bombe peritrepiche o mogen e e „, ne ho descritto al¬
cune più caratteristiche, dandone le relative dimensioni e forme.
Il secondo gruppo comprende bombe che hanno un nucleo
rivestito da uno o più strati e le ho chiamate: "bombe pe¬
ritrepiche con nuclei e strati omogenei,,, perchè
la intiera massa di ciascuna appartiene allo stesso magma.
Darò di esse una minuta descrizione, specie sulla diversità
degli strati involucranti e del modo della loro formazione.
Le "bombe peritrepiche con nucleo formato
da diversi inclusi,, formano il terzo gruppo. A questa ca¬
tegoria appartengono le bombe gigantesche che hanno un vo¬
lume di varii metri cubici e di queste fa parte appunto la bomba
che ho studiata in modo particolare. Il nucleo di queste bombe
è formato da diversi frammenti provenienti dalla superficie della
lava, ed aventi forma di cordami, di mammelloni, di croste ecc.,
oppure sono blocchi formati da detriti della crosta lavica, che
sono cementati tra loro dalla semplice compressione.
L’ultimo gruppo, senza dubbio il più caratteristico, è com¬
posto dalle "bombe peritrepiche con nuclei for¬
mati da lave antiche „.
Questi nuclei, a tessitura varia, facevano, probabilmente, parte
di lave antiche, e, strappati dal materiale fluido coevo, sono stati
trascinati a l’esterno del cratere, galleggianti sul torrente lavico
a causa del loro lieve peso specifico. La loro colorazione è sor¬
prendente, perchè assai varia; in genere vi predomina il giallo,
in tutte le sue gradazioni, ed un rosso vivo assai caratteristico.
Alcuni nuclei presentano una policromia assai vivace, ed alle volte
si riscontra in essi anche la iridescenza.
Un’analoga classificazione ho seguito per le bombe di proie¬
zione, ed ho fatto ciò, non perchè mancasse di esse una classi¬
ficazione, ma per poter con maggiore facilità dedurre le diffe¬
renze dell'uno e dell’altro tipo di bombe.
A conclusione di quanto ho finora esposto dirò che in un
capitolo speciale ho trattato le note più caratteristiche delle bom¬
be peritrepiche in confronto di quelle di projezione; facendo qui
— 95 —
solamente notare che le prime si formano su colate laviche, per
forza di gravità, da magmi pastosi o semifluidi, mentre le bombe
di proiezione sono formate da un blocco di magmi craterici semi¬
fluidi, che, dalla esplosione, vengono lanciati in alto e si trovano
sottoposti ad un movimento di rotazione intorno ad un asse.
Circa poi la forma delle une e delle altre si può general¬
mente affermare che le peritrepiche sono ellissoidali o sferiche,
mentre le proiettate sono, preferibilmente fusiformi o piriformi
od a forma di ellissoide allungato.
Napoli, Istituto di Fisica terrestre della R. Università, febbraio 1923.
Finito di stampare il 20 luglio 1923.
Sulla presenza di Penilia schmackeri Richard
nel golfo di Napoli.
Nota
del socio
Ernesto Caroli
(Tornata del 31 dicembre 1922)
Il genere Penilia , stabilito dal Dana nel 1849 J), fa parte dei
pochi Cladoceri marini finora conosciuti. Ad esso sono state ri¬
ferite più specie, ma di queste una sola, P. Schmackeri Richard * 2)
è sicura; le altre, o sono state riconosciute identiche con la spe¬
cie predetta, o sono rimaste dubbie per insufficiente descrizione.
Quantunque questo Cladocero abbia un’ampia distribuzione,
come ne sono prova i ripetuti rinvenimenti in località diverse e
distanti tra loro: lungo le coste atlantiche dell'America, nel golfo
di Guinea, ad Hongkong, nello stretto della Sonda, nelle acque
dell'Australia, della Nuova Zelanda e del Giappone; pure la sua
presenza nei mari d'Europa finora non era stata constatata che
due volte, e in epoca recente: la prima volta nel 1908 dallo
Zernow 3) nel Mar Nero, l'altra nel 1914 dal Leder 4) nel golfo
9 Dana, J. D. — Conspedus Crustaceoriim in orbis terrarum circamna-
vigcitione C. Wilkes e classi Reipublicae foederatae dace collectorum. Proc.
Amer. Acad. art. se. Voi. 2, 1849.
2) Richard, J. — Re'vision des Cladoceres. Ann. Se. Nat. (7), Tome 18,
1895, p. 279.
3) Zernow, S. A. — Penilia schmackeri Richard {Cladocero) dans la Mer
Noire. Note préliminaire. Ann. Mus. Z. Pétersbourg. Tome 13, 1918 (1909) p. 500.
4) Leder, H. — Ueber Penilia schmackeri Richard in der Adria. Z.
Anz. 45 Bd., 1915, p. 350.
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di Trieste. Quest'anno (1922) esso è comparso nel golfo di Na¬
poli, dove ho avuto agio di raccoglierlo, in gran .numero e per
lungo tempo, nel plancton di superficie.
In tutte le località dove finora Penilia era stata riscontrata,
almeno in quelle per le quali si hanno osservazioni esatte in
proposito, essa è sempre apparsa improvvisamente e in gran
quantità; e dopo un periodo più o meno breve — il più lungo
è quello di un mese, dal 27 ottobre al 25 novembre, riportato
dal Leder pel golfo di Trieste — è sparita altrettanto rapidamente,
senza lasciar traccia di sè. Anche nel golfo di Napoli essa si è
presentata d'un tratto e in gran numero, ma la sua dimora è
stata molto più lunga e la sua scomparsa lenta e graduale.
L'ho trovata la prima volta, e in quantità già rilevante, l'8
luglio, mentre nelle prove di plancton raccolte fino allora, le
quali già contenevano Cladoceri dei generi Podon e Evadne , non
ne avevo mai trovato traccia. In seguito il numero degli indi¬
vidui è andato sempre più aumentando, fino a costituire la quasi
totalità del plancton di superficie. A questo periodo di intenso
sviluppo, durato circa un mese, dalla metà di agosto a quella di
settembre, ne successe uno di graduale e lenta diminuzione, che
si protrasse fino al 9 dicembre, nel quale giorno raccolsi gli ul¬
timi tre esemplari di Penilia.
È giusto pertanto supporre che essa nel golfo di Napoli
abbia incontrato condizioni tali, che ne abbiano favorita la mol¬
tiplicazione e la durata, per un periodo insolitamente lungo di
cinque mesi. E a speciali condizioni, quivi trovate, credo debba
anche attribuirsi la presenza di numerosi maschi, che preceden¬
temente erano stati rinvenuti una sola volta; nonché la forma¬
zione di uova a lento sviluppo, finora sconosciute in questo Cla-
docero.
Ho trovato i maschi, benché scarsissimi, sin dalla prima rac¬
colta; in seguito il loro numero è andato aumentando fino ad
eguagliare, e talvolta sorpassare, quello delle femmine, ed ho
continuato a trovarli quasi fino all'ultimo. Le prime femmine
fecondate, portanti nella cavità incubatrice uno o due grosse uova
scure e con guscio spesso, sono comparse in agosto ed hanno
continuato a mostrarsi fino alla fine di ottobre; il loro numero
però è rimasto sempre basso rispetto a quello delle femmine
— 98 —
partenogenetiche. Nulla posso dire dell'ulteriore sorte delle uova
a sviluppo lento; è probabile che esse vengano semplicemente
emesse e cadano al fondo, giacché non ho mai trovato efippii.
Rimandando ad un prossimo lavoro le osservazioni morfo¬
logiche e biologiche, che l'abbondante materiale raccolto mi ha
concesso di fare, chiudo la presente nota con poche considera¬
zioni sulla presenza di Penilia nel Mediterraneo.
Secondo il Leder, 1' improvvisa comparsa di questo Clado-
cero nel golfo di Trieste, dove prima non era stato mai rinve¬
nuto, potrebbe spiegarsi nel modo seguente. Individui — o uova —
trasportati passivamente, vi avrebbero trovate condizioni favo¬
revoli di sviluppo, e si sarebbero moltiplicati per più genera¬
zioni, per poi scomparire appena cessate queste condizioni. Il
Leder però ignorava che precedentemente Penilia era stata
osservata nel Mar Nero. Ora, poiché essa è stata trovata tre
volte, con l' intervallo di parecchi anni 1' una dall' altra, in tre
parti diverse del Mediterraneo, cioè prima nel Mar Nero, poi
neH’Adriatico e da ultimo nel Tirreno; bisogna ammettere, se si
accetta la supposizione del Leder, che ogni volta si sia ripetuto
lo stesso fatto. Ma in tal caso, sarebbe difficile spiegare come
individui di Penilia , trasportati da correnti provenienti dal¬
l'Atlantico — poiché solo in tal modo credo debba intendersi
sia avvenuto il loro trasporto — abbiano la prima volta attra¬
versato tutto il Mediterraneo e raggiunta la sua parte più orien¬
tale, senza fermarsi e prosperare in quei tratti, come il Tirreno
e l' Adriatico, nei quali certo non mancavano condizioni propi¬
zie al loro sviluppo, poiché in fatti dopo ve le hanno trovate.
Se poniamo mente al modo di comportarsi di Penilia nel
Mediterraneo, vediamo che — salvo la recente lunga dimora —
non differisce da quello osservato negli altri mari; anche in
questi essa è stata incontrata ad intervalli irregolari e sempre
in punti diversi, nei quali prima non era stata vista. Bisogna
perciò ammettere che anche le cause di questo speciale com¬
portamento siano le stesse, ma purtroppo esse ci sono igno¬
te, e tali resteranno finché non conosceremo meglio la biologia
dell' animale.
Spero che la presente Nota varrà a richiamare l'attenzione
degli studiosi, e ad incitarli, ove ne abbiano l'opportunità
— 99 —
a fare ricerche al riguardo, nei nostri e negli altri mari.
La rarità delle comparse di Penilia può essere — date le sue
abitudini — più apparente che reale, e, senza dubbio, in molti
luoghi sarà rimasta inosservata per mancanza di osservatori. Ora
è solo per mezzo di ripetute osservazioni che potremo conoscere
la storia della vita di questo interessante Cladocero.
Napoli, Stazione Zoologica , dicembre 1922.
Finito di stampare il 20 luglio 1923.
Sul l’assorbimento di fuorescenza
del socio
Dott. Antonio Carrelli
(Tornata del 18 marzo 1923)
Il principio di Kirchoff che quantitativamente non vale
per 1’emissione per luminescenza è stato da alcuni autori veri¬
ficato qualitativamente nel fenomeno di fluorescenza.
Il Burke i) infatti ricercò se, quando una sostanza fluore¬
scente emette energia di una certa frequenza, per il fatto stesso
che emette, non acquista un maggior potere assorbente per la
stessa frequenza di emissione. Egli realizzò esperienze con vetri
d’ uranio e potè concludere che una sostanza, quando emette
una radiazione per fluorescenza, assorbe maggiormente la stessa
radiazione. Le esperienze di Burke furono ripetute con dispo¬
sitivi sperimentali molto più sensibili da Nicols e Moritt 2); i
quali oltre che confermare 1' effetto scoperto da Burke misero
in luce, con uno studio particolareggiato, modalità assai inte¬
ressanti. Essi infatti studiarono questo assorbimento per fluore¬
scenza in funzione della lunghezza d' onda ed ottennero curve
relative all' assorbimento con andamento analogo a quelle cor¬
rispondenti all' intensità dell' emissione, inoltre facendo variare
l’ intensità della luce che veniva assorbita dalla soluzione fluo¬
rescente trovarono che l'assorbimento variava per piccole intensità
all' incirca proporzionalmente a questa e poi meno rapidamente
man mano che aumentava la detta intensità fino ad aversi un
1) Burke. — Phil. Trans. 191, pag. 89, 1898.
2) Nicols e Moritt. — Phys. Rev. 2° sem. 1904.
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limite di saturazione : vi sarebbe adunque, secondo questi autori,
un carattere differenziale notevole in questo speciale assorbi¬
mento. D' altra parte il Chamichel 0 potè dimostrare che le
suddette esperienze erano molto dubbie poiché le misure, nelle
condizioni in cui erano fatte, risultavano affette da errori spe¬
rimentali e quindi non era possibile risolvere definitivamente la
questione. Invece M. Vick 1 2), nel laboratorio di Nicols e Morritt,
ripetette le esperienze di questi autori in risposta alle obbiezioni
di Camichel, e impiegando metodi più sensibili confermava pie-
namente i primitivi risultati, ritrovando fra 1' altro il sopradetto
limite di suturazione dell'assorbimento per valori elevati della
intensità della luce che attraversa la soluzione fluorescente, ed
è da questa assorbita.
Il Wood 3) allora, data l' importanza dell'effetto, trattò la
quistione da un nuovo punto di vista, con metodi sperimentali
semplici e dotati di maggiore sensibilità. Le esperienze condotte
da questo autore presentano il maggior grado di attendibilità,
venendo eliminati i processi laboriosi di misure e procedendosi
invece direttamenle al confronto dell' intensità del fascio luminoso
quando ha subito, e quando non ha subito questo presunto as¬
sorbimento; e il Wood potè concludere che non esiste alcun
apprezzabile assorbimento s p ecial e . Sono ancora qui
da ricordare le esperienze di Becquerel 4) che non riscontrò al¬
cuna variazione, quando veniva eccitata la fluorescenza, dell' in¬
dice di rifrazione nelle vicinanze delle bande di assorbimento e
di emissione del rubino e dello smeraldo, e ciò con un me¬
todo sensibilissimo capace di porre in evidenza variazioni dell' in¬
dice dell'ordine IO6-
Della medesima questione si sono sperimentalmente occu¬
pati 1' Houston 5) e il Kampf 6) ottenendo entrambi un risultato
nettamente negativo.
1) Camichel. —Journal de Physique, Tome 4, pag. 873, 1905.
2) WiCK. — Phys. Rev. 24, 1907.
3) Wood. — Phil. Mag. 15, 1908.
4) Becquerel. — C. R. 153, pag. 936, 1911.
5) Houston. — Edin. Proc. 29, 401, 1909.
6) Kampf. — Phys. Zeit. 12, 76, 1911.
— 102 —
Mentre sembra adunque da ritenere che Y effetto annunziato
da Burke non sia che il risultato di errori sperimentali, non
sarà superfluo vedere come si presenta la questione dal lato
teorico. Il problema che venne trattato sperimentalmente era il
seguente cioè stabilire l'andamento deir assorbimento nella zona
di emissione delle sostanze fluorescenti, sia quando emettono,
sia quando la fluorescenza non è eccitata.
Prima d' ogni altro è da fissare il significato di un assorbi¬
mento in una zona di emissione. Per quanto è stato ottenuto
nel caso dei vapori incandescenti, un fascio di luce con frequenze
uguali a quelle di emissione del vapore, nel passare attraverso
questo è influenzato dai vibratori ivi presenti, poiché si osserva
una diminuzione d' intensità della luce.
La quantità d' energia, detta comunemente assorbita è in
realtà distribuita nello spazio in tutte le direzioni per Y inter¬
vento dei vibratori del vapore, producendo la riscontrata dimi¬
nuzione del flusso luminoso nella direzione incidente.
Ora poiché è stato confermato da tutti gli autori Y esistenza
di un assorbimento nel caso di sostanze fluorescenti nella zona
di emissione, può dirsi per esse dal lato qualitativo quello che
si è ripetuto per i vapori; può cioè definirsi un coefficiente di
assorbimento K anche per le frequenze di emissioni !) ; ed al¬
lora il contenuto fondamentale dell'esperienza di Burke porta
alla posizione del seguente problema: il valore di K presenta
variazioni quando la sostanza emette?
Dai risultati sperimentali suesposti risulta che non si verifica
alcuna variazione sia die la fluorescenza è eccitata sia nell' altro
caso e ciò può anche esprimersi dicendo che lo stato speciale
in cui trovansi le molecole che emettono non altera il mecca¬
nismo per cui viene ridotta 1' ampiezza di un' onda incidente
della stessa frequenza.
Di qui si ricava che queste frequenze di emissione esistono
nella molecola con un loro particolare modo d' azione sia emit-
4) E' da ricordare che esperienze da me condotte sulla dispersione di so¬
luzioni fluorescenti (R. Acc. Lincei Voi. 26, 1° sem. pag. 157, 192 2), hanno di¬
mostrato Resistenza di un'anomalia dell'indice nella zona di emissione.
— 103 —
tendo per azione di un assorbimento in un' altra zona spettrale,
sia essendo poste in risuonanza da un'onda della stessa frequenza.
Questa deduzione può presentare interesse se applicata alle teorie
che sono state proposte per l' interpretazione del fenomeno di
fluorescenza e ciò relativamente in special modo a quelle so¬
stanze organiche presentanti larghe bande di emissione.
Ora l'antica teoria di Smiles l) basata sul concetto emi¬
nentemente fisico di risuonanza, e che interpreterebbe facilmente
questo risultato negativo, è stata abbandonata perchè non in ac¬
cordo in alcune deduzioni con i risultati sperimentali; e pre¬
dominano oggi teorie che tengono conto principalmente del lato
chimico del problema. Gl' importanti studi condotti sulle rela¬
zioni tra costituzione molecolare e fluorescenza hanno dimostrato
che essa è strettamente collegata alla presenza di gruppi atomici
caratteristici i quali conferirebbero una speciale instabilità alla
molecola, rendendola atte ad emettere luce di determinata fre¬
quenza. Il Baly 2) d’altra parte trova verificata nei casi da lui
studiati la teoria sviluppata sulla base di una stretta analogia tra
gli spettri di assorbimento e di emissione. Egli infatti dimostra
che molte volte 1' azione del solvente si riduce ad una trasfor¬
mazione di bande di assorbimento in bande di emissione per un
indebolimento di legami. La teoria di Perrin 3) si basa addirit¬
tura su di una trasformazione completa della molecola.
Secondo questo autore infatti la fluorescenza è prodotta
dalla trasformazione della sostanza che è decomposta dall'azione
della luce.
Oltre le esperienze condotte dallo stesso Perrin, recente¬
mente il Wood ha potuto confermare modificazioni notevoli
nelle soluzioni fluorescenti dopo 1' eccitazione, e a risultati ana¬
loghi hanno portato esperienze da me condotte su sali di chinina.
, Quando ancora si riteneva come esistente 1' effetto Burke, esso
era considerato come una delle prove favorevoli alla teoria di
Perrin ed infatti un aumento dell' assorbimento sotto 1' azione
della luce eccitatrice veniva interpretato come appunto dovuto
4) Smiles. — The relation petwind chemied, pag. 424.
2) Baly. — Phil. Mag. Aprii, 1914, pag. 632.
3) Perrin. - Ann. de Phis. Tom. X, Sept. Oct. 1918.
— 104 —
1
alla creazione di un maggior numero di vibratori con le fre¬
quenze della zona di emissione, vibratori generati dall' azione
della luce eccitatrice. Premesso ciò non sembra tuttavia che le
precedenti deduzioni debbano contraddire la teoria di Perrin.
Egli infatti ritiene che per verificarsi 1' emissione deve ot¬
tenersi un incontro efficace tra 1' onda luminosa e la molecola
fluorescente. Per tale incontro egli suppone che debba prima
realizzarsi per risonanza con la luce eccitatrice un’oscillazione
nella molecola con frequenza corrispondente a quella di assor¬
bimento. Quando 1' ampiezza di tale moto ha raggiunto un certo
valore critico avviene la trasformazione della molecola e cioè
una rottura di legame accompagnata da un irraggiamento. Ora
da ciò che si è ora esposto si ricava che la mancanza di assor¬
bimento speciale nell'ordine d'idee proposto da Perrin porta
alla deduzione che queste frequenze che compaiono nella emis¬
sione devono preesistere nella molecola in modo da poter entrare
in oscillazione anche senza l'eccitazione della fluorescenza. D'altra
parte è da notare, che recenti esperienze portano ad una modi¬
fica alla teoria di Perrin. Infatti G. C. Mac Lennon *) e M. Cale
in un recente lavoro sulla fluorescenza dell' esculina ha mostrato
che la luce ultravioletta produce una trasformazione delle mo¬
lecole con la distruzione della emissione, ma sostituendo ad un
recipiente di quarzo un recipiente di vetro ha potuto ottenere
una fluorescenza molto intensa, che non produceva la trasforma¬
zione chimica. Non volendo accettare la teoria di Perrin e quindi
limitandosi ad ammettere soltanto che la proprietà caratteristica
delle molecole fluorescenti dipenda da una instabilità che per¬
mette a queste di trovarsi in due stati distinti e che il passag¬
gio da uno di questi all'altro e viceversa produca appunto l'as¬
sorbimento e 1'emissione di energia sotto forma di radiazioni,
si conclude in attesa di esperienze definitive che i cosidetti gruppi
fluorigeni conferiscono alle molecole oltre che l' instabilità
anche nuove frequenze caratteristiche le quali individuano per
ogni sostanza la zona di emissione.
Le considerazioni precedenti relativamente poi allo scopo
h Mac Lennon. — Proc. Roy, Soc. A. t. GII, p. 256.
principale dell'esperienza di Burcke e cioè verifica della prima
legge qualitativa di Kirkhoff portano appunto ad una con¬
ferma di questa legge anche in questo speciale tipo di emissione,
poiché come già si è detto, nella zona di emissione si riscontra
ancora un assorbimento dipendentemente dalla presenza dei vi¬
bratori emittenti.
Quanto finora si è esposto è limitato al fenomeno di fluo¬
rescenza propriamente detto, presentato da composti organici a
molecola molto complessa, in cui cioè il fenomeno della emis¬
sione è contemporaneo alla eccitazione, ma se si considerano fe¬
nomeni di fosforescenza in cui un certo tempo passa tra cause
ed effetti, può riscontrarsi una diversità di comportamento quando
la sostanza è eccitata. Converrà allora distinguere, come fa il
Pringsheim !) tra molecola eccitata e non eccitata, ed è da ri¬
cordare che una diversità negli spettri di assorbimento è stata
notata nei fosfuri alcalino-terrosi per i quali vale la teoria di
Lenard basata su di un effetto fotoelettrico.
Concludendo si è visto che la mancanza di un presunto ef¬
fetto Burke, mancanza posta in luce da numerosi osservatori
può essere interpretata come mostrante l'influenza che può avere
il gruppo fluorogeno nella molecola anche riguardo ai perime¬
tri ottici, oltre che fornire una nuova prova attestante le diver¬
sità che intercedono tra fluorescenza e fosforescenza.
Napoli , Istituto Fisico della R. Università.
Y
Finito di stampare il 20 luglio 1923.
*) Pringsheim. — Fluorescenz und Phosphorescenz, p. 100.
L’origine nucleolare dei centrosomi negli
oociti di cagna.
Memoria
del socio
CI audio Gargano
(Tornata del 18 marzo 1923)
Fin da quando Balbiani osservò, durante la maturazione
dell'uovo dei mammiferi, la presenza nel vitello di un corpic-
ciuolo speciale, che in suo onore prese il nome di vescicola di
Balbiani [Milne-Edward (1867)] o di corpo vitellino di Balbiani
[Henneguy (1893)], i lavori sull'argomento si sono moltiplicati
sia per assodare l'origine di questa formazione, che i suoi rap¬
porti con il nucleo. E, considerando l'uovo un organismo uni-
cellulare simile ai protozoi, si volle pensare che il corpo vitel¬
lino di Balbiani fosse analogo al macronucleo degli infusori,
laddove la vescicola germinativa rappresenterebbe il micronucleo
o nucleo sessuale.
Studiandosi in seguito la genesi del corpo vitellino dai più
non si potettero disconoscere i rapporti, che esso ha con il nu¬
cleolo : il nucleolo fuoruscito dalla vescicola germinativa pro¬
durrebbe un centrosoma, che per Julin non è altro che il me¬
desimo corpo vitellino di Balbiani, il quale, dopo di aver
presenziato alla divisione dell'uovo, si riassorbirebbe.
Sfere direttrici o centrosomi furono altresì riscontrate oltre
che nelle cellule in riproduzione, da Guignard (1921-94) in
elementi vegetali in riposo, da Flemming (1891) nell'epitelio pol¬
monare delle salamandre, ecc. ; ma, non essendo costanti in tutti
gli elementi, si volle da Hertwig (1903) ammettere l'ipotesi, che
— 107 —
W:
i centrosomi, dopo la divisione della cellula, rientrassero nel
nucleo, per tornare ad uscire all' inizio della profase.
Una concezione così semplice, quale quella espressa da
Julin e da Hertwtg suirorigine nucleolare del centrosoma, non
ha pertanto trovato il consenso generale dei citologi, giacché
molti, sia in una epoca relativamente antica, che in epoche re¬
centi furono di parere contrario, considerando i centrosomi
come formazioni esclusivamente citoplasmatiche. Nè tampoco le
recenti ricerche di Georgévitch (1922) suirorigine intranucleo-
lare del centrosoma, confermate da Argaud (1922) anche in
tessuti patologici, credo risolvano tale controversa quistione ed
invece ingrandiscono il problema, estendendolo allo studio della
natura e delle funzioni dei nucleoli.
Per quanto si debba supporre una identità nei fenomeni
generali della vita (!) è un errore lo generalizzare, in ispecie per
il fatto, che in argomenti così delicati non possiamo servirci
della visione diretta delle cellule vive, e bisogna portare la pro¬
pria attenzione su preparati fissati e colorati variamente e stabi¬
lire delle seriazioni, che non sempre forse rispondono alla realtà.
Infatti i vari autori, che si sono occupati deH'argomento,
pur adoperando il medesimo materiale di studio, sono venuti a
conclusioni abbastanza diverse.
I nucleoli, in numero variabile, relativamente piccoli negli
oociti giovani, raggiungono dimensioni piuttosto grandi man
mano che Toocito si evolve. Risultano di uno stroma fonda-
mentale omogeneo o leggermente granuloso, nel quale si trova
un reticolo cromatico, dei granuli cromatici e spesso dei vacuoli.
Circa la natura delle sostanze costituenti i nucleoli la contro¬
versia iniziatasi per opera dei maggiori citologi non sembra
possa ritenersi risoluta. Per Ruckert (1892-95) i nucleoli negli
oociti dei Selaci sarebbero plasmatici ed in ogni guisa mai da¬
rebbero origine ai cromosomi, laddove Carnoy e Lebrun (1897-
900), nelle loro notevoli memorie, ritenendoli dei piccoli nuclei
in miniatura, li considerano come nucleoli nucleinici. Il vario
modo di comportarsi rispetto ai fissativi ed ai reagenti più che
essere esponente di differenza nella loro composizione chimica,
sarebbe da riporsi nelle fasi del loro sviluppo.
Cerruti (1906) infatti pensa che negli stadi giovani ed
— 108 —
allorché si presentano più o meno sferoidali, con masse com¬
patte nell' interno, abbiano una elettività per i colori basici,
laddove invece, negli stadi avanzati di sviluppo, mostrerebbero
una spiccata acidofilia.
Anche più controverso è il capitolo riguardante le risolu¬
zioni dei nucleoli. Carnoy e Lebrun (1897-900) negli oociti molto
giovani hanno notato il frammentarsi del loro reticolo nucleinico
e la loro risoluzione in formazioni interpetrate erroneamente per
cromosomi, ma che invece sarebbero destinate ad una ulteriore
risoluzione in granuli. Molti di questi granuli si dissolverebbero
per un processo di lisi, laddove altri riunendosi darebbero ori¬
gine a nuovi nucleoli. Tale processo di risoluzione e di rico¬
struzione nucleolare si moltiplicherebbe fino a quando non si
abbia il periodo di maturazione degli oociti; in quel periodo la
risoluzione dei nucleoli, contemporanea alla dissoluzione della
membrana nucleare, genererebbe i cromosomi.
La genesi nucleolare dei cromosomi, enunciata da Carnoy
e Lebrun (1897-900) è in contraddizione con quanto avevano
notato precedentemente Ruckert (1892-94), Holl (1890), Born
(1894) ed altri autori, per i quali i nucleoli sarebbero destituiti
di questa importante funzione, sebbene sieno stati osservati
fuoriuscire dal nucleo durante la maturazione degli oociti.
Pur non dividendo completamente le idee di Carnoy e
Lebrun (1897-900), Winiwarter (1900), Marechal (1904-05),
Levi (1903-05) hanno potuto anche essi constatare delle risolu¬
zioni nucleolari, risoluzioni, che nella Salamandrina (Levi) si
fonderebbero con i cromosomi.
Cerruti (1906) non si nasconde che i filamenti osservati da
Carnoy e Lebrun (1897-900) nei nucleoli possano essere consi¬
derati variamente, quantunque si rinvengano in oociti immedia¬
tamente dopo la loro estrazione dagli ovari. Non avrebbe del
pari valore il fatto che i nucleoli in alcuni stadi della loro evo¬
luzione appaiano omogenei, essendo ciò dovuto ad un partico¬
lare comportamento dei granuli nucleinici. La regolarità pre¬
sentata da molte risoluzioni nucleolari, per il detto A., è do¬
vuta all’azione di centri speciali esistenti nell'interno dei nucleoli
centri che agirebbero sui filamenti nucleolari allorché questi si
individualizzano.
— 109 —
Pertanto ad eccezione di Cerruti (1906) è stata data poca
importanza airorientamento presentato dai nucleoli, orientamento
che non può essere dovuto ai fissativi, trovandosi costantemente
in tutte le profondità dell'ovaio ed in varia misura a secondo
della maturazione più a meno avanzata degli oociti. Infatti Cer-
ruti (1906) ha notato che i nucleoli si spostano sempre verso
la parte della vescicola germinativa più prossima alla membrana
vitellina: nella medesima direzione si orienterebbero anche i
nuclei in foto. La spiegazione di ciò, secondo il detto A., sa¬
rebbe da riporsi nei complicati fenomeni di nutrizione degli
oociti e nello sviluppo ulteriore dell'uovo.
Dai pochi accenni bibliografici si vede che ancora molto
disaccordo vi sia sull' origine dei centrosomi e sulla interpe-
trazione delle funzioni dei nucleoli.
Da alcuni esemplari di ovaio di cagna ho potuto ottenere
delle sezioni, che mettono in rilievo delle particolarità degne di
nota, le quali forse potrebbero darci ragione dell'origine nu-
cleolare dei centrosomi e del loro destino ulteriore negli oociti
non ancora maturi. Le sezioni provengono da materiale fissato
in liquido di Flemming e sono state colorate con ematossilina
ferrica di Heidenhain.
1. ° Stadio. — Negli oociti molto giovani la vescicola ger¬
minativa risulta dì una sottile membrana, nel cui interno trovasi
un reticolo cromatico a filamenti anche sottili, granuli cromatici
ed un nucleolo di struttura molto semplice.
2. ° Stadio. — Man mano che l' oocita si matura, anche il
nucleolo presenta una morfologia più complicata; sembra un nu¬
cleo in miniatura, risulta cioè di una membrana nucleolare, di un
reticolo nucleinico e di un punto più brillante nel suo interno.
Tale struttura abbastanza complessa del nucleolo rende possi¬
bile lo studio del suo ulteriore destino e fa stabilire delle se¬
riazioni, che probabilmente rispondono al vero, sebbene in que¬
sta seriazione manchino alcuni stadi intermedi.
3. ° Stadio. — All'esterno della vescicola germinativa, nel vi¬
tello, si trovano due formazioni, che hanno una morfologia comple¬
tamente uguale a quella del nucleolo descritto nel secondo stadio.
Queste formazioni le considero come nucleoli migrati nel vitello.
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4.o Stadio. — Continuando la maturazione dell'oocito, uno
dei due nucleoli migrati si sposta verso la membrana vitellina,
laddove l'altro si risolve in prossimità della vescicola germina¬
tiva in numerose risoluzioni ad anse ed a granuli.
6.° Stadio. — Oocito maturo. Si nota nel vitello in pros¬
simità della vescicola germinativa un granulo brillante, che ha la
morfologia e le reazioni microchimiche dei centrosomi.
La topografia della vescicola germinativa, del nucleolo e di
queste formazioni, che dovranno generare i centrosomi, non è
arbitraria. Negli oociti molto giovani la vescicola germinativa
trovasi al centro del vitello e la macchia germinativa nel centro
della vescicola germinativa; ma man mano che l'oocito si evolve
e si matura, la vescicola germinativa e la macchia germinativa
si spostano verso il polo dell' uovo più prossimo al punto dove,
a maturazione completa , dovrà scoppiare il follicolo di Graf.
Le formazioni poi, che io interpetro come nucleoli migrati, sia
nella loro fuoriuscita dal nucleo, che nello spostarsi e nel risol¬
versi, seguono sempre la medesima polarità della vescicola ger¬
minativa, ne ciò è dovuto all'azione dei fissativi o degli alcooli.
Dagli stadi osservati credo possa concludersi, che i nucleoli
continuamente generano quelle formazioni, che io' interpetro co¬
me nucleoli migranti, le quali negli oociti giovani si risolvono
variamente degenerando, laddove negli oociti maturi danno ori¬
gine ai centrosomi.
Clinica chirurgica della R. Università di Napoli.
LAVORI CITATI
1922. Argaud, R. — Sur la présence intra-tiucléolaire da centrosome :
C. R. Acad. Se. Paris, Tome 194, p. 1078.
1894. Born, G. — Die Stradar des Kcimblàschens voti Triton taeniatas:
Arch. Mik. Anat., 43. Bd., p. 1, Taf. 1-4.
1897. Carnoy, I. B. — Lebrum, H. — 1. La vésicale germinative et les
globales polaires chez les Batraciens: La Cellule, Tome 12,
p. 189, PI. 1-5.
1898. — — 2. — — Ibid. Tome 14, p. 109, PI. 4.
1899. — — 3. — — Ibid. Tome 16, p. 209, PI. 9-12.
1900. — — 4. — — Ibid. Tome 17, p. 201, PI. 1-7.
1905. Cerruti, A. — 1. Sulle risoluzioni nacleolari nella vescicola ger¬
minativa degli oociti di alcuni vertebrati: Anat. Anz., 26 Bd.,
p. 613, 16 figg.
1906. — — 2. Sull’evoluzione dell’uovo ovarico nei Selaci : Atti Accad.
Se. Napoli, Voi. 13, N. 3, 88 pag., 7 Tav.
1891. Flemming, W. — Atlraktionssphàren und Centralhòrper in Ge-
webszellen und Wanderzellen : Anat. Anz., 6. Bd., p. 78.
1921. Georgévitch, P. — L’origine du centrosome et la formation du
fuseau chez Stypocaulon scoparium (L.) Riitz : C. R. Acad. Se.
Paris, Tome 174, p. 695.
1891. Guignard, L. — 1. Sur l'existence des « sphères attradives » dans
les cellules végétales: Ibid., Tome 112, p. 539.
1894. — — 2. Sur l’origine des sphères diredrices : Ibid., Tome 119,
p. 300.
1893. Henneguy, F. — 1. Le corps vitelliti de Balbiani dans l’oef des
Vertèbres : Journ. Anat. Phys. Paris, Tome 29, p. 1, PI. 1.
1894. — — 2. Recherches sur l’atrésic des follicules de Graaf chez
les Mammifères et quelques autres Vertèbrés : Ibid., Tome 30,
p. 1, PI. 1-2.
1903. Hertwig, O. — cof. Articolo « Eireife und Befruchtung » : Hand-
buch der vergleichenden undexperimentellen Entwickelungslehre
der Wirbeltiere, herausgeg. von O. Hertwig.
1890. Holl, M. — 1. Ueber die Reifung der Eizelle des Muhn’s.: Sitz
Akad. Wien., Ili Abth., 99. Bd., p. 311, Taf. 1.
1893. — — 2. Ueber die Reifung der Eizelle bei den Saugetieren :
ibid., 102. Bd., p. 249.
1903. Levi, G. — 1. Osservazioni sulla differenziazione delle uova negli
Anfibii : Monit. Z. Ital. Voi. 13, p. 18.
— 112
1905. — — 2. Sulla differenziazione del gonocita e dell’ovocita degli
Atifibii con speciale riguardo alle modificazioni della vesci¬
cola germinativa: Arch. Anat. Embr., Voi. 4, p. 696, Tav. 71-78.
1904. Maréchal, I. — 1. Ueber die morphologische Entwickelung der
Chromosomen im Keimblàscheti des Selachiercies : Anat. Anz.,
25. Bd., p. 483, 25 figg.
1905. — — 2. Ueber die morphologische Entwickelung der Chromo¬
somen im Teleostierei (mit einem Zusatz iiber das Ovarialei
von Amphioxus lanceolatus und Ciotta intestinalis): Ibid., -26.
Bd., p. 641, 27 figg.
1892. Ruckert, I. — 1. Zur Entwickelungsgeschichte des Ovarialeies bei
Selachiertv. Ibid., 7. Bd., p. 107, 6 figg.
1894. — — 2. Zur Eireifung bei Copepoden : Anat. Hefte, 1 Abth.,
4, Bd., p. 261, Taf. 21-25.
1895. — — 3. Ueber das Selbstàndigbleiben das vàterlichen und
mutterlichen Rernsubstanz wàhrend der ersten Entwickelung
des befruchteten Ciclops-Eies : Arch. Mikr. Anat., 45. Bd.,
p. 339, Taf. 21-22.
1900. Winiwarter, H. von. — 1. Le corpuscule intérmediaire et le
nombre des chromosomes du Lapin: Arch. Biol., Tome 16,
p. 685, Pie. 29.
1900. — — 2. Recherches sur Uovo genèse et l’organo genèse de l’ov aire
des Mammifères ( Lapin et Homme): Ibid., Tome 17, p. 39,
Pie. 4-8.
Finito di stampare il 20 luglio 1923
Sulla genesi delle colonie primaverili del
Zoobotryon pellucidum Ehrbg.
Ricerche
del socio
Prof. Giuseppe Zirpolo
Libero docente di Zoologia nella R. Università di Napoli
(Tornata del 22 gennaio 1923)
Introduzione.
In una mia precedente Nota mi sono occupato del ciclo
biologico del Zoobotryon pellucidum Ehrbg, che ho potuto se¬
guire completamente in varii anni di ricerche.
Nel presente lavoro, studio in modo particolareggiato, lo
sviluppo delle colonie primaverili, cioè di quelle che si origi¬
nano dai rami autunnali che hanno svernato.
Ho la speranza che queste ricerche e le altre che andrò pub¬
blicando e che sono in gran parte completate possano far co¬
noscere meno imprecisamente la etiologia di questo briozoo.
Materiale di studio e tecnica.
Verso la fine di ottobre io ho seguitato a raccogliere i ra¬
mi residuati che mi era possibile ancora trovare in vicinanza
delle chiglie delle navi o di altri oggetti sommersi. Non ne ho
potuto ottenere mai in abbondanza: sempre pochi e in gene¬
rale rivestiti completamente da diatomee, ma così numerose
e fitte da formare come una crosta di colore brunastro. Que¬
sti rami io ho avuto cura di distribuire in vasche speciali
— 114 —
contenenti acqua di mare limpida, non corrente i) ed osservarli
durante tutto Y inverno.
Io ho seguito le colonie quasi giornalmente ed ho potuto
notare che di tutta la colonia i rami terminali erano quelli che
si disfacevano nel periodo di poche settimane. A partire da
quelli periferici fino a quelli più vicini all'asse principale avve¬
niva un continuo sfaldamento. Non appena la sostanza blasto-
gena interna si esauriva incominciava la caduta di tutti i zoidi
residuati. Indi i rami terminali diventavano flaccidi, si riducevano
e si sfaldavano lentamente. Eguale sorte capitava a tutti gli altri
rimanenti rami di secondo o terzo ordine che erano ancora a -
derenti al ramo principale, finché rimaneva un unico e solo asse,
di aspetto turgido, senza nessun zoide, opaco, ma con una no¬
tevole quantità di sostanza blastogena in tutta la regione interna.
Questo ramo unico era quello che rimaneva in generale
durante tutto l'inverno. Della lunghezza di qualche centimetro
e mezzo o meno esso rimaneva sul fondo del vaso senza pre¬
sentare nessuna manifestazione di vita, anzi al binoculare non pre¬
sentava nulla di notevole, e poteva dirsi che fosse in uno stato
di vita latente.
Io ho seguito questi rami per tutto il periodo invernale ed
ho cercato di osservarli in modo che nulla mi sfuggisse delle
modificazioni che sarebbero potute avvenire in essi, ma nulla ho
potuto notare degno di rilievo durante l'inverno, solamente all'i¬
nizio della primavera ho potuto osservare che varie zone della
superficie dei rami pigliavano una tinta più chiara e numerose
granulazioni biancastre venivano a formarsi verso queste parti
che presentavano un certo rilievo in confronto del ramo ba¬
sale. Ne isolai uno di questi in una vasca speciale onde poter
seguire tutte le fasi di sviluppo durante la primavera e nel pe-
l) L’acqua di mare corrente non mi ha dato, in tutto il periodo di osser¬
vazione, alcun risultato positivo. Le colonie tenute nelle vasche dove la corrente
d’acqua le teneva in continua agitazione si disfacevano molto facilmente, ed
anche se la corrente d’acqua veniva immessa in modo da non turbarle, pure
non vivevano per tutto il periodo invernale, ma andavano distrutte. Solamente
con l’acqua di mare stagnante io ho potuto seguire tutto il ciclo biologico del
Zoobotryon.
— 115 —
riodo successivo, e potetti così convincermi che i rami primaverili
si originano da rami autunnali che svernano sul fondo marino.
Descrizione dello sviluppo dei rami primaverili*
Il ramo raccolto misurava circa 15 mm. (Fig. 1). Era costi¬
tuito da due articoli, uno più lungo A, di circa 11 mm. e l'al¬
tro più corto B di circa 4 mm.,
separati fra loro da una breve
strozzatura, ma fortemente ade¬
renti per una larga zona di con¬
tatto.
Il primo aveva forma cilin¬
drica, lievemente arcuato e ter¬
minava a cono con estremo con¬
vesso. In tutta quanta la sua
lunghezza non presentava lo stes¬
so calibro, ma nella zona mediana
era alquanto più largo: lateral¬
mente non mancavano piccoli ri¬
lievi ed introflessioni che si os¬
servavano lungo tutto il ramo.
L'altro articolo, quello inferiore,
era molto più tozzo, di forma
grossolanamente conica. La mag¬
giore grandezza era in vicinanza
del punto d' innesto con l'altro
ramo, ma terminava alquanto più
sottile, sebbene la regione basale
si presentasse a forma ovoide.
Anche tutta la superficie non era
perfettamente liscia, in quanto
presentava di tanto in tanto pic¬
coli infossamenti e rilievi che
davano al ramo un aspetto par¬
ticolare. Ambedue questi rami erano notevolmente turgidi, tra¬
sparenti in alcune regioni della loro lunghezza, mentre in altri
punti, specialmente nella regione centrale, si osservava nel primo
Fig. 1.
— 116 —
articolo un denso cilindro di sostanza di colore giallo intenso
che occupava tutta la regione mediana del ramo a partire dal¬
l'apice sino al punto d'innesto con l'altro ramo, e l'articolo ba¬
sale aveva quasi tutto Y interno completamente occupato dalla
sostanza di colore giallo, salvo qualche lievissima zona laterale
che ne era sfornita. Onde la trasparenza dei rami del Zoobotryon
pellucidum Ehrbg, durante il periodo estivo, in questo ramo non
era limitata che a poche zone solamente.
Alla massa di colore giallo io ho dato il nome di “ sostan¬
za blastogena „. Essa era stata chiamata del Reichert “ sostanza
protozootica ma io non ho creduto conservare questo nome per¬
chè m'è parso improprio e le ragioni le ho già riferite in prece¬
denti lavori. Questa sostanza blastogena, la cui importanza nello
sviluppo dai rami è davvero eccezionale, si presenta di un colore
giallo cupo, ma può anche avere tinte varie di giallo fino al bianco
e ciò in rapporto al suo spessore. Difatti nella zona centrale essa
si presentava, in questi rami, di colore giallo scuro per essere
fortemente densa. Non correva diritta lungo tutto il ramo A, ma
si presentava lievemente tortuosa. Nelle regione basale, cioè al
punto d'inserzione coll'altro articolo essa era abbastanza sottile,
ma poi diventava di forma ovale e poi cilindrica. Correva lungo
tutto il ramo presentando verso la metà una forte insenatura verso
le superficie di sinistra, per poi allontanarsi e disporsi verso la re¬
gione centrale fin verso l'estremo apice del ramo. Il suo spessore
quindi non era sempre lo stesso, ma variava in tutta la lunghezza
e osservando la Fig. 1 si può vedere la varia posizione assunta
dal cilindro di sostanza blastogena lungo tutto il ramo. Intorno
a questo cilindro, la cui costituzione morfologica e strutturale
avrò occasione in un prossimo lavoro di descrivere ed illustrare,
osservavasi per trasparenza una rete della stessa sostanza, di co¬
lore giallo pallido, con rami di sottigliezza varia, ma intersecan-
tisi fra di loro in modo vario. Questa rete più o meno fitta, a
maglie irregolari si staccava sempre più dalla regione mediana
e si andava facendo sempre più rada ed a maglie più larghe fin
verso la parete del tubo dove terminava con i suoi apici con¬
fondendosi in parte con la sostanza della regione interna del
tubo cellulosico ed in parte dirigendosi verso particolari zone
donde traevano origine i nuovi rami.
— 117 —
La sostanza blastogena nel ramo inferiore, data la sua no¬
tevole estensione in tutto 1' articolo e la piccolissima parte la¬
sciata trasparente, non permetteva di osservare neppure in questa
zona la rete che così facilmente si scorgeva nel ramo superiore,
ma variando la distanza focale dell' obbiettivo si potevano vede¬
re lunghi filamenti costituenti le zone superficiali della massa
blastogena centrale.
Tanto neiruno che nell'altro ramo io ho potuto notare nu¬
merosi rami o inizii di rami formatisi sulla loro superficie. Nel
primo articolo, il più lungo, si contavano ben nove rami in via
di sviluppo e sull'altro quattro.
Questi rami (Fig. 2) il 12 aprile, dopo otto giorni, erano
già abbastanza sviluppati e su di essi si notavano numerose
gemme di zoidi in via di sviluppo. La disposizione di questi rami
non era la più normale e regolare così come si è soliti osservare
in tutti i rami del Zoobotryon , ma in prossimità dell'apice se ne
erano sviluppati due, a, a' quasi della stessa lunghezza e disposti
l’uno di fronte all'altro. Questi erano in immediato contatto nel
loro interno con la sostanza blastogena del ramo fondamentale. Da
questo si partivano due ramificazioni che innestandosi alla base
dei due novelli rami li seguivano sino ai loro estremi apici. Late¬
ralmente, da questi fili di sostanza blastogena si osservavano
ulteriori ramificazioni che si connettevano all'origine degli zoidi.
A questi due rami seguiva un altro inferiormente a sinistra b e
più giù un altro e tutti e due presentavano le stesse modifica¬
zioni per quanto si riferisce alla sostanza blastogena dei rami
precedentemente descritti.
Nella regione mediana poi si notavano due grossi rami c, c'
sviluppatisi l'uno accanto aU’altro. Notevole poi era il fatto che
essi nelle zone in cui erano l'un di fronte all'altro non avevano
sviluppato zoidi, ma questi si erano formati in numero notevole
nelle regioni opposte. Nella metà inferiore poi del tubo vi erano
altri quattro rami e, f, f, g disposti in modo vario e quasi tutti
con numerosi zoidi in via di sviluppo.
Nell'articolo inferiore B dei quattro rami h, h', k, i tre erano
ben sviluppati e l’altro posteriore i di meno. Di questi rami tre,
i superiori, erano tutti disposti quasi allo stesso livello: quello di
destra più sottile, ma più lungo, quello di mezzo più tozzo ma più
— 118 —
corto e l'altro più sottile e con appena qualche accenno allo svi¬
luppo di zoidi. Nella regione inferiore a destra si notava un altro
ramo k piuttosto tozzo e abbastanza sviluppato che portava varii
zoidi lungo tutto il suo asse.
In generale tutta questa ricca serie di rami si era sviluppata
nello spazio di pochi giorni. Essi avevano una forma cilindrica
in quasi i due terzi della loro lunghezza, ma verso l'estremo pi¬
gliano una forma conica ad apice convesso. Gli zoidi in alcuni di
questi rami si erano sviluppati di più verso l'apice, in altro lun-
— 119 —
go tutto l’asse, in più file o in due o talvolta si vedevano sparsi.
Tutti i rami però avevano immediata relazione con la sostanza
blastogena fondamentale. Nel loro centro era sempre ben visibile
il filamento biancastro, cilindrico, che correva diritto verso l'apice
del ramo, dove corpuscoli bianchi, come fitte granulazioni si rac¬
coglievano quasi a dare la spinta alla ulteriore crescita del ramo.
Nell'intermezzo di questi due articoli si osservava 1' ultimo
residuo di un vecchio ramo che si era andato disfacendo durante
r inverno. Conservava an¬
cora la forma cilindrica, ma
in tutta la sua lunghezza
numerose diatomee ed alghe
si erano formate, segni tan¬
gibili della morte del ramo.
Dopo nove giorni il
ramo in esame (Fig. 3) pre¬
sentava le seguenti partico¬
larità :
Il ramo superiore A
non mostrava nessuna va¬
riazione in tutta la sua lun¬
ghezza. La sostanza blasto¬
gena in essa contenuta si era
notevolmente ridotta. Nel
punto di contatto con il
ramo inferiore si presentava
fortemente assottigliata e vi
era connessa per mezzo di
un breve peduncolo. Lun¬
go tutto il tratto seguiva la
stessa direzione osservata
innanzi e presentava brevi
sinuosità. Tutta la massa di
colore giallo più denso si
era raccolta lungo l' asse
mediano ed intorno era ben visibile la zona trasparente che la
circondava e si dirigeva nei vari punti verso i germogli sorti sulla
superficie del ramo.
— 120 —
Nel secondo articolo B la riduzione non era stata molto no¬
tevole; aveva conservata la forma ovale del tubo in cui era con¬
tenuta e questo si presentava lateralmente abbastanza trasparente.
Ciò che si mostrava di notevole in questo stadio del ramo
era lo sviluppo straordinario dei germogli laterali.
Innanzi tutto verso I' apice del tubo superiore A si erano
sviluppati due grossi zoidi in immediata dipendenza della parete
del tubo.
I due rami che si trovavano a destra e a sinistra, a, a’ quasi
allo stesso livello, si erano notevolmente sviluppati e numerosi
zoidi erano cresciuti negli apici ed erano così densamente stretti
fra di loro da costituire come un ceppo.
II ramo sviluppato immediatamente dopo, nella regione di si¬
nistra b, portava anch’esso numerosi zoidi che covrivano il ramo
per circa un terzo. Il ramo situato a destra, b' nella stessa dire¬
zione di quello superiore, presentava pochi zoidi. I due rami in¬
vece situati al disotto, c, c', allo stesso livello e di fronte si erano
sviluppati straordinariamente, .dando origine a due articoli ognuno;
e questi erano completamente rivestiti da numerosi zoidi svilup¬
patisi verso gli apici.
Degli altri due rami situati a sinistra quello, d, superiore
era completamente carico di zoidi; mentre l'altro f ne aveva una
certa quantità solo verso la regione terminale. Gli altri rami di
destra, quello posteriore e aveva avuto poco sviluppo, mentre
l'altro, quello anteriore f, aveva avuto un duplice sviluppo e si
andava formando un terzo articolo. In tutti si notavano zoidi
già sviluppati o in via di sviluppo.
L’ultimo ramo, g, cioè quello situato superiormente al ramo
principale, si era afflosciato e rovesciato sul ramo inferiore.
Nell'articolo inferiore B poi i rami già sviluppatisi avevano
pure uno sviluppo vario. Quelli di sinistra si erano, durante i
giorni successivi alle prime operazioni, accresciuti, ma poi erano
andati via via afflosciandosi; quello di destra, invece, aveva dato nu¬
merosi rami, dei quali quello posteriore era in via di disfacimen¬
to, mentre quello anteriore si andava ulteriormente sviluppando.
Il ramo basale poi di destra k si era notevolmente accre¬
sciuto ed era costituito da due rami, ognuno dei quali ricco di
zoidi e tutti in piena attività di sviluppo.
— 121 —
Il ramo intermedio fra i due articoli non aveva subito al¬
terazioni di sorta e rimaneva sempre relativamente rigido nella
sua posizione. Quello che a me però interessa far notare è che
la sostanza blastogena che, nello stadio precedentemente studiato,
riempiva gran parte del ramo ed era densa di colore giallo
vivo, in questo novello stadio si era andata assottigliando e non
aveva più quell'aspetto caratteristico, indizio di una grande vitalità.
Ora lo sviluppo dei rami lungo 1' asse principale e la imme¬
diata riduzione della sostanza blastogena dell’ interno di questi,
come quella del ramo principale fa pensare che questa si è ri¬
dotta per dare ai rami mezzo di svilupparsi. Difatti la crescita
di questi è stata notevole e lo sviluppo dei zoidi su ognuno di
essi ha raggiunto un numero rimarchevole e tutti erano in co¬
municazione con la sostanza blastogena centrale.
Nell’articolo inferiore B essa non si era ridotta molto, anche
perchè non c' era stato notevole sviluppo di rami ed anche quei
pochi che si erano formati ed accresciuti avevano potuto utiliz¬
zare poca sostanza blastogena. Ora questa era abbondantissima
in questo ramo e quindi era stata in parte conservata, per la pic¬
cola quantità che ne aveva dovuto fornire ai novelli rami neoforma-
tisi. Resta, però, da tutte queste considerazioni un’osservazione
di fatto che è stata in altro lavoro meglio sviluppata, cioè dei
rapporti fra sostanza blastogena e sviluppo di rami coloniali.
Dopo 21 giorni (Fig. 4) ho riosservato di nuovo questo ramo
ed ho potuto constatare che lo sviluppo dei rami laterali era
nella fase massima.
Il tubo principale non aveva subito nessuna modifica ester¬
namente; solo la sostanza blastogena si era andata sempre più
riducendo e si presentava come un lungo cilindretto più denso
verso la regione basale. Intorno a questo cilindro di colore giallo
era ben visibile lo strato jalino che lo circondava e che di tanto
in tanto in direzione dei rami laterali dava propagi ni che si
dirigevano verso di essi.
Dei due zoidi formatisi verso l’apice del primo articolo
erano rimasti solamente i cistidi: i polipidi, dopo un periodo di
varii giorni di vita, erano morti.
Dei due rami laterali, situati quasi nella stessa direzione,
quello di destra a non aveva subito ulteriori modifiche se non che
gli zoidi si erano sempre rigenerati nel punto dove gli altri rami
erano morti ; il ramo di sinistra a’, invece, si presentava tuttora
rigido e con doppia formazione di articoli e numerosi zoidi in
via di sviluppo o già sviluppati in gran parte ed alcuni anche
morti, specialmente di quelli più basali non era rimasto che solo
Fig. 4.
il cistide. Il ramo di sinistra b posto a poca distanza da quello
superiore aveva subito un accrescimento notevolissimo: si erano
formati due rami e su ognuno di essi si contavano numerosi
zoidi tutti in piena vitalità: solo verso la base del primo articolo
c'era qualche cistide di zoide morto. Gli altri tre rami mediani
di destra b' c, c' s'erano anch'essi sviluppati molto: quello supe¬
riore b' aveva dato origine ad un secondo articolo anch'esso ricco
di zoidi, i due inferiori disposti frontalmente c, c' avevano subito
un breve accrescimento: tutti e tre erano poi carichi di zoidi.
Gli altri due rami inferiori di sinistra d, f' presentavano que¬
ste modifiche : quello superiore era completamente carico di
zoidi che andavano dall'estremo apice del ramo fino alla base; e
quello inferiore era accresciuto del doppio e su di esso v'erano
zoidi con scarsa vitalità.
Dei due rami basali situati a destra, e, f quello posteriore c
era completamente disfatto, mentre quello anteriore f s' era ac¬
cresciuto notevolmente essendosi su di esso formati tre rami,
tutti ricchi di zoidi.
Il ramo mediano g, che nella fase precedente si era incur¬
vato su quello sottostante, aveva ripreso novello vigore e su di
esso non si erano formati altri rami ma solamente numerosi zoidi
circondavano il ramo in tutta la sua lunghezza.
Nel ramo inferiore B la sostanza blastogena non aveva subi¬
ta nessuna riduzione, ma si presentava sempre di colore giallo
intenso e di forma ovoide. Dei tre rami sviluppatisi su di esso
quello superiore di sinistra h si era allungato abbastanza ed aveva
numerosi zoidi; quello di destra h' aveva dato tre ramificazioni
successive e tutte con zoidi e quello k inferiore presentava l' ini¬
zio della formazione di tre rami l'uno successivo all'altro e tutti
con gruppi di zoidi disposti verso gli apici di ciascun ramo.
Anche in questo stadio io devo ribadire il fatto della ridu¬
zione della sostanza blastogena in rapporto alla formazione dei ra¬
mi e basta dare uno sguardo comparativo alle singole illustrazioni
riportate per osservare questo fatto così rimarchevole della for¬
mazione dei rami a spese della sostanza blastogena che si riduce.
Dopo 20 giorni il ramo (Fig. 5) aveva perduto la sua tra¬
sparenza ed il suo turgore era diminuito. Il ramo conservava nei
due articoli la stessa forma, ma era opaco. La sostanza blastogena
nel primo articolo si era ridotta ad un filo sottilissimo. Un gru¬
mo maggiore trovavasi verso l'apice, ma nel rimanente ramo era
completamente sparita. Intorno ad essa era sempre più visibile
la zona di sostanza gialla chiara che circondava l'asse mediano.
— 124 —
Nell'articolo inferiore B in uno spazio di tempo relativamente
breve tutta la grande quantità di sostanza blastogena era com¬
pletamente ridotta ad una piccola masserella che s' era raccolta
verso T apice e ad una porzione cilindrica che correva lungo il
rimanente tubo.
Fig. 5.
Dei rami non restavano che pochi residui. Solamente il
ramo superiore di sinistra a' aveva però uno sviluppo notevole
solo perché s'era accresciuto di molto in lunghezza, ma ancora
— 125 —
m-'
perchè su di esso vi si erano formati numerosi zoidi e tutti in
piena attività di accrescimento.
Rimanevano ben visibili i rapporti fra la sostanza blasto¬
gena del ramo centrale con quella che andava fin verso l’apice
del ramo laterale.
L'altro ramo di destra a durante tutto il periodo di venti
giorni si era accresciuto di un secondo ramo che però aveva
avuto una vita molto breve, difatti di esso non rimanevano
che solamente i cistidi e tutto il ramo era abbastanza flaccido.
Tutti gli altri germogli che erano sorti lungo il ramo erano
tutti morti e di essi non rimanevano che porzioni dei tubi ba¬
sali e qualcuno con pochi residui di cistidi.
Il secondo articolo B aveva pure tutti i rami morti, ma è
notevole osservare che essi fra il 13. V. 21 e il 2. VI. 21 si erano
sviluppati molto, ma la loro vitalità era stata molto breve. E
specialmente il ramo basale di destra, oltre a formare quattro
ramificazioni tutte con zoidi e abbastanza avanti nello sviluppo,
aveva dato lateralmente un novello ramo anch'esso ricco di zoidi.
Tutta la sostanza blastogena, quindi, era stata consumata per un
accrescimento ed una formazione di rami notevolmente straor¬
dinaria, ma questa vitalità così forte era stata di breve durata,
tanto che nel corso di appena venti giorni si erano formati rami
di vario ordine e di varia grandezza e tutta la massa blastogena,
davvero cospicua in questo articolo, s'era completamente esaurita.
Ho voluto seguire ancora questo ramo per studiarne l'ul¬
teriore destino e dopo dieci giorni dalla precedente osservazione
ho potuto notare che la forma di tutti e due gli articoli rima¬
neva immodificata (Fig. 6). Restava ancora un residuo di sostanza
blastogena, a forma di grumo verso l'apice superiore del ramo
più lungo con appena qualche piccola diramazione laterale ed
un grumetto più piccolo verso la regione superiore dell'articolo
inferiore. Tutti i germogli che rendevano questo ramo così gra¬
zioso erano tutti morti e molti di essi anche distrutti in modo
da non rimanere che solamente qualche frammento basale; so¬
lamente i due rami superiori, benché morti, pure conservavano
ancora i cistidi.
Nell'articolo inferiore ancora tutti i rami erano sfaldati e solo
il ramo basale aveva ancora conservato i cistidi.
— 126 —
Ma tutto il ramo aveva perduto il suo turgore e già si os¬
servava che in alcuni punti si andavano sviluppando piccole al¬
ghe filamentose verdi o brune.
Dopo otto giorni dalla precedente osservazione il ramo era
completamente avvizzito. Non v'era traccia di sostanza blastogena
Fig. 6.
ed il ramo era abbastanza flaccido e tutta la superficie era co¬
sparsa di una graziosa flora marina. Alghe verdi venivano fuori
da diversi punti dei due articoli che erano completamente rive¬
stiti di alghe brune. Oramai il tubo era diventato mezzo adatto
per lo sviluppo delle alghe e nello spazio di pochi giorni era
tutto zeppo di esse.
Io ho tenuto ancora questo ramo nella vasca e l'ho seguito
ancora per vario tempo, ma non ho potuto notare altro che uno
sviluppo sempre più intenso di flora, fino a che il tubo si è
andato disfacendo in più frammenti, ognuno dei quali poi si è
disperso nella vasca non lasciando alcuna traccia di sè.
Conclusione*
Dalla serie delle varie ricerche fin qui eseguite ne risulta
che questo ramo, che aveva vissuto tutto l'inverno sul fondo di
una vasca e che lo stesso avrebbe fatto se fosse stato nel mare,
dopo aver dato nella primavera una ramificazione straordinaria¬
mente esuberante, si è andato via via disfacendo e di esso non
è rimasta traccia alcuna.
Ma lo studio di esso mi ha permesso di svelare una parte
ignota della biologia del Zoobotryon , cioè io sono venuto a pre¬
cisare questo dato di fatto che:
Particolari rami, ricchi di sostanza blastogena
t privi di zoidi, vivono durante l'inverno sul fon¬
do marino, per dare poi origine a nuovi rami du¬
rante la stagione primaverile successiva.
Da questi rami si sviluppano in seguito le larve che, a loro
volta, danno origine a nuove colonie.
Napoli , Stazione Zoologica , dicembre 1922.
BIBLIOGRAFIA.
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Zoobotryon pellucidum (Ehrenberg). Mem. Acc. Se. Ist. Bologna
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Ctenostomata and Endoprocta. Proc. Z. Soc. London, pp. 831-858,
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pellucidum (Ehrenberg). Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 33, p. 98-101.
1921. — — 2. Sulla biologia del Zoobotryon pellucidum (Ehren¬
berg). Ibid. Voi. 34. Com. Verb. p. 3-6.
1922. — — 3. Contributo alla conoscenza del ciclo biologico del
Zoobotryon pellucidum (Ehrenberg). Mon. Z. It. Ann. 32,
p. 128-134.
1922. — — 4. Sullo sviluppo del Zoobotryon pellucidum (Ehren¬
berg). Atti Unione Zool. It. 12 Ass. Ord. e Conv. Un. Z. It.
Trieste 8-12 sett. 1921, pag. 12.
1922. — — 5. Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobo¬
tryon pellucidum (Ehrenbebg). Arch. Z. Voi. 10, p. 223, 5 fig.
1923. — — 6. Ricerche sul rapporto fra sostanza blastogena e svi¬
luppo dei rami coloniali nel Zoobotryon pellucidum (Ehrenberg).
Pubbl. Staz. Z. Napoli, Voi. 4, p. 117-128, Tav. 2.
Finito di stampare il 25 luglio 1923
Ricerche sulla simbiosi fra Zooxantelle e
Phyllirhoè bucephala Peron et Leseur.
Studio
del socio
Prof* Giuseppe Zirpolo
Libero docente di Zoologia nella R. Università di Napoli
(Tornata del 18 marzo 1923)
Introduzione.
Numerosi casi di simbiosi fra animali e piante sono stati
registrati finora.
I Protozoi, le Spugne, i Celenterati, gli Ctenofori, i Turbei¬
lari, i Rotiferi, gli Anellidi, i Briozoi comprendono numerose spe¬
cie che albergano nell’interno del loro corpo Zooclorelle o Zooxan¬
telle. Fra i Molluschi sono state notate solamente la Tridachna
e V Ely sia viridis che presentano questa caratteristica.
Nel passato anno ho avuto occasione di fare numerose
osservazioni su Phyllirhoè bucephala Peron et Leseur, gra¬
zioso gasteropodo che si pesca in notevole quantità nel no¬
stro golfo e che presenta il fenomeno della fosforescenza così
ben messo in evidenza dal Panceri e ripreso in quest'ultimi
anni dal Trojan.
Durante le mie ricerche ho potuto constatare con costanza
nell’ interno del corpo e propriamente nell'interno dei ciechi epa¬
tici dei corpi di colore giallo o verde e che ho facilmente po¬
tuto identificare per alghe. Poiché finora nessuno s' è occupato
della simbiosi fra Zooxantelle e Phyllirhoè ho creduto opportuno
arne una comunicazione allo scopo di allargare le conoscenze
— 130 —
che si hanno sull'importante fenomeno della simbiosi fra ani¬
mali e piante.
Ricerche bibliografiche.
Sin dal 1824 Bory de Saint-Vincent citato dal Brandt attribuì
ad un'alga verde ( Anaboetiia irnpalpabilis ) la colorazione delle
Spongille.
Il Siebold (1849) considerò molto vicini alla clorofilla se non
identici i granuli verdi che si trovano ne\Y Hydra, nei Turbella-
rii ed in diversi Infusorii.
Schultze, nel 1851, fece osservazioni su di un turbellario ( Vor -
tex viridis), su di un polipo, ( Hydra viridis) e sul protozoo Stentor
polymorphus e potè chimicamente, facendo uso di acido solforico,
acido cloridrico, potassa concentrata, ammoniaca ecc. constatare
che le proprietà chimiche presentate dai grànuli contenuti in que¬
sti animali erano identiche a quelle della clorofilla.
Il Cohn (1851) ottenne analoghi risultati.
Lo Stein (1854), Clàparède e Lachmann (1857) accettarono
le idee dello Schultze e del Cohn, anzi Ray Lankester, ricorrendo
al metodo spettroscopico potè dimostrare che il pigmento verde
della Spongilla fluviatilis e del Y Hydra viridis era analogo alla
clorofilla.
Cohn e Shròter, studiando l'estratto alcoolico di un pro¬
tozoo 1’ Ophidium versatile raggiunsero gli stessi risultati.
Ricerche, inoltre, di indole varia furono eseguite da nume¬
rosi altri biologi, come Dangeard (1900), Dastre (1899), Keeble
(1910), Borrel (1913) ed uno studio molto accurato sull' argo¬
mento è stato fatto dal Bouvier (1893).
Ultimamente 1’ argomento è stato aggiornato dal Caullery
(1922), dal Buchner (1921), in lavori di indole generale.
In questi ultimi anni sono stati pubblicati due lavori uno del
Kuskop (1921) sulla simbiosi fra Sifonoforie Zooxantelle ed uno del
Goetsch (1921) su una nuova simbiosi nei polipi di acqua dolce. Fi¬
nalmente il Fulton (1922) si è occupato ancora ampiamente de¬
gli animali aventi clorofilla, ed una bibliografia abbastanza com¬
pleta, che trovasi alla fine di questo lavoro, mi dispensa dal ri¬
ferire tutte le varie ricerche finora eseguite.
— 131 —
Hovasse e Teisser hanno comunicato in quest'anno (1923)
di aver studiato Zooxantelle in Peridinee, Sifonofori (Velello),
Anemonia sulcata Penn, e Aglaophenia piuma L.
Da tutta la ricerca bibliografica si deduce che il numero di
casi di simbiosi fra alghe ed animali va notevolmente accrescen¬
dosi, e che uno studio di tal genere è di un interesse notevole
anche perchè è possibile dalle maggiori conoscenze meglio de¬
terminare la posizione sistematica delle Zooxantelle.
Materiale di studio e tecnica*
Nelle mie osservazioni io ho fatto uso della dissezione e dei
tagli microtomici.
Negli animali di fresco venuti dal mare io isolavo i ciechi epa¬
tici e li spappolavo con aghi sottili e poi osservavo le Zooxantelle.
Per avere un' idea della distribuzione delle alghe lungo i ca¬
nali epatici io fissavo gli animali e poi dopo averli tenuti alcun
tempo in acqua li lasciavo stare per varie ore in una soluzione
di alcool iodato. La reazione amidacea avveniva in modo da ren¬
dere brune le alghe e quindi dopo la chiarificazione con glice¬
rina si poteva osservare la posizione delle Zooxantelle nell’in¬
terno dei ciechi e la loro distribuzione.
Adoperando un tal metodo le Zooxantelle comparivano di
colore brunastro nel fondo chiaro delle cellule dei ciechi epatici.
Le sezioni microtomiche di appena dieci micron io le colo¬
ravo col Giemsa a caldo e mentre tutte le cellule prendevano le
doppie colorazioni le Zooxantelle rimanevano inalterate e spic¬
cavano evidenti.
La disposatone delle Zooxantelle nei ciechi epatici.
La trasparenza del corpo che presenta la Phyllirhoè per¬
mette di poter osservare facilmente la disposizione delle Zooxan¬
telle nei ciechi epatici.
Si sa che questi sono quattro: due dorsali e due ventrali e
si presentano punteggiati per i granuli di colore giallognolo che
appaiono subito ove si osservino ad uno ingrandimento non
molto forte. Studiando meglio la loro posizione, per quanto è
dato vedere attraverso la regione del corpo, si nota che esse
132 —
sono sparse in gran parte nella regione esterna e sono non soli¬
tarie ma aggruppate e in serie. Non tutta la superficie ne è ri¬
vestita, ma se ne vedono sparse in determinate zone ed in alcuni
punti sono numerose.
Facendo una dissezione si può isolare tutto il gruppo dei
quattro ciechi e osservarli in glicerina. Ivi è facile vedere dopo
poco che i granuli giallognoli che sono poi le Zooxantelle oc¬
cupano tratti più o meno estesi dei ciechi epatici e sono va¬
riamente disposti lungo tutta la regione dei canali epatici. In al¬
cuni punti ve ne sono ammassati numerosi.
Immergendo i ciechi epatici in una soluzione di iodo si vede
che i granuli diventano di colore bruno e sono molto più facil¬
mente visibili.
Se si spappolano gli organi e poi si schiacciano facendo
pressione con un vetrino coprioggetto si nota che le Zooxantelle,
talvolta rompono la parete cellulare e liberamente stanno nel li¬
quido, talvolta però restano ancora racchiuse neirinterno delle
cellule epatiche, ma non vi sono perfettamente aderenti essen¬
dovi un piccolo alone tra le Zooxantelle e la parete interna della
cellula epatica.
In altre regioni del corpo non mi è occorso osservare Zoo¬
xantelle.
Per meglio studiare la posizione di queste nei ciechi epatici
ho creduto fare delle sezioni. I tagli di circa dieci micron veni¬
vano colorati con il Giemsa a caldo. Ho ottenuto bellissimi pre¬
parati: fra le cellule colorate in roseo e azzurro spiccano i corpi
gialli o Zooxantelle.
Se ne trovano, talvolta, una per cellula, ma molte volte ve
ne sono ancora gruppi di due o più che sono addossate fra di
loro. Nel lume interno non ne ho trovato mai, ma solo nella
parete e propriamente in quella più esterna dei ciechi epatici.
Si possono trovare in tutti gli stadi riproduttivi e ve ne
sono anche di varia grandezza. In generale la loro forma é qua¬
si sempre ovale, a contorni ben definiti, con nucleo ben visibile
quando si è ben lavato con alcool e si è sciolta la clorofilla. Si
trovano quasi sempre in via di scissione.
Questa presenza delle Zooxantelle nei ciechi epatici delle
Phyllirhoè non deve far meraviglia. In questi organi se ne an-
133 —
nidano sempre. Il Kuskop, infatti, che ha studiato numerosi Si-
fonoforidi ne ha trovato in altre parti del corpo, ma sovratutto
in grande quantità nei ciechi epatici tanto nella Veletta spirans
che nella Porpita umbella.
Ora questo fatto che la distribuzione delle Zooxantelle nei
varii gruppi animali non è capricciosa, ma segue una determi¬
nata disposizione ci deve far pensare che esse compiono un certo
ufficio a loro vantaggio e forse anche dell'ospite che li alberga.
Ricerche sulle Zooxantelle.
Le Zooxantelle della Phyllirhoè in tutti i numerosissimi esem¬
plari osservati presentano sempre la stessa forma. Sono gene¬
ralmente circolari, talvolta appena ovalari, a contorni netti e
ben definiti.
Trattate con iodo diventano brune e con alcool perdono la
clorofilla.
Di Zooxantelle se ne registrano nella bibliografia dì grandezza
varia da uno e mezzo micron a tredici. Il Brandt ne ha voluto
fare due specie tenendo conto della grandezza, ma la sua clas¬
sificazione è davvero artificiale, perchè noi troviamo Zooxantelle
di grandezza differente nello stesso animale e quindi non è pre¬
sumibile dallo sviluppo maggiore o minore di organismi così
piccoli dare delle classificazioni. D'altra parte i casi finora rife¬
riti non sono molti e bisogna attendere ancora abbastanza per
potere avere una serie di dati tali da poter inquadrare le varie
forme conosciute in specie ben determinate e non suscettibili di
variazione alcuna.
Anche il colore delle Zooxantelle varia. In alcuni esemplari
di Phyllirhoè ho osservato talvolta Zooxantelle di colore aran¬
cione che davano un aspetto caratteristico all'animale; general¬
mente poi sono di colore giallo chiaro. Hanno un diametro di
circa quattro micron.
La genesi delle Zooxantelle.
La ereditarietà dei simbionti è oramai un fatto acquisito
della scienza. Dopo gli studii del Pierantoni, di Buchner e di
— 134 —
numerosi altri non c'è più dubbio sulla trasmissione di germi
attraverso le uova.
Sulla genesi delle Zooclorelle vi sono varie questioni. E' stata
emessa l'ipotesi se esse siano trasmesse dall'animale stesso. Il
Lankester, che 1' ha prospettata, si è basato sulle ricerche del
Kleinenberg e sulle sue osservazioni personali.
Secondo Kleinenberg e Lankester i corpuscoli rotondi o
ovali che si trovano nell'entoderma delle idre e delle spongille
sono privi di clorifilla, ma potrebbero sotto l'azione del sole im¬
pregnarsi di questa. Tale supposizione ha avuto però delle ob¬
biezioni gravi e non può affatto ritenersi come vera, giacché i
corpuscoli incolori sono sostanze di riserva, come ha potuto ben
dimostrare Greenwood.
Kleinenberg ha potuto, però, dimostrare nell'uovo di Hydra
viridis la presenza di corpuscoli verdi e quindi la ereditarietà di
queste clorelle.
II problema è interessante ed uno studio accurato nei vari
gruppi potrebbe dare la dimostrazione più evidente circa la sim¬
biosi ereditaria fra alghe ed animali, come è stato esauriente¬
mente data per blastomiceti e batteriacee con animali.
Nella Phyllirhoè io ho cercato di poter addivenire a conclu¬
sioni, ma nelle vasche del nostro Acquario questi animali non vi¬
vono che pochissimi giorni e lo sviluppo delle uova e delle
larve mi è stato impossibile, ma io in base alla serie di fatti
generalmente noti circa la ereditarietà non sarei alieno dal pensare
ad una trasmissione ereditaria delle Zooxantelle nelle Phyllirhoè .
I rapporti fra Zooxantelle e Phyllirhoè bucephala.
E' interessante studiare i rapporti intercedenti fra le Zooxan¬
telle e le Phyllirhoèf perchè non si trova qualche unico esemplare
di queste con Zooxantelle, ma tutti. Io ne ho osservato numerosis¬
simi ed in tutti ho notato la presenza di queste alghe. E' strano
che nella letteratura non si sia mai notato un tal fatto. Il Ves-
sichelli nei suoi interessanti lavori parla di granuli di clorofilla
che non sfuggirono alla sua minuziosa indagine, ma evidentemente
egli non andò all'idea di trattarsi di Zooxantelle e d'altra parte
non era cosa che entrava nel campo delle sue ricerche.
Non è il caso qui di pensare ad una simbiosi unilaterale
Esiste qui un vero e proprio mutualismo.
Infatti l'alga emette durante il processo di fotosintesi una
certa quantità di ossigeno che viene utilizzato dalla Phyllirhoè
Il Geddes potè calcolare la quantità di ossigeno emesso dalle
Zooclorelle e dalle Zooxantelle e 1' Engelmann potè osservare
che nel Paramoeciam bursaria , quando manca l'ossigeno, l'ani¬
male cerca i raggi luminosi. D'altra parte è noto che Graff te¬
nendo delle idre verdi all'oscuro vide che queste morivano più
rapidamente di quelle tenute alla luce. Io ho cercato di tenere
le Phyllirhoè all'oscuro ed ho potuto constatare che la loro vita¬
lità diminuisce, anzi se dall'oscuro si rimettono alla luce si vede
che se prima erano sul fondo della vasca, non appena sono ri¬
portate alla luce ripigliano i loro movimenti.
Hamann nega completamente che l'animale abbia bisogno
dell'ossigeno emesso dall'alga.
Ora se è vero che 1' ossigeno non è necessario all' animale
considerato che esso può non sentirne bisogno, pure se l’ani¬
male ne ha a sua disposizione lo può ben utilizzare.
Sarebbe d'altra parte inspiegabile questa costanza di asso¬
ciazione fra Zooxantelle e Phyllirhoè , senza una reciproca utilità
ed anche a voler escludere ogni finalismo in tutto questo resta
la serie di fatti in nostro possesso, che riguarda i particolari
bisogni dell'alga e il particolare adattamento delle Phyllirhoè.
Ma ove noi diamo uno sguardo ai numerosissimi casi di sim¬
biosi esistenti fra alghe ed animali, alla costanza con la quale il
fatto si ripete nelle generazioni successive, alla trasmissione ere¬
ditaria delle alghe osservate in alcuni gruppi, alla presenza co¬
stante di queste in determinati organi non possiamo negare che
un qualche fattore utilitario debba pur esistere, perchè tutto. que¬
sto avvenga e si ripeta.
Napoli, Stazione Zoologica, febbraio 1923.
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cephala Peron et Leseur. Mitth. Z. Stat. Neapel, Bd. 18, p. 105,
Taf. 5-6.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 5.
Fig. 1. — Esemplare di Phyllirhoè bucephala Peron et Leseur in cui sono
stati trascurati i particolari degli altri organi e messi in evidenza
i ciechi epatici e la loro posizione. La fitta granulazione che si osserva
in essi rappresenta le Zooxantelle.
Fig. 2. - Parte terminale di un cieco epatico a forte ingrandimento per far
vedere gli aggruppamenti e le disposizioni delle Zooxantelle.
Fig. 3. — Taglio trasversale di un cieco epatico. I corpi neri intracellulari sono
le Zooxantelle. In alcune cellule le Zooxantelle sono cadute ed è ri¬
masto lo spazio vuoto. X 260.
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
Sulla salinità delle acque di superficie dello
stretto di Messina durante l’ inverno
1921-22.
Notizie preliminari
del socio
Dr. Pietro Lo Giudice
Libero docente ed Aiuto di Zoologia nella R. Università di Messina
(Tornata dell’ 8 luglio 1923)
Per alcune indagini biologiche sui laghi di Ganzirri e del
Faro mi occorreva confrontare la salinità delle acque di questi
laghi con quella del mare. Poiché mi risulta che fino ad ora non
è stato pubblicato nulla sulla salinità dello stretto di Messina,
così ritengo utile rendere noti i risultati delle mie analisi ese¬
guite nel periodo invernale 1921-22, ripromettendomi di ripi¬
gliare ben presto il lavoro, tenendo conto specialmente dell'an-
damento delle correnti, del regime eolico e delle precipitazioni
atmosferiche : fattori che hanno una grande influenza sulle varia¬
zioni, anche minime, di salinità delle acque.
I vari campioni di acqua furono sempre prelevati in super¬
ficie, alle 8h del mattino, a circa 500 m. dalla riva, all'altezza del
villaggio di Ganzirri, in direzione del così detto " Canale Ca-
tuso „, uno dei canali di comunicazione tra il lago di Ganzirri
e il mare, comunicazione che è però interrotta durante l'inverno,
perchè il canale, in seguito alle mareggiate, resta ostruito per lun¬
go tratto da grande quantità di sabbia.
Le relative analisi sono state eseguite col ben noto metodo
di Knudsen, servendomi di pipette tarate e di burette all'uopo
fornite dall'Istituto Idrografico di Copenaghen, il quale ha prov-
— 140 —
veduto altresì Y acqua normale necessaria per la titolazione del
A g NO3. Trovato il contenuto in grammi di ciò che col men¬
zionato metodo va considerato come CI ho, con l'aiuto natural¬
mente delle note tabelle idrografiche dello stesso Knudsen, de¬
terminato ciò che nel metodo è indicato come S (salinità) e come
co e f 17.5 (densità rispettivamente a 0° e a 17°5 C) giusta il se¬
guente prospetto :
N.°
Data
CI
S
Oo
P 17-5
1
1921
Dicembre
1
20,78
37,54
1,03017
1,02868
2
H
a
9
20,98
37,90
1,03046
1,02896
3
»
a
16
20.83
37,63
1,03025
1,02875
4
a
a
23
20,80
37,57
1,03020
1,02871
5
n
a
31
20,91
37,77
1,03036
1,02886
6
1922
Gennaio
13
20,88
37,72
1,03032
1,02882
7
a
a
20
20,63
37,27
1,02995
1,02847
8
a
n
30
20,72
37,43
1,03009
1,02860
9
n
Febbraio
10
20,96
37,86
1,03044
1,02893
10
n
a
24
20,96
37,86
1,03044
1,02893
11
a
Marzo
17
20,71
37,41
1,03007
1,02858
Non ritengo da questi pochi dati trarre deduzioni di sorta,
trattandosi per ora, come ho sopra detto, di un semplice saggio
della salinità invernale delle acque di superficie dello stretto di
Messina.
Messina , Istituto Zoologico della R. Università , Giugno 1923.
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
A proposito di Heteroglyphaea Paronae
COLOSI.
(Decapodo fossile)
del socio
G . Golosi
(Tornata ordinaria del 29 luglio 1923)
Se dedico qualche rigo ad una noterella critica di V. Van
Straelen 0 sopra Heteroglyphaea Paronae Colosi * 2) è solo per
deferenza verso 1' importante rassegna in cui essa è comparsa
e verso gli specialisti che potrebbero essere tratti in qualche
dubbio.
V. Straelen dice: " Il y a désaccord entre la reconstitution
hypothétique du fossile et la reproduction de son état actuel. La
reconstitution indique que la pince terminale du deuxième thora-
copode, serait constituée de manière que le dactylopodite soit
externe et le prolongement digité du carpopodite interne. Le
fossile, tei qu'il est figuré, ne permet pas de tirer cette conclu-
sion, fort importante au point de vue morphologique
V. Straelen ha ragione nell'affermare che tale conclusione
sarebbe molto importante, ma erra di gran lunga attribuendola
a me. Vari anni di studio di crostacei mi hanno conferito una
certa pratica sulla conformazione delle chele di questi animali,
pratica di cui pare che il mio critico sia del tutto sfornito, tanto
che mostra poca dimestichezza con la nomenclatura delle parti.
Toracopodo ! io ho scritto pereopodo. Carpopodite! io ho scritto
propodite. Sembra che l'attività di V. Straelen si sia estrinse-
£) Revue critique de Paleozoologie et de paléophytologie Tome 27, n. 1923.
2) Atti R. Accad. Scienze Torino, Voi. 56, 1921.
— 142 —
cata tutta nel dare un’occhiata alle figure senza darsi nemmeno
la pena di leggere la descrizione di cui avrebbe , se non altro,
potuto copiare con profitto la terminologia. Chè, se nel guar¬
dare le figure il dito mobile gli è parso esterno e l' immobile
interno, si è perchè il margine superiore del secondo pereopodo
(non toracopodo per carità !) è rivolto verso l'osservatore come
sovente avviene nel disporre sopra un piano e neH'allargare le
zampe dei decapodi. E crede il signor V. Straelen, che se avessi
segnalato un dito mobile esterno ed un prolungamento digiti—
forme del propodite (non carpopodite, per carità !) verso Y in¬
terno, non ne avrei fatto menzione nel testo ?
Insomma V. Straelen avrebbe potuto tutto al più, benché
non ne fosse il caso, consigliarmi di non esporre il mio disegno
ad una Mostra di Belle Arti ; ma, per quanto riguarda la sua
critica carcinologica, io potrei, certo con più ragione, ripetergli
il vecchio consiglio di Apelle: “ ne sutor altra crepidam \
Torino , maggio 1923.
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
Ricerche sulF epitelio del mesointestino di
Locusta danica, L.
del socio
Dott* Mario Salfi
(Tornata ordinaria 8 luglio 1923)
Introduzione.
Ancora è viva la discussione circa la funzionalità ed i rap¬
porti genetici delle cellule dell'epitelio del mesointestino degli
insetti.
Lo studio istologico rivela differenze notevoli nella strut¬
tura degli elementi cellulari costituenti l’epitelio mesointestinale.
Tale variabilità nella forma delle cellule è interpretata da
molti autori [Mingazzini '89, Visart '94, Verson '97, '98, Steu-
del '913] come dovuta a differenti periodi dell'attività funzio¬
nale dei singoli elementi. Molti altri, specialmente fra gli autori
recenti con a capo il Deegener, si schierano decisamente con¬
tro tale interpretazione, affermando che nel mesointestino degli
insetti esistono due distinte forme negli elementi epiteliali ben
separate per caratteri sia morfologici che funzionali e di origine
perfettamente indipendente [Van Gehuchten '91, Deegener '909,
'910, FoÀ '918, Federici '922],
Avendo intrapreso una serie di ricerche istologiche sul tubo
digerente dei Locustidi ( Acrididae , Auct.) ho voluto esaminare in
questi insetti tale questione ed ho ottenuto dei risultati interes¬
santi che confermano l'ipotesi unitaria degli elementi epiteliali
del mesointestino.
I risultati di queste mie ricerche, per altro, non vengono per
nulla ad infirmare quelli ottenuti da altri ricercatori a sostegno
— 144 —
della ipotesi contraria, dato che si tratta di insetti appartenenti a
gruppi sistematicamente lontani.
Del resto la materia vivente è così plastica, così numerose sono
le modificazioni che essa ci mostra nei suoi edifici, così varii sono
gli equilibri che in essa si stabiliscono che non è poi gran me¬
raviglia il constatare che, sia pure in specie di un medesimo gruppo,
le modalità sia strutturali che funzionali degli elementi d'uno
stesso tessuto deputato alla stessa funzione siano molteplici e
varie.
Le ricerche sono state eseguite sul mesointestino di Locusta
clanica , L. (Pachytylus cinerascens , Fabr.) sia su individui rac¬
colti nella stagione autunnale, epoca in cui essi manifestano la
massima attività vitale, sia su vari individui ibernizzanti.
Oltre alla osservazione a fresco e sul vivo ho adoperato su
vasta scala lo studio delle sezioni microtomiche.
Ottimo, quale fissatore, mi si è rivelato l’Alcool acetico (Al¬
cool 45o/o col V2 % di Acido acetico).
Ho trovato tale miscela superiore a qualsiasi altro fissatore
adoperato (Sublimato acetico, Liquido di Gilson) comprese le mi¬
scele cromo-osmiche.
Ho colorato le sezioni in varie maniere, ottenendo ottime
colorazioni con l'Ematossilina ferrica e con la doppia colorazione
Carminio boracico - Arancio G o Verde luce.
Ricerche personali.
Il mesointestino di Lucusta clanica, come quello della ge¬
neralità dei Locustidi, è, rispetto alle rimanenti zone in cui di
solito viene distinto il tubo digerente, il tratto più breve. Ad
esso si aggiungono quali appendici i sei ciechi del mesenteron,
che, come è noto, sono in diretta dipendenza di questo (cfr. per
maggiori particolari sulla struttura anatomica di tale organo il
lavoro del Bordas '98).
L'esame a fresco sia del mesointestino che dei ciechi rivela
uniformità nella superficie interna ed esterna di questi; il colore
è uniformemente bianco tendente al giallo pallido.
Il mesointestino, si trova sempre riempito dal cibo, di natura
esclusivamente vegetale, avvolto dalla membrana peritrofica, qui
evidentissima.
L'epitelio riposa sulla membrana basale e questa a sua volta
sui muscoli, qui disposti in tre strati l).
Mentre nel mesointestino gli elementi epiteliali sono piccoli
e confusi, nei ciechi essi appaiono più grandi, meglio indivi-
dualizzabili.
Differenza fondamentale fra l'epitelio dei ciechi e quello
mesointestinale, come vorrebbe il Plateau '75, non esiste. L'unica
differenza esistente consiste soltanto nella diversa maniera di rag¬
gruppamento delle cellule.
Nei ciechi l'epitelio è costituito da un unico strato di grosse
cellule che col connettivo sottostante forma numerose pieghe
(10 a 15) le quali limitano di molto la cavità cecale, aumentando la
superficie uniformemente coperta dall'epitelio.
Nel mesointestino viceversa si hanno veri villi, più numerosi
nella zona posteriore di esso.
L'epitelio è costituito da elementi piccoli (Fig. 1) i quali
però mostrano in generale tale confusione nel loro aggruppa¬
mento da rendere nella massima parte dei casi difficile l'indivi¬
duarli distintamente.
Nell'epitelio mesointestinale , come mostra la Fig. 1 che
rappresenta un frammento di una sezione nella zona media del
mesointestino, sono bene evidenti due forme di cellule caratte¬
rizzate principalmente dalla presenza o meno del rabdorio.
Le cellule col rabdorio si colorano più intensamente; il loro
Ù Al disotto della membrana basale ho rinvenuto uno strato di esilissime
fibrocellule molto ravvicinate fra loro.
Gli strati muscolari del mesointestino, nei Locustidi sono quindi tre e non
già due come afferma il Visart '94.
Questo strato di fibrocellule longitudinali interno ricorda quanto il Biz-
zozzero '92 descrisse a proposito del mesointestino di Hijdrophilas.
Le fibre degli strati muscolari del mesointestino appartengono al tipo
liscio. Ciò mi è confermato da osservazioni di elementi sia a fresco che fissati e
colorati.
La presenza di fibre liscie nel mesointestino era stata segnalata per Pha-
sgonura viridissima L. dal Vosseler’91 e non soltanto in quest’organo ma
anche neU’ovidutto della stessa specie.
— 146 —
citoplasma abbonda di granuli, che si fanno più numerosi nella
zona distale e prossimale deirelemento.
In alcuni casi il citoplasma assume in queste due zone forma
assolutamente striata. Ciò, come mostra la Fig. 4 si verifica
meglio nei ciechi nelle cellule delle pieghe epiteliali più prossime
alla sommità di queste e ricorda quanto il Veneziani '905 ha
osservato nelle cellule dell'epitelio dei Tubi Malpighiani.
Non rare nella zona distale della cellula si riscontrano for¬
mazioni riferibili a quella serie di strutture che costituiscono il
cosiddetto apparato cromidiale.
Il nucleo relativamente grosso, ovale, intensamente colorato
occupa una posizione prossima all'orlo distale della cellula.
Il rabdorio assume varie forme; nelle cellule in riposo (Fig. 3)
si mostra basso e debolmente colorato; altre volte, (Fig. 2) in
cellule del mesointestino in attività secernente, esso appare più
alto e si colora più intensamente.
In questa fase dell'attività cellulare ho riscontrato le varie
forme descritte dal Van Gehuchten '91 per Ptychoptera conta¬
minata pel processo della fuoruscita del secreto sotto forma di
gocciole attraverso l'orletto.
L'altra forma di cellule, senza rabdorio è meno comune nel
mesointestino.
Le cellule di questa forma si trovano però uniformemente fram¬
miste a quelle a rabdorio. Nei ciechi esse costituiscono da se sole no¬
tevoli tratti alla base delle pieghe epiteliali, specialmente in pros¬
simità dell'orificio di sbocco di questi nel mesointestino (Fig. 7).
A differenza delle cellule a rabdorio, in queste il citoplasma è
più scarso, si colora più debolmente, il secreto occupa buona parte
della cellula localizzandosi generalmente verso l'estremo distale.
Il nucleo non differisce da quello delle cellule a rabdorio;
esso però qui occupa una posizione vicina alla base della cellula.
Non è raro fra queste cellule il rinvenirne alcune che hanno
interamente perduto tutto il citoplasma e il cui nucleo è in via
di disfacimento.
Tali forme cellulari sono, senza dubbio, da considerarsi come
l'ultima fase a cui giunge l'attività cellulare, con la completa di¬
struzione della cellula stessa.
Frequenti si rinvengono nell'epitelio sia dei ciechi che del
mesointestino aggruppamenti nucleari, già descritti dal Frenzel
'85 e prima ancora dal Sirodot '58.
Il Frenzel ritenne tali aggruppamenti vere glandole aventi
sbocco proprio. Il Visart '94 che li descrisse per primo negli
Ortotteri pur riconoscendone resistenza non potè individuarne
bene lo sbocco.
Ma queste, come dice esattamente il Guènot '95, “sont bien
des cellules de remplacement comme le prouvent les mitoses
que l'on ne rencontre que là dans tout l'epithelium „.
E che veramente siano centri germinativi e non altro lo con¬
fermano pienamente le mie osservazioni.
Nella Fig. 5 ho figurato un gruppetto di nuclei circondati
da scarso citoplasma, dei quali uno in mitosi.
Tali raggruppamenti nucleari sono diffusi in tutto l'epitelio
sia dei ciechi che del mesointestino sempre alla base delle altre
cellule epiteliali. (Fig. 1 e 4).
11 rinnovamento degli elementi epiteliali è dovuto esclusiva-
mente a tali focolai di cellule giovani.
Ed a principio della sua formazione, prima ancora che la
cellula entri a far parte dell'epitelio funzionante, avvengono le
mitosi e la moltiplicazione delle cellule.
In nessun caso ho mai osservato tracce di moltiplicazione
nelle cellule in piena attività funzionale.
Come interpretare ora queste varie forme e aspetti delle
cellule epiteliali?
Dalla prima formazione dell'elemento giovanissimo fino al
completo disfacimento di questo è tutta una serie di modifica¬
zioni che la cellula attraversa o pur no?
Io ritengo che si tratti perfettamente di varii aspetti succes¬
sivi di una sola cellula, durante il corso della sua vita.
Ho cercato di rappresentare nelle Figg. 5, 3, 4, 6, 7, 8 le
varie modificazioni subite dagli elementi epiteliali dalla loro prima
origine fino alla loro completa distruzione.
Ho figurato frammenti della base delle pieghe dell' epitelio
dei ciechi, perchè qui il processo è più intelligibile, per quanto esso
si verifichi esattamente e nel medesimo modo nelle cellule del¬
l’epitelio mesointestinale.
— 148 —
Interessanti sono le forme cellulari in cui il rabdorio accenna
a sparire.
Da quanto ho potuto osservare, essendo l'orletto non altro
che una differenziazione dell'estremo distale del citoplasma in
date condizioni di funzionalità, variando queste, ne deriva un
completo mutamento nella struttura di esso: il rabdorio quindi
scompare. *
Ho notato molte cellule in cui (la fig. 6 ne rappresenta al¬
cune) il bordo superiore segna il limite di una zona di citoplasma
completamente trasparente; qui però non si possono individuare
bene i bastoncini caratteristici del rabdorio. Esistono delle forme
di passaggio tra l'orletto tipico e il citoplasma indifferenziato.
Da questo stadio, in cui anche il citoplasma perde le note
proprie della cellula ad orletto, il passaggio alla forma di cellule
della Fig. 7 è evidente.
Le cellule a citoplasma striato nella zona distale e prossi¬
male (Fig. 2) rappresentano poi uno stadio in cui la cellula può
considerarsi in attività assorbente.
Tutte le cellule della sommità delle pieghe epiteliali dei
ciechi sono in tali condizioni; l'afflusso delle sostanze assorbite
attraverso la ceduta imprimerebbe a questa la struttura striata
caratteristica.
La fase assorbente negli elementi epiteliali seguirebbe quella
di riposo (Fig. 3), precederebbe la fase secernente a secreto sotto
forma di gocciole fuoruscenti attraverso il rabdorio, e finalmente
si giungerebbe all' ultima fase di attività cellulare, caratterizzata
dal disfacimento successivo degli elementi stessi.
Concludendo: Nell'epitelio mesointestinale (e dei ciechi) di
Locusta danica (L.) sono evidenti due distinte e ben caratteriz¬
zate forme di cellule. Esse però non rappresentano che le mo¬
dificazioni dovute alle diverse fasi dell'attività fisiologica della
cellula stessa, durante il corso della sua vita.
Napoli , Istit. di Anat. e Fisiol. Comparate R. Università, giugno 1923.
149 —
BIBLIOGRAFIA
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— 150
1879. Verson, E. — 1. La evoluzione del tubo intestinale nel Filugello.
(Parte prima) Atti Ist. Veneto Se. [7] Tomo 8, p. 917, 2Tav.
1898. — — 2 .La evoluzione del tubo intestinale nel Filugello (Parte
seconda). Ibid. Tomo 9, p. 1273, 2 Tav.
1894. Visart, O. — Contributo allo studio del tubo digerente degli Ar¬
tropodi. Atti Soe. Toscana Se. N. Pisa Mem. Voi. 13, p. 20,
34 fig.
1891. Vosseler, Iul. — U ntersuchungen uber glatte und unvollkommeu
quergestreifte Muskeln der Arthropoden. Tùbingen 150 pp.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 6
Lettere comuni a tutte le figure
a ti — aggruppamenti nucleari
c r — cellule a rabdorio
c s — cellule senza rabdorio
gs — gocciole di secreto
m b — membrana basale
mie — muscoli long, esterni
mli — muscoli long, interni
mpr— membrana peritrofica
m t — muscoli trasversali
r b — rabdorio
si — secreto
str — zona striata del citoplasma
Le figure sono state disegnate con la camera lucida di Zeiss all’ altezza del
tavolino da lavoro.
Fig. 1. — Frammento di sezione trasversa attraverso la zona media dell'inte¬
stino medio di Locusta danica (L). Si notano le due forme di cellule,
c r. a rabdorio c s. senza rabdorio e gli aggruppamenti nucleari a n.
alla base dell'epitelio. Oc. 2 Ob. E. Zeiss X 310.
Fig. 2. — Gruppo di cellule dell'epitelio mesointestinale col rabdorio , in atti¬
vità secernente. Il secreto sotto forma di gocciole fuoriesce attraverso
l'orletto. Oc. comp. 6- Imm. Omog. Zeiss X 1000.
Fig. 3. — Cellule dell' epitelio dei ciechi in fase di riposo. Oc. 4. Ob. E.
Zeiss. x600.
Fig. 4 — Estremità di una piega epiteliale dei ciechi con cellule in attività as¬
sorbente. Si notano la striatura distale e prossimale del citoplasma str
e qualche aggruppamento nucleare ag. Oc. 4 Ob. E. ZeiSS X 600.
Fig. 5. — Aggruppamento nucleare nell’epitelio dei ciechi con nuclei in mitosi
Oc. comp. 6 — 1g- Imm. Om. Zeiss X 1000.
Fig. 6. — Cellule dell’epitelio dei ciechi in cui il rabdorio è in via di trasfor¬
mazione regressiva. Oc. 4. Ob. E. Zeiss. X 600.
Fig. 7. — Cellule dell' epitelio dei ciechi , senza rabdorio in avanzata attività
secernente. Oc. 4, Ob. E. Zeiss X 600.
Fig. 8.— Cellule dell’epitelio dei ciechi in attività secernente: ultima fase Oc
4. Ob. E. Zeiss X 600.
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
Identità fra Dolchinia mirabilis Korotneff
e Dolio latri Chimi Neu/tann.
del socio
Prof* Marco Fedele
(Tornata ordinaria del 29 aprile 1923)
Nel febbraio del 1891 veniva pescato nel Golfo di Napoli,
e studiato dal Korotneff, una nuova forma di tunicato pela¬
gico, che venne da questo autore battezzata, dietro suggerimento
dei professori Eisiq e Mayer, Dolchinia mirabilis, per significare
1' importanza filogenetica che ad essa si attribuiva come forma
intermedia fra il genere Anchinia e il genere Doliolam . Malgrado
la netta rassomiglianza dell'esemplare avuto in esame con un'ap¬
pendice dorsale carica diforozoidi staccatasi da una nutrice
di grosse dimensioni di Doliolurn, il Korotneff ritenne incon¬
testabilmente, per la mancanza di trofozoidi, per le dimen¬
sioni vistose e per la possibilità di vita autonoma , di trovarsi
in presenza di una forma sui generis da porsi di lato ad An¬
chinia e Doliolurn e costituente, come queste, un gruppo a parte
dei Cyclomyaria 1).
Questa forma così interessante , ripescata dal Lo Bianco 2),
nella crociera del Puritan, il 4 marzo del 1902, ad 8 km. dalla
Punta della Campanella, con cavo filato a 1100 ni., venne di
nuovo riscontrata contemporaneamente a Napoli e a Villafranca
0 1891, Korotneff (de), A. — La Dolchinia mirabile ( nouveau tunicier).
Mitth. Z. Stat. Neapel. Bd. 10, 1891-93, p. 187-205 (sp. p. 12-13).
2) 1903, Lo Bianco, S. — Le pesche abissali eseguite da F. A. Krupp
col yacht " Puritan „ nelle adiacenze di Capri e in altre località del Medi-
terraneo. Mitth. Z. Stat. Neapel. Bd. 16, p. 109-279, Taf. 7-9. (efr. sp. p. 168),
(verso il 1902-3) e ristudiata dal Korotneff i) che riscontra negli
esemplari di Napoli anche forme di trofozoidi, e, pur rico¬
noscendo insostenibili le sue conclusioni filogenetiche, insiste nel
ritenere Dolchinia forma perfettamente indipendente, da non
confondersi con Doliolum , e formante, ad ogni modo, un nuovo
genere, avente come carattere distintivo essenziale la disposi¬
zione irregolare delle forme laterali (trofozoidi).
Di questa specie — ribattezzata posteriormente, a ragione, dal
Neumann (1913) sotto il nome di Doliolum, (Dolioletta) mirabili s
Korotn. 1 2) e ritenuta finora esclusiva del Mediterraneo occiden¬
tale (Napoli, Villafranca) — conosciamo, dalle descrizioni del Ko¬
rotneff, le forme di forozoidi (Korotneff 1891, p. 191-193,
Taf. 12, fig. 1-4), di trofozoidi (Korotneff 1903-4, p. 482,
Taf. 9, fig. 1) e forme giovanili di gonozoidi ancora in con¬
nessione con l'appendice ventrale dei forozoidi (Korotneff,
1891, p. 193, Taf. 12, fig. 5).
Nel 1906 il Neumann 3) descrisse una nuova specie di Do¬
liolum pescata dalla “ Valdivia „, a cui diede il nome di Dolio¬
lum Chuni Neumann 1905, dandola come specie prossima al D.
Tritonis e D. Valdlviae.
Il D. Chuni fu pescato dalla Deutsche Tiefsee - Expedition
tanto nell'Oceano Atlantico quanto nell'Indiano in piccolissimo
numero; in tutto tre catture con solo sei esemplari, di cui 3 gio¬
vani gonozoidi e gli altri tre forozoidi adulti. Per l'At¬
lantico furono pescati due soli individui in due punti diversi
appartenenti uno alla corrente sudequatoriale, nella parte esterna
del Golfo di Guinea, 1’ altro alla corrente del Benguela, presso
la coste occidentali dell'Africa. Nell'Oceano Indiano furono pe¬
scati gli altri quattro esemplari presso le coste occidentali del¬
l'Africa, in vicinanza di Dar es Salam.
1) 1903-4, Korotneff (de), A. -- Notes sur les Cyclomyaires. Mitth. Z.
Stat. Neapel, Bd. 16, p. 480-88, Taf. 19.
2) 1913. Neumann, G. Cyclomyaria et Pyrosomida. Das Tierreich — Tu¬
nicata; 40 Lief. pp. X — 37 (cfr. sp. p> 17-18).
3) 1906. Neumann, G. Doliolum. Wiss. Ergebn. Deutsch. Tiefsee-Exp.
(Valdivia 1898-99) Bd. 12, p. 93-243, Taf. 11-25 (cfr. sp, p. 221-222, Taf. 23, fig.
9 e 10 e Taf. 24, fig. 3).
154 —
Dalla comparazione delle due descrizioni date dai rispettivi
scopritori per le due specie notate, dall'esame delle figure che le
accompagnano (belle e precise quelle del Neumann) e dalla indica¬
zione esplicita che ne fa anche questo A. nella descrizione delle
due specie riportate in " Tierreich „ (1. c. p. 17-18) si può dedurre
che i caratteri che dovrebbero distinguere Dolchinia mirabilis da
Doliolum Chimi sarebbero essenzialmente i seguenti:
1) per la forma di forozoide: diversità nella con¬
formazione e dimensioni dell'appendice ventrale;
2) per la forma di gonozoide; le dimensioni diffe¬
renti del corpo, minori in Dolchinia (ó min.), il numero delle fes¬
sure branchiali (fino a 70 in questa forma, fino a 90 nell' altra), la
estensione dell'estremo ventrale della branchia e, infine, la con¬
formazione degli organi sessuali, risultanti in D.
Chimi da un ovario posto nel sesto spazio intermuscolare e da un
testicolo otriforme circondante, con largo arco, il tubo intestinale
sul lato ventrale sinistro, mentre in Dolchinia mirabilis gli organi
genitali ermafroditi presenterebbero la forma di un sacco ricurvo,
nel fondo del quale gli zoospermi si svilupperebbero indipen¬
dentemente dalle uova, poste nella parte anteriore del sacco (Ko-
rotneff, 1891 p. 193, fig. 5 gn.).
Ma queste presunte differenze non sono inconciliabili é sono
la conseguenza di osservazioni fatte su materiale scarso a diverso
stadio di sviluppo; mentre il Korotneff, infatti ha potuto os¬
servare forozoidi ancora connessi con tratti dell'appendice
dorsale di nutrice o staccatisene da poco, il Neumann ha os¬
servato individui di tale forma ben più avanti nello sviluppo,
come lo provano gli individui sessuati liberi e a completo sviluppo
pescati con essi; e così, mentre il primo autore ha potuto osser¬
vare solo gonozoidi giovanissimi ed ancora in evoluzione
ed in connessione con l'appendice ventrale del f oro z oi d e , il
secondo potè osservare individui a sviluppo completo senza
avere, evidentemente, opportunità di vedere stadi giovanili con¬
nessi ai forozoidi.
Già queste considerazioni, unite al fatto che i caratteri tipici
sono dedotti dal Korotneff dal f or o zo id e e dal Neumann
dal gonozoide, fanno molto dubitare della reale esistenza
delle differenze notate; l'esame poi che ho potuto fare di abbon-
dante materiale simile a quello osservato dal Korotneff, varia¬
mente conservato, e datomi in esame gentilmente dalla Stazione
Zoologica di Napoli, e la fortunata pesca, da me eseguita, di tre
individui adulti, un gonozoide e due forozoidi, con
gemme e individui sessuati a diversi stadi di sviluppo sull'appen¬
dice ventrale, tolgono ogni dubbio sulla identità, spiegano com¬
pletamente le presunte differenze specifiche e ci convingono esau¬
rientemente che ci troviamo in presenza di forme della istessa specie.
I tre individui in parola furono da me pescati — durante una
delle serie di pesche planctoniche sistematiche che vado periodi¬
camente eseguendo nel golfo di Napoli e adiacenze fin dall'anno
scorso — nel centro del Golfo, quasi a metà strada fra Capo Mi-
seno e P. della Campanella, a circa 100 metri di profondità, il
giorno 30 marzo di quest'anno.
II gonozoide adulto, con testicolo maturo, presentava
una lunghezza, sul vivo, di circa 8 mm. Mentre il colore del tubo
digerente era di un verde giallastro molto appariscente, il testi¬
colo si mostrava bianco latteo e mostrava disposizioni e con¬
formazioni perfettamente ugali a quelle descritte, e con chiarezza
figurate, dal Neumann per Doliolum Chuni. Su questo e sugli
altri punti ho potuto procedere sicuro nella comparazione per
le figure molto chiare, precise e particolareggiate del Neumann
e per la diretta osservazione del materiale ben conservato di
Dolchinia.
I due forozoidi da me pescati, in perfette condizioni, per
tutti i particolari di struttura, nonché per le condizioni speciali
di pesca, non lasciano dubbio che siano forme asessuate della
istessa specie dei gonozoidi; essi alla appendice, molto più
ridotta di quella riportata dal Korotneff per i trofozoidi
di Dolchinia da lui (e da me) osservata, avevano ancora connesse
diverse forme di gonozoidi giovanili, con i diversi organi ancora
in isviluppo, e il più avanzato con una massa genitale confor¬
mata perfettamente come quella descritta dal Korotneff e pas¬
sata erroneamente come conformazione definitiva dell'adulto.
E basterebbe ciò perchè ogni dubbio definitivamente spa¬
risse come completamente scomparve in me fin dalla prima os¬
servazione ; ma l'esame degli altri caratteri, che io farò brevemente,
renderà ancora più evidente la identità.
— 156 —
Per l'appendice ventrale del forozoide, l'esame del ma¬
teriale conservato e di quello vivente da me fatto, come la pra¬
tica e la conoscenza delle altre forme di Doliolum, mette defi¬
nitivamente fuori dubbio che essa è variabilissima nelle dimen¬
sioni e subisce riduzioni non scompagnate da variazioni nella
conformazione; non ha quindi alcun valore sistematico.
La conformazione e i rapporti della lamina branchiale, of¬
frono, invece, buoni caratteri diagnostici, non il numero delle
fessure, però, che è variabile durante lo sviluppo. L'apparente
diversità che si nota fra le inserzioni ventrali della branchia in
Dolchinia mirabilis e Doliolum Cimai , e che è messa in evidenza
nei caratteri diagnostici dati delle due specie dal Neumann in
Tierreich, si risolve subito notando, come ho già fatto, che la de¬
scrizione di questo autore è basata sul gonozoide e che quella
del Korotneff sul forozoide, due forme che hanno, come è
chiarissimo dalla osservazione comparativa degli esemplari da me
pescati, una piccola diversità di inserzione ventrale e cioè, mentre
la branchia nel gonozoide si inserisce alle pareti ventrali del
corpo strettamente contro il margine inferiore del 4° nastro
muscolare, nel forozoide non vi giunge (e questo negli in¬
dividui conservati avuti in esame e in quelli da me pescati !) e
si estende solo alquanto al disopra della metà del 4° spazio
intermuscolare. In qualche individuo con 70 e più fessure bran¬
chiali si spinge, anche in questa forma, quasi sotto il 4° anello
muscolare.
Il numero delle fessure branchiali è evidentemente variabile
con l'età: negli individui da me pescati ne ho contati, nei fo-
rozoidi 85-90 paia, nel gonozoide 85 paia. Nei gonozoidi
giovani il numero è molto minore, e negli individui conservati
si nota una graduale varietà, fino a raggiungere i limiti tracciati
dal Korotneff e a superarli.
Le piccole diversità nelle dimensioni non hanno valore, se
si tien conto dei diversi stadi su cui sono state eseguite le mi¬
surazioni; così i gonozoidi giovanissimi del Korotneff hanno
dato una lunghezza di 6 mm., quelli giovani, ma ben sviluppati,
del Neumann 7, mentre il gonozoide da me pescato dà, sul
vivo, 8 mm. Queste diversità, anzi, sono una prova dippiù che
si tratta dell’istessa forma a diversi stadi di sviluppo.
157 —
Sono così risolte e spiegate tutte le apparenti discordanze ;
e le minute corrispondenze in tutti gli altri particolari della or¬
ganizzazione, come, p. es., il nodo ciliare dorsale, che pre¬
senta, in tutti gli esemplari osservati, gli identici particolari, che
vanno fino alle minime ondulazioni dei nastri e al caratteristico
arco discordante innalzantesi nel punto dove si inserisce l' im¬
buto cibato (v. fig. 9, Tav. 23 del Neumann, 1906), come i par¬
ticolari caratteristici di quest’ultimo organo, come sono dati dal
Neumann, e come ho riscontrati negli individui conservati e in
quelli da me pescati, ci fanno con sicurezza concludere che si
tratta di una stessa specie di Doliolum.
Perciò alla Dolchinia mirabilis Korotn. e Doliolum Chuni
Neumann va definitivamente sostituita l'unica specie, Doliolum
mirabile (Korotn.) Fedele 1923, appartenente al sottogenere
Dolioletta , con distribuzione geografica estendentesi sulle località
prima distinte di appartenenza delle due presunte diverse spe¬
cie, e di cui ci son chiaramente note, finora, tutte le forme, ec¬
cetto la Nutrice (Oozoide).
La specie resta così caratterizzata :
Doliolum ( Dolioletta ) mirabile (Korotn.) Fedele 1923. — 1891 Dolchi¬
nia mirabilis , Korotneff in: Mitth. Z. Stai. Neapel, Bd. 10, p. 191-
193, taf. 12 fig. 1 (Forozoide); 1904 D. m. Korotneff in: Mitth Z.
Stai. Neapelt Bd. 16 p. 482, Taf, 19, fig. 1 (Trofozoide); 1906
Doliolum chuni, Neumann G. in: Ergebn-Tiefsee-Exp. Bd. 12 n,
p. 221-222, Taf. 24, fig. 2 (Gonozoide); 1913 Doliolum mirabile
(Korot.) Neumann in: Das Tierreich 40 Lief. p. 17-18.
Oozoide - ignota
Gonozoide: Mantello sottile ma consistente, lamina branchiale
fortemente arcuata posteriormente, con molte (fino a 90) paia di fessure,
ed inserentesi dorsalmente appena dietro il 3° nastro muscolare, ven¬
tralmente al 5° nastro; tubo digerente a spira, colorato in giallo
verdastro nel vivo, posto quasi completamente nel 5° spazio inter¬
muscolare e sboccante dietro il 6° anello muscolare; endostile
iniziatesi appena avanti al 3° e giungente fin sopra la metà dello
spazio fra 4° e 5° anello muscolare. Organi sessuali: ovario
posto nel sesto spazio intermuscolare, sotto, il 6° anello ; il testicolo,
allungato, forma come un arco a pastorale e, attraversando 6° e
5° anello muscolare, si incurva nel 4° spazio intermuscolare, cir¬
condando con largo arco il tubo intestinale sul lato ventrale sinistro.
Lunghezza fino ad 8 mm.
— 158 —
Forozoide come il gonozoide; la lamina branchiale si inserisce ven¬
tralmente alquanto al di sopra della metà del 4° spazio intermusco¬
lare; l’appendice ventrale lunga e sviluppata negli individui gio¬
vani, si va successivamente riducendo.
Trofozo i de - Senza lembi boccali e senza tentacoli tattili, tubo dige¬
rente ad ansa; fessure branchiali (in individui di 8 mm.) da 40-42.
Specie affini :
Doliolutn valdiviae Neum., D. tritonis Herdm. j).
Distribuzione Geografica: Mediterraneo (Napoli: Korotneff, 1891 e 1904;
Lobianco, 1903-4; Fedele, 1923; Villafranca: Korotneff), Oceano
Atlantico ed Oc. Indiano tropicali (Neumann 1906).
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
9 Sono veramente sorprendenti le rassomigiianze fra il D. mirabile e
questa ultima specie, in cui il carattere distintivo più valutato, la forma ed
estensione del testicolo, presenta anche, dalle osservazioni del Ritter ed Herd-
mann , una notevole variabilità. Credo che una revisione di queste forme e
l'osservazione di nuovo materiale potranno riservarci forse, sulla sistematica dì
queste specie, qualche ulteriore sorpresa.
La morfologia del bacino dei Sauropsidi
Il pube degli Uccelli
Ricerche
del socio
Prof. Ermete Marcucci
(con 10 fig, nel testo)
(Tornata ordinaria dell' 8 luglio 1923)
Il pube degli uccelli è omologo all'intero pube dei rettili od
a parte di esso, oppure è una nuova formazione, un nuovo ele¬
mento del bacino ? Le opinioni in proposito sono varie. Molti
morfologi e paleontologi hanno cercato di risolvere questa an¬
tica ed ardua quistione, ma sono ben lungi dal venire ad un
accordo. Meckel (1824), Cuvier (1835), Owen (1866), Gegenbaur
(1871) considerano il pube degli uccelli omologo all'intero pube
dei rettili. Il pube, che nei rettili viventi è rivolto in basso ed
in avanti (cefalicamente), sarebbe negli uccelli ruotato caudal¬
mente. Bunge (1880), mediante l’esame di sezioni microtomiche
di giovanissimi embrioni di pollo, ha potuto constatare che il
pube nel suo primo abbozzo si presenta quasi perpendicolare
all'ileo, come negli embrioni di rettili; ma in embrioni più svi¬
luppati esso appare ruotato caudalmente e quindi parallelo al¬
l'ileo. Da ciò deduce che il pube degli uccelli è omologo a quello
dei rettili, confermando embriologicamente l'ipotesi degli antichi
morfologi.
Ma la scoperta dei Dinosaurii ornitopodi pone in una nuova
luce la morfologia del bacino degli uccelli e modifica l'antica
concezione del pube. Hulke (1876) e poi Marsh (1878) credono
riconoscere in questi rettili fossili gli antenati degli uccelli; ed
ammettono che il pube degli uccelli non abbia alcun omologo
— 160 —
nei rettili viventi, ma corrisponda a quella porzione del bacino
dei Dinosaurii ornitopodi da Marsh chiamata postpubis; men¬
tre il pube dei rettili viventi sarebbe omologo al pubis o prae-
pubis di Dames dei Dinosaurii ed al processus pectinealis degli
uccelli. Così il processus pectinealis ritenuto da Gegenbaur (1871)
e poi da Bunge (1880) facente parte delPileo e perciò da loro
chiamato spina iliaca , da Owen (1866, Voi. 2, p. 36) e da altri
come una porzione acetabolare del pube, e da Sabatier (1880),
nel Casuarius galeatus , come facente parte del pube e dell'ileo,
sarebbe invece il rappresentante dell'intero pube dei rettili viventi.
Johnson (1883), per consiglio di Balfour, studia lo sviluppo
del bacino del pollo e constata che V abbozzo del pube, che è
fuso con quello dell'intero bacino, dapprima appare semplice; ma
poi si mostra costituito da due branche pressoché uguali : una
diretta cefalicamente (branca anteriore) ed una rivolta in basso
(branca posteriore) e quasi perpendicolare all'abbozzo dell'ileo.
La branca anteriore, la quale formerà il processus pectinealis del
pube, si arresta quasi nel suo sviluppo. La branca posteriore
invece, la quale formerà il pube, si allunga sempre più in ma¬
niera che mentre la sua porzione prossimale rimane nella me¬
desima posizione che aveva prima, la porzione distale si accresce
nel senso antero-posteriore, parallelamente all'ileo. Da ciò ne de¬
duce che non vi è alcuna rotazione del pube. La Johnson viene
ad una conclusione opposta a quella di Bunge e cioè: che il pube
degli uccelli è omologo al processus lateralis del pube dei ret¬
tili viventi ed al postpubis di Marsh dei Dinosaurii; mentre il
processus pectinealis degli uccelli è omologo al pube dei rettili
viventi ed al pubis di Marsh dei Dinosaurii.
Baur (1885), dopo ricerche fatte su giovani polli, quaglie ed
anitre, e tenendo conto dei lavori di Bunge, Dollo, Sabatier e
Johnson, viene ad una conclusione che si accorda in parte con
quella di Johnson, cioè che il pube degli uccelli è omologo al
postpubis dei Dinosaurii; ma che il pubis dei Dinosaurii, che
negli Ornitopodi incomincia a ridursi, è solo rappresentato dalla
porzione inferiore del processus pectinealis dei Ratiti ; mentre la
porzione superiore del processus pectinealis dei Ratiti e l'intero
processus pectinealis dei Carenati corrisponde alla porzione ar¬
ticolare dell'ileo dei Dinosaurii, che si articola col pubis.
— 161 —
Wiedersheim (1883-1886) anche sembra seguire in parte
Johnson. Egli dice (1883) che si può concludere che il pube de¬
gli uccelli non è omologo a quello dei rettili, ma che esso deve
essersi sviluppato nuovo nella serie dei Dinosaurii e forse già
nei loro antenati, e che (1886) il prolungamento anteriore del
pube dei Dinosaurii può solo corrispondere ad un forte accre¬
scimento della pars acetabularis e che traccia di esso si trova
anche negli uccelli recenti, come nello Apteryx , Drotnaeus , Geo-
coccyx. Egli ammette quindi un nuovo elemento formatosi nel
bacino (la pars acetabularis ), che è evidente in molti mammi¬
feri e che secondo Wiedersheim, si trova anche nel bacino del
Coccodrillo.
Baur più tardi (1886) cambia opinione. Egli riconosce che
il pube degli uccelli è omologo al pube dei rettili e che non
esiste alcun postpubis ; poiché nello stadio embrionale il pube
degli uccelli sta quasi perpendicolarmente all'ileo ed in seguito
si gira verso dietro. Egli accetta l'ipotesi di Wiedersheim circa
resistenza di un quarto costituente del bacino, affermando che
il prolungamento (processus pectinealis) degli uccelli (in parte),
come quello dei Dinosaurii, è molto probabilmente omologo al-
Tosso acetabolare. Poiché se questo prolungamento dei Dino¬
saurii fosse il pube, allora noi avremmo un caso unico in tutti
i vertebrati, cioè che l'estremo distale del pube sarebbe diretto
in fuori e non in dentro.
Mehnert (1887), per concorrere ad un premio stabilito dalla Fa¬
coltà di Medicina della Università di Dorpat, si occupa della qui-
stione della composizione e modo di sviluppo del bacino degli
uccelli, sotto il punto di vista della teoria della discendenza. Poi¬
ché ritiene che non è possibile risolvere la quistione con ricer¬
che fatte solo sul pollo, egli esamina anche numerosi embrioni
di uccelli acquatici e di altri uccelli selvatici. L'esame è fatto sia
mediante sezioni microtomiche, che mediante dissezioni. Egli nota
che l'abbozzo del pube degli uccelli, nei primi stadii embrio¬
nali, si presenta quasi perpendicolare a quello dell'ileo, e che in
embrioni più avanti nello sviluppo esso appare girato caudal¬
mente; e che il processus pectinealis non nasce dall'abbozzo del
pube, ma dal pericondrio della cartilagine acetabolare dell' ileo.
Egli viene quindi alla stessa conclusione di Bunge, cioè che il
pube degli uccelli è omologo a quello dei rettili viventi. Secondo
Mehnert il processus pectinealis sia nei Carenati che nei Ratiti
non può essere considerato come una formazione autonoma, cioè
come un quarto componente della pelvi; ed i Dinosaurii orni-
topodi non sono gli antenati degli uccelli, ma solo un ramo la¬
terale del comune tronco dei Sauropsidi, del quale ramo non è
sopravvissuto alcun discendente.
Zittel (1890) segue completamente Mehnert e Bunge. Egli
dice che il pube degli uccelli corrisponde al vero pube dei Coc¬
codrilli, Lucertole e rimanenti rettili; e che, contrariamente a
quanto ammettono Hulke e Marsh, il pube degli uccelli non è
affatto omologo al postpubis dei Dinosaurii ornitopodi. Che la
presunta corrispondenza del bacino degli uccelli con quello dei
Dinosaurii ornitopodi è solo apparente e che quindi vengono a
cadere le conclusioni fondate su di essa. Il postpubis degli Orni¬
topodi e Stegosaurii sembra perciò come un prolungamento ap¬
partenente solo ai Dinosaurii, come un particolare differenzia¬
mento, al quale negli uccelli non è omologa alcuna formazione
Gadow (1891) accetta Y ipotesi di Johnson, cioè che il pube
degli uccelli è omologo al processus lateralis del pube dei ret¬
tili ed al postpubis dei Dinosaurii ; ed il processus pectinealis
degli uccelli è omologo al pube dei rettili ed al pubis dei Di¬
nosaurii; e che mentre esso come processus pectinealis pubicus
è un preformato elemento ereditato dai rettili, ha esso come spina
iliaca solo il valore di una cresta od apofisi dell' ileo.
W iedersheim più tardi (18923, 1898, 1902) torna all'antica con¬
cezione del pube degli uccelli, cioè che questo è omologo al pube
dei rettili ed è rotato verso dietro. Egli dice (18923) che negli uc¬
celli non si sviluppa un postpubis nel senso di Marsh, e che la
pars acetabularis, come giustamente osserva Bunge, appartiene
geneticamente al processus ilei acetabularis pubicus e deve es¬
sere considerata come spina iliaca .
Gegenbaur (1898) persiste nella sua antica concezione del
pube, accettando completamente le conclusioni di Mehnert.
Circa il processo preacetabolare, egli fa osservare che bisogna
escludere un rapporto di esso con un prepube, poiché nei Ca¬
renati esso non appartiene al pube ma all’ileo; e che se nei
Ratiti il pube può prender parte alla sua formazione ( Casuarius ,
— 163 —
Apteryx ), ciò non modifica Popinione sopra espressa, poiché Ponto-
genesi ha già provato come sia erronea ogni altra spiegazione.
Haller (1904) considera invece il pube degli uccelli omologo
al postpubis dei Dinosaurii ornitopodi ed il processus pectinealis
<\t\X Apteryx omologo al praepabis.
Butschli (1910) non si accorda con nessuno degli autori
precedenti. Infatti egli ammette che il pube degli uccelli sia
omologo al pube dei rettili ed al postpubis dei Dinosaurii, il
quale, come il vero pube dei rettili, forma una sinfisi; e che il
processus pectinealis degli uccelli sia omologo al processus late¬
rali del pube dei rettili, che egli chiama processus praepubici ,
ed al praepubis dei Dinosaurii, il quale, come il processus prue-
pubici, non forma una sinfisi. Egli dice che se alla formazione
del processus pectinealis in alcuni Ratiti prende parte anche P i-
leo e nei Carenati solamente l'ileo, ciò deve riferirsi ad una
omologia sostituzionale* Si potrebbe dire che Pipotesi di Butschli
sia quella di Johnson capovolta.
Da questo breve cenno bibliografico si può chiaramente ve¬
dere come le opinioni sulla omologia del pube dei Sauropsidi
sono varie e contradittorie. Esse, per quanto riguarda i Sauro¬
psidi viventi, possono essere riassunte nelle seguenti tre princi¬
pali ed opposte concezioni: 1) 11 pube degli uccelli è omologo
all'intero pube dei rettili; ed il processus pectinealis è da con¬
siderarsi come una formazione della porzione acetabolare o del-
P ileo , o del pube, o dell'ileo e del pube, oppure come una
formazione autonoma ( pars acetabularis ), già esistente in alcuni
rettili e che costituisce un quarto elemento del bacino. 2) Il pube
degli uccelli è omologo al processus laterali del pube dei rettili;
ed il processus pectinealis è omologo al pube dei rettili, meno il
processus laterali. 3) Il pube degli uccelli è omologo al pube
dei rettili, meno il processus laterali ; ed il processus pectinealis
è omologo al processus laterali del pube dei rettili.
Da che dipende questa diversità di concezioni? L'esame e la
comparazione delle sole ossa del bacino dei Sauropsidi, così nel
loro completo sviluppo, che nei primi abbozzi embrionali, non è
sufficiente per poter venire a conclusioni morfologiche. L'embrio¬
logia ci mostra che negli stessi rettili i primi abbozzi del bacino
- 164 —
possono apparire in maniera affatto diversa; così, per esempio,
neirHatteria, secondo Schauinsland (1900), il pube e rischio di
ciascun lato da principio sono costituiti da un abbozzo unico, che
dairacetabolo, biforcandosi, si accresce verso la linea mediana,
senza mai fondersi con quello del lato opposto; mentre ntW'Emys
lutarla taurica , secondo Mehnert (1890, fig. 1), ambedue i pubi
e gli ischi nascono da un unico abbozzo mediano a forma
di x, le cui branche laterali, accrescendosi, vanno più tardi a
raggiungerel'abbozzo dell'ileo nella regione acetabolare. Io ritengo
quindi che sia necessario tener conto anche di altri dati non meno
importanti, e cioè : 1) di alcuni caratteristici legamenti del bacino dei
rettili, che nei Saurii specialmente hanno una importanza funzionale
grandissima per la inserzione di numerosi muscoli; 2) della presenza,
inserzione e rapporti di posizione dei muscoli; 3) dei nervi e spe¬
cialmente del nervo otturatore.
Tenendo conto principalmente di questi tre dati e mettendo
a profitto sia le mie dirette osservazioni sulla miologia del bacino
di molti rettili ed uccelli, che quelle degli altri autori e special-
mente di Furbringer (1870), Hoffmann (1890), Gadow (1882,
1891), Selenka (1891), Perrin (1892), Osawa (1898) ed Ogusi
(1911, 1913), io mi propongo di risolvere l’antica quistione del¬
l'omologia del pube dei Sauropsidi viventi.
L'Otturatore e l'Adduttore del femore degli Uccelli
ed i loro omologhi nei Rettili*
Per la esatta conoscenza dei rapporti di posizione del
pube, è necessario prima di tutto stabilire quali siano nei ret¬
tili gli omologhi del M. otturatore e del M. adduttore del fe¬
more degli uccelli.
Il Gadow (1891), nel suo importante lavoro sugli uccelli,
dice che 11 A4. obturator (n. 41) si è forse sviluppato dal A4. pubi-
ischio- f e moralis externus (n. 14) dei rettili. Ma poiché questo
muscolo nei rettili si inserisce sulla faccia ventrale del bacino,
mentre il AL obturator prende inserzione sulla superficie visce¬
rale del bacino; egli suppone che il A4. obturator originaria¬
mente avesse la stessa posizione del A4. pubi-ischio-fetnoralis
— 165 —
m '
externus dei rettili, ma che, spinto forse dallo sviluppo dei mu¬
scoli più superficiali, sia poi migrato con la sua porzione prossi¬
male nelTinterno del bacino; e che il pube e l'ischio, riavvicina¬
tisi, siano stati secondariamente connessi tra loro dalla membrana
ischio-pubica. Egli quindi ammette che il forame otturato degli
uccelli sia omologo al forame cordiforme dei rettili; ciò che è,
come vedremo in seguito, in evidente contraddizione con Tipo-
tesi di Johnson, da lui accettata.
L'Otturatore degli uccelli (fig. 1, 3, ot), come i suoi mu¬
scoletti accessorii (fig. 1, aot), è certamente omologo al Flessore
del femore dei rettili (fig. 2, 4, ff.), cioè al M. pubi-ischio- fe¬
morali externus n. 14 Gadow, Fléschisseur du fémur n. 119.
Perrin, M. pubo-ischio-trochantericus externus n. 7. Osawa, M.
obturatorius externus n. 119 Ogushi. Ciò si deduce dalla sua fun¬
zione, innervazione, inserzioni e rapporti di posizione. Infatti
l'Otturatore degli uccelli come il Flessore del femore dei rettili:
1) porta caudalmente il femore e lo fa alquanto ruotare in dentro,
2) è innervato dal nervo otturatore, prima che questo vada al¬
l'Adduttore del femore (714. pubi-ischio-femoralis n. 43 Gadow,
Adductor magnus n. 80 Selenka), 3) il suo capo distale si inse-
risce sulla faccia postero-esterna del capo del femore. Quanto
alla sua inserzione prossimale ed ai suoi rapporti di posizione
con le ossa del bacino, sembra a prima vista che esso si diffe¬
risca di molto dal Flessore del femore dei rettili; ma questa di¬
versità di comportamento, che ha fatto supporre a Gadow una
migrazione del muscolo dalla faccia esterna a quella interna del
bacino, non è che apparente. Per poter comprendere quali siano
i veri rapporti di posizione di questo muscolo, è necessario tener
conto non solamente delle ossa, ma anche dei legamenti.
Se si esamina il bacino di un Saurio, per esempio di una
Lucertola, si nota un legamento laminare molto resistente (fig. 2,
4, 10, Ipi), il quale dalla spina pubica {processus lateralis ), si
estende sino al bordo posteriore dell'ischio, formando, insieme
alla spina pubica, come un ponte che va dall'ischio al pube, e
determinando una specie di cavità compresa tra la faccia ventrale
di questi due elementi del bacino ed il legamento stesso. E' in
questa cavità che trovasi la porzione prossimale del Flessore del
femore (fig. 2, 4, ff), isolata dagli altri muscoli. Questo lega-
— 166
mento, che in alcuni rettili (Testugine, Camaleonte fig. 7) si
presenta in parte fortemente ispessito, in modo da formare un
cordone tendineo molto robusto, prende comunemente il nome
di legamento pube-ischiatico. Ma io preferisco chiamarlo lega¬
mento spina pubica-ischiatico, per distinguerlo da un altro lega¬
mento pube-ischiatico (fig. 5, lm.), il quale e situato nella regione
mediana del bacino e riunisce la sinfisi pubica a quella ischiatica,
dividendo il forame cordiforme (fc.) in due porzioni simmetriche.
Fig. 1. — Bacino di un giovane pollo, visto lateralmente ed alquanto schematico : aot. ac¬
cessorio dell’otturatore, fe. femore, fo. forame otturato, il. ileo, is. ischio, Ipi. lega¬
mento pube-ischiatico, ot. porzione interna (prossimale) dell’ otturatore sinistro , ot\
porzione esterna (distale) dell’otturatore destro, pu. pube.
Tenendo conto dei due menzionati legamenti, il bacino presenta
per ciascun lato due aperture: una dorsale, che corrisponde ad
una metà del forame cordiforme {fc.) e che è delimitata dal
margine interno del pube, dal margine anteriore dell'ischio e dal
legamento mediano pube-ischiatico {lm.)\ l'altra, (fig. 2, 10, fo.)
latero-ventrale, la quale è delimitata dal margine esterno della
spina pubica (sp.), dal legamento spina pubica-ischiatico, dal mar¬
gine posteriore dell'ischio e dall'acetabolo. A questa apertura io dò
il nome di forame otturato. Per gli autori invece foramen obtura -
tum od obturatorium è sinonimo di forame cordiforme o pube-
ischiatico, oppure di foro nerveo-vascolare (piccolo foro del pube
dei saurii per il quale passa il nervo otturatore) ; mentre negli
uccelli è detto forame otturato l'apertura situata presso l' aceta¬
bolo, compresa tra il pube e l' ischio e per la quale fuoriesce
Fig. 2. — Lacerta viridis. Bacino visto dalla faccia ventrale, alquanto schemat;co : Le
linee a grossi tratti indicano il luogo di inserzione dei muscoli sulla superficie esterna
del legamento spina pubica-ischiatico. adf. adduttore del femore, adt. adduttore ante¬
riore e medio della tibia, btp. branca trasversale del pube, fc. forame cordiforme o
pube-ischiatico, ff. ff* flessore del femore, ff. sua porzione interna (prossimale), ff*.
sua porzione esterna (distale), Ipi legamento spina pubica-ischiatico, mpa. muscoli della
parete ventrale dell’addome, rit. rotatore inverso della tibia, sp. spina pubica. Le
altre indicazioni come nella fig. 1.
dal bacino il capo distale dell'Otturatore. Il forame otturato de¬
gli uccelli è ritenuto omologo al forame pube-ischiatico dei Che-
lonii e Coccodrilli, cioè al forame cordiforme più il foro ner¬
veo-vascolare del pube dei Saurii; ma, come io cercherò di di¬
mostrare in seguito, queste due aperture del bacino dei rettili
non hanno alcun omologo negli uccelli ; ed il forame otturato
— 168 —
di questi sauropsidi può solo omologarsi a quella apertura del
bacino dei rettili, che, come ho detto innanzi, è delimitata dal mar¬
gine esterno della spina pubica e del legamento spina pubica-
ischiatico, dal margine posteriore dell'ischio e dall’acetabolo. Perciò
a questa apertura ho voluto dare il nome di forame otturato.
Il legamento spina pubica-ischiatico ha una grande importanza
funzionale, poiché, mentre sulla sua superficie interna si possono
inserire molti fasci muscolari del Flessore del femore ( Platyda -
ctylus , Hemidactylus ), sulla sua superficie esterna si inseriscono
nella Lacerta : 1) i Retti dell'addome ed in parte gli Obbliqui
(< npa ); 2) l’Adduttore anteriore della tibia ( adt ) (M. pubi-ischio-
tibialis n. 10 pt. I Gadow, Adducteur antérieur du tibia n. 106
Perrin); 3) l'Adduttore medio della tibia (adt) (M. pubi-ischio-
tibialis n. 10 pt. II Gadow, Adducteur moyen du tibia n. 107
Perrin); 4) il Rotatore inverso della tibia (rie) (M. pubi-tibialis
n. 12 Gadow, Rotateur inverse du tibia n. 117 Perrin); ed in
fine 5) l'Adduttore del femore (adf) (M. ischio-femoralis n. 11
Gadow, Adducteur du fémur n. 118 Perrin).
Il capo distale del Flessore del femore (fig. 2 fuoriesce in
vicinanza dell'acetabolo attraverso uno spazio lasciato libero dal
legamento spina pubica-ischiatico e delimitato dalle branche arti¬
colari del pube e dell’ischio, dalla spina pubica e dal legamento in
parola (fo). Anche negli uccelli il capo distale del M. otturatore
(fig. 1, ot ') fuoriesce dal bacino presso l'acetabolo, attraverso un'a¬
pertura (forame otturato) (fo), delimitata dalle branche articolari del
pube e dell'ischio e dal legamento pube ischiatico (membrana ot¬
turatrice) (Ipi). La inserzione del Flessore del femore nei Saurii
si fa sulla faccia ventrale del pube e dell'ischio, ma i fasci più su¬
perficiali (ventrali) si inseriscono sulla faccia interna della spina
pubica, ed in alcuni saurii anche sulla superficie dorsale del le¬
gamento spina pubica-ischiatico. Così nel Platydactylus maurita-
tiicus e nel X Hemidactylus verruculatus i capi del terzo gruppo della
porzione grande del Flessore del femore (cioè i capi più superfi¬
ciali e situati dorsalmente al legamento spina pubica-ischiatico)
prendono inserzione sopra il detto legamento (Marcucci 1907). Ed
è degno di nota il fatto che essi possono variare di numero nella
stessa specie, ciò che mostra una evidente instabilità del Flessore
del femore ed una tendenza ad abbandonare la sua normale in-
— 169 —
serzione pube-ischiatica. Anche in Triotiyx japonicus , secondo
Ogushi (1913), la porzione superficiale (a) di questo .muscolo
(M. obtaratorias exter nas n. 119) si inserisce sulla faccia dorsale
della Fascia pelvico- femoralis, cioè del legamento spina pubica-
ischiatico; e, come in alcuni saurii, presenta dei capi che oltrepas¬
sano la linea mediana e si incrociano con quelli del lato opposto
(porzione ischiatica, d). Ora se noi sopprimiamo completamente
la branca trasversale del pube (btp) insieme alla porzione del
Flessore del femore che vi si inserisce, lasciando solamente la
porzione articolare e la spina pubica col relativo legamento spi¬
na pubica-ischiatico, riesce facile comprendere come la posizione del
Flessore del femore dei rettili e quella dell'Otturatore degli uc¬
celli sia la stessa rispetto a questi elementi del bacino; cioè tutti
e due i muscoli sono situati dorsalmente (lato viscerale) al pube
(spina pubica) ed al legamento pube-ischiatico, mentre il loro
capo distale per inserirsi al femore fuoriesce attraverso il forame
otturato (fig. 1, ot', fig. 2, ff').
Anche per la inserzione ischiatica questi due muscoli pre¬
sentano gli stessi rapporti di posizione. Se nei rettili il Flessore
del femore, contrariamente all'Otturatore degli uccelli, prende
inserzione sulla faccia ventrale dell' ischio ; nel Gongilus però,
come io ho fatto notare (1906, fig. 21, 22), i capi profondi di
questo muscolo possono passare dorsalmente all'ischio. Ma, senza
voler tenere conto di questa peculiare disposizione, è da notare
che la faccia viscerale dell'ischio degli uccelli non corrisponde a
quella dei rettili. E' presumibile invece che la faccia viscerale
dell'ischio degli uccelli corrisponda al bordo anteriore ed in parte
alla superficie antero-ventrale dell'ischio dei rettili, mentre la
faccia esterna dell'ischio degli uccelli corrisponda al bordo po¬
steriore ed in parte alla superficie postero-dorsale dell'ischio dei
rettili; come pure il tratto di unione dell'ischio con l'ileo degli
uccelli non corrisponda al legamento ischio-iliaco dei rettili. Ciò
si può dedurre: dalla posizione di dette facce rispetto all'acetabolo
ed all'ileo, dal punto di inserzione del legamento pube-ischiatico,
e specialmente dai rapporti di posizione con i muscoli. Così mentre
nei rettili i Deduttori caudali della coscia (fig. 4, de) (M. caudi-
femoralis n. 7 e M. caudi-ilio- femoralis n. 6 Gadow, Déducteur
caudal inférieur de la cuisse n. 111-112 e Déducteur caudal su-
— 170 —
périeur de la cuisse n. 116 Perrin, M. coccygeo-femoralis longus
n. 4 e M. coccygeo-femoralis brevis n. 3 Osawa), passano inter¬
namente al legamento ischio-iliaco (fig. 4, liil), cioè attraverso al
foro delimitato dall'ischio, dall'ileo e da detto legamento; il loro
omologo negli uccelli ( Adductor longus n. 81 Selenka, M. caudo-
ileo-famoralis n. 36 Gadow) non attraversa il f or amen ischiadicumt
ma passa esternamente al tratto di unione ischio-iliaco, e quindi
adf et
Fig. 3. — Gallus domesticus. Muscoli della superficie interna della coscia destra e della
corrispondente metà del bacino : adf. adduttore del femore, et. M. ambiens, pp. pro-
cessus pectinealis. Le altre indicazioni come nelle figure precedenti.
non internamente ma esternamente all'ischio. Così pure il Rotatore
inverso del femore degli uccelli ( Quadratus femoris n. 79 Selenka,
M. ischio- femoralis n. 40 Gadow! si inserisce sulla faccia esterna
dell'ischio, mentre nei rettili il suo omologo (M. pubi-ischio-
femoralis poster ior n. 15 Gadow, Rotateur inverse da fémur n.
124 Perrin, M. ischio-trochantericus n. 9 Osawa) si inserisce
sulla superficie postero-dorsale dell'ischio. E' strano che Gadow,
il quale giustamente considera omologhi questi due muscoli, non
si preoccupi della loro inserzione prossimale, quando cerca di
spiegare quella dell'Otturatore.
Dopo quanto ho detto, credo che si possa concludere che
l'Otturatore degli uccelli corrisponda perfettamente al Flessore
del femore dei rettili, non solamente per la funzione, innerva¬
zione ed inserzione femorale, ma anche per i rapporti di posi¬
zione con gli elementi del bacino; e che non sia quindi neces¬
sario ricorrere alla migrazione del Flessore del femore nell'in¬
terno del bacino ed alla neoformazione della membrana otturatrice,,
supposta da Gadow.
Fig. 4. — Lacerta viridis. Muscoli della faccia ventrale del bacino ed antero-interna della
coscia ; a sinistra sono stati asportati i muscoli superficiali della coscia : c. cuneo che
sporge nella cavità addominale, costituito dalle due branche trasversali del pube e dai
muscoli che ad esse si inseriscono, de. deduttori caudali della coscia , et. estensore
della tibia, liti, legamento ischio-iliaco, Ipi. legamento spina pubica-ischiatico. Le
altre indicazioni come nelle figure precedenti.
Un altro muscolo del bacino degli uccelli, del quale è ne¬
cessario stabilire la omologia, è l'Adduttore del femore (fig. 3, 9,
adf) (M. pubi-ischio-femoralis n. 43 Gadow, A dductor magnus
n. 80 Selenka). Questo muscolo, molto bene sviluppato e si¬
tuato nella regione interna della coscia, è costituito da due grossi
e piatti capi muscolari, ben distinti fra loro, e si inserisce sulla
faccia esterna della metà prossimale del pube, della membrana
otturatrice (legamento pube-ischiatico) e della porzione a questa
adiacente dell'ischio e del pube.
Per la sua funzione, rapporti di posizione ed innervazione,
questo muscolo deve considerarsi omologo all’Adduttore del fe-
— 172 —
more dei rettili (fig. 2, 4, IO, adf) (M. ischio-femoralis n. 11
Gadow, Adducteur da fémur n. 118 Perrin, M. pubo-ischio- fe¬
moralis n. 6 Osawa, M. Sartorius n. 132 Ogushi), il quale è re¬
lativamente meno sviluppato e costituito da un solo capo mu¬
scolare. Il Gadow invece lo fa derivare in parte dal M. pubi-
ischio-femoralis externus n. 14 dei rettili, cioè dal Flessore del
femore (ff). Egli propriamente nel trattato sui rettili (1882-2) fa
derivare il M. pubi-ischio - femoralis dei Ratiti in parte dal M.
pubi-ischio-femoralis externus n. 14 dei rettili ed in parte an¬
che dal M. ischio-femoralis n. 11, cioè dall’Adduttore del femo¬
re (adf)] ma nel lavoro sugli uccelli (1891), che è di molto po¬
steriore a quello sui rettili, dice solo che il M. pubi-ischio-femo¬
ralis n. 43 degli uccelli corrisponde in parte al M. pubi-ischio-
femoralis externus n. 14 dei rettili. La omologia dell’Adduttore
del femore degli uccelli con l’Adduttore del femore dei rettili è
evidente. Infatti: 1) L'Adduttore del femore degli uccelli è inner¬
vato dal nervo otturatore, come nella maggior parte dei rettili.
Il nervo otturatore sia negli uccelli che nei rettili, dopo di essere
uscito dal bacino e dopo di avere innervato il M. otturatore de¬
gli uccelli od il suo omologo nei rettili, cioè il Llessore del fe¬
more (ff.), va ad innervare l' Adduttore del femore {adf). 2)
L’Adduttore del femore degli uccelli, come quello dei ret¬
tili adduce il femore, cioè esso tende ad avvicinare il femore alla
faccia ventrale deH'animale; invece il Flessore del femore dei ret¬
tili ( ff ’.) tende ad avvicinare il femore alla coda del rettile, cioè
a portare la coscia verso dietro. 3) L'adduttore del femore degli
uccelli si inserisce alla porzione distale del femore, distalmente
al Deduttore caudale della coscia (M. caudo-ileo-femoralis n. 36
GaDow). Similmente l’Adduttore del femore dei rettili si inserisce
sulla diafisi del femore, distalmente ad Deduttore caudale infe¬
riore della coscia (M. caudi- femoralis n. 7 Gaoow, n. 111-112
Perrin) ed al Deduttore caudale superiore della coscia (M. cau-
di-ilio-femoralis n. 6 GaDow, n. 116 Perrin), i quali, come am¬
mette il GaDow, sono sicuramente omologhi al Deduttore cau¬
dale della coscia degli uccelli (M. caudo-ileo-femoralis n. 36
GaDow). Mentre il Flessore del femore dei rettili si inserisce alla
porzione prossimale del femore (capo del femore) e prossimal-
mente ai due menzionati Adduttori caudali della coscia. Dimo-
— 173 —
doche la inserzione sul femore di questi due ultimi muscoli è
posta tra quella del Flessore del femore e quella dell'Adduttore
del femore. Volendo far derivare, come vuole il Gadow, l'Ad¬
duttore del Femore degli uccelli dal Flessore del femore dei
rettili, si dovrebbe supporre non solamente che la funzione di
questo muscolo fosse mutata, ma che la sua inserzione femorale
si fosse spostata dalla parte prossimale verso la parte* distale del
femore, scavalcando la inserzione femorale dei due Adduttori
della coscia; ciò che non è assolutamente ammissibile.
Il pube dei Sautopsidi viventi*
Se si esamina il pube di una Lucertola (fig. 5), si nota che
il foro nerveo-vascolare (per in quale passa il nervo otturatore),
ed un solco longitudinale mediano (causato dall'assottigliamento
dell'osso) dividono il pube in due porzioni ben distinte fra loro:
una esterna (pe.), che si continua nella spina pubica (sp.);
l'altra interna (pi) , che si continua nella branca trasversale
(i btp .). Inoltre il pube e propriamente la porzione esterna di
questo non è situata nello stesso piano dell'ischio e dell'ileo, ma
in un piano a questo quasi normale. La porzione esterna, col
suo estremo prossimale si articola dorsalmente col processo ace-
tabolare pubico dell' ileo (pap.) e posteriormente coll' ischio
(fig. 10), contribuendo nella stessa misura dell' ischio e dell' ileo
alla formazione della cavità acetabolare l). La porzione interna
col suo estremo prossimale si articola pure coll'ileo e con l'ischio
)fig. 5), ma non prende parte alla formazione della cavità ace¬
tabolare; essa concorre invece a formare il forame cordiforme
4) Gegenbaur (1876, p. 237) afferma che " Bei den Eidechsen und Schild-
kròten bietet sich zwar das Bestehen eines mit der Pfanne verbundenen Scham-
beins, aber der Antheil an jener Pfanne ist geringer als der einer der beiden
anderen Bestandtheile des Hiiftbeins Ma ciò non è esatto, poiché nella La¬
certa, Platydactylus e molti Saurii, nei quali la porzione esterna del pube è
ben sviluppata, i tre componenti del bacino partecipano ugualmente alla for¬
mazione dell’acetabolo; in ogni modo la porzione del pube che prende parte alla
formazione dell' acetabolo non è inferiore a quella degli altri due componenti
del bacino.
— 174 —
(fc.) e la sinfisi pubica. Perciò rischio presenta nella sua super¬
ficie interna, cioè opposta all'acetabolo, due bordi articolari: uno
per l'ileo e l’altro per il pube. Nel Camaleonte (fig. 7), dove la
porzione esterna del pube è molto ridotta, noi vediamo perciò
il pube quasi completamente escluso dalla formazione della ca¬
vità acetabolare. Nei Chelonii (fig. 6), dove manca la parte pros¬
simale della porzione interna, mentre il pube partecipa alla for¬
mazione dell'acetabolo, sulla superficie interna della regione ar-
Fig. 5. — Lacerta virìdis. Bacino visto dalla superficie dorsale : btp . branca trasversale
del pube, fn foro nerveo-vascolare, per il quale passa il nervo otturatore. Im. lega¬
mento mediano pube-ischiatico, pap. processo acetabolare pubico dell’ileo, pe. por¬
zione del pube situata esternamente al nervo otturatore, pi. porzione del pube situata
internamente al nervo otturatore, sii. spina iliaca, sp. spina pubica. Le altre indica¬
zioni come nelle figure precedenti.
ticolare, opposta all'acetabolo, non si nota più, come nelle Lu¬
certole, il bordo dell'articolazione pube-ischiatica, ma solamente
quello molto esteso dell'articolazione pube-iliaca, come se il pube
si articolasse solo con l' ileo; ed il nervo otturatore non perfora
il pube. Nei Coccodrilli oltre a mancare la porzione interna pros¬
simale del pube, manca anche il processo acetabolare pubico
dell' ileo (pap.) ; e la porzione esterna del pube è, come nel Ca¬
maleonte, molto ridotta; perciò il pube non prende parte alla
formazione della cavità acetabolare e si articola solo con l'ischio.
Anche nei Coccodrilli, come nei Chelonii, il nervo otturatore non
perfora il pube. In tutti i Saurii e nell’ Hatteria invece il nervo
otturatore attraversa il pube, passando tra le due branche di questo
(esterna ed interna), in modo che è situato internamente alla prima,
esternamente alla seconda. Quando viene a mancare la branca in¬
terna, almeno nella sua porzione prossimale, manca anche il foro
nerveo-vascolare e quindi il nervo otturatore non perfora più il
pube, e trovasi invece nel forame cordiforme. Così deve spiegarsi
che nei Chelonii e Coccodrilli il nervo otturatore non perfora il
pube. Ciò è provato anche dal fatto che nei Chelonii e Coccodrilli
manca il Rotatore accessorio del femore (M. pubi-ischio-fetnoralis
inter nas pt. II. n. 13 Gadow, Rotateur acce sso ir e da fémur n. 123
Perrin), che nei Saurii, dove è molto sviluppato, si inserisce so¬
pra questa porzione del pube, chiudendo dorsalmente il forame
cordiforme. Vi sarebbe anche una prova embriologica : Secondo
Wiedersheim (1889 pg. 438), come in Lacerta agilis così in Che-
Ione midas ed in Crocodilus biporcatus l'abbozzo del pube e
dell'ischio nello stadio precartilagineo è costituito da un baste¬
rna unico, il quale nella regione del futuro forame cordiforme
presenta una interruzione solo per il nervo otturatore. (Cfr. an¬
che 18923). Il nervo otturatore quindi, sia nei Chelonii che nei
Coccodrilli, sarebbe circondato dal blastema che costituisce il
primo abbozzo del pube; ma quando più tardi avviene la con¬
drificazione, poiché essa interessa la sola porzione del blastema
del pube situata anteriormente ed esternamente al nervo ottura¬
tore, questo nervo rimane escluso dal pube e viene quindi a tro¬
varsi libero nel forame cordiforme.
La parziale mancanza in alcuni rettili della porzione interna
del pube, diventa completa negli uccelli. Ciò si può rilevare non
solamente dalla direzione del pube e suoi rapporti di posizione
coi muscoli e col nervo otturatore, ma anche esaminando i primi
abbozzi embrionali del bacino di alcuni uccelli acquatici. Dalle
figure di tagli sagittali di giovani embrioni di Podiceps cornatus ,
date da Mehnert (1887, fig. 1, 3), si vede chiaramente che l'ab¬
bozzo del bacino nei primi stadii di sviluppo (tessuto a piccole
-
— 176 —
cellule prive di sostanza intercellulare) è perforato dal nervo ot¬
turatore; mentre in stadii successivi (fig. 6) il nervo appare li¬
bero, per la condrificazione della sola parte dell’abbozzo del
pube situata esternamente al nervo.
Che negli uccelli questa porzione interna del pube sia com¬
pletamente assente, è dimostrato specialmente dai rapporti del
pube con i muscoli della parete ventrale dell' addome. Quando
si apre l’addome di una Lucertola, noi vediamo sporgere nella
cavità addominale un grosso cuneo (sul quale il peritoneo passa
direttamente dalla parete ventrale dell' addome), con Y apice di-
Fìg. 6. — Testudo graeca. Bacino visto dalla superficie dorsale. Indicazioni come nelle
figure precedenti.
retto cefalicamente, mentre i muscoli delle pareti addominali si
portano obliquamente sulla sua base per congiungersi sulla li¬
nea mediana. Questo cuneo, (fig. 4, c.), che divide la cavità ad¬
dominale posteriore in due fosse, una dorsale e una ventrale, è
formato dalle branche trasversali dei pubi e dai muscoli che so¬
pra di esse si inseriscono. I rapporti dei muscoli delle pareti
addominali col pube sono nei rettili intimamente legati alla po¬
sizione della spina pubica; quanto più questa è situata presso la
sinfisi pubica, tanto più il cuneo diminuisce; così nella Lacerta ,
Gongilus, Platydactylus il cuneo è grande, nel Camaleonte è
piccolissimo, nel Coccodrillo non esiste. Il cuneo inoltre è poco
appariscente in quei Sauri!, nei quali le branche dei pubi, che
concorrono alla formazione della sinfisi, non sono come nella
— 177 —
Lacerta dirette in avanti, ma sono invece trasversali, come per
esempio nell' Uromastix. In tutti i rettili però, e, ciò che è de¬
gno di nota, tra tutti gli amnioti solo nei rettili, esiste sempre
uno spazio più o meno esteso, che separa le pareti addominali
dalle branche trasversali dei pubi e dai muscoli che ad esse si
inseriscono; ed anche nei Coccodrilli, nei quali, a causa della
posizione della spina pubica i), i Retti addominali si inseriscono
sulbestremo anteriore dei pubi, esiste pure un detto spazio, poi¬
ché ciascun Retto dell'addome, passando come ponte sulla ri¬
manente parte del pube, va ad inserirsi caudalmente suH'ischio.
Quando invece si apre l'addome di un uccello, appare una
unica cavità; poiché i muscoli della parete ventrale dell'addo¬
me sono inseriti caudalmente sopra il margine ventrale del ba¬
cino, cioè lungo i pubi. Negli uccelli quindi manca quella grande
massa muscolare, che, nei Saurii e nei Lacertilii specialmente,
forma il grosso cuneo sporgente nella cavità addominale, di cui
ho fatto cenno innanzi; cioè mancano tutti quei muscoli che si
inseriscono sulla branca interna del pube (l'Estensore del femore,
il Rotatore accessorio del femore ed il Rotatore diretto del fe¬
more), i quali chiudono il forame cordiforme, e che, come io ho
fatto notare (1906, 1907), presentano una grande tendenza a fra¬
zionarsi in più capi, che si incrociano sulla linea mediana. Solo
rappresentante di essi rimane il Flessore del femore, cioè l'Ot¬
turatore con i suoi muscoletti accessorii; ma è facile supporre
che questo muscolo degli uccelli non rappresenti l'intero Fles¬
sore del femore dei rettili, ma solamente la porzione che si
inserisce sulla faccia interna della spina pubica e del legamento
spina pubica-ischiatico ( Platydactylas , Trionyx). Il Gregory (1918)
dice che il pube si è variamente ridotto, perchè il M. pubo-ischio-
femoralis externus ed i relativi muscoli trovano negli uccelli il loro
attacco principale sull'ischio; ed il pube e l'ischio sono ambedue
piegati verso dietro a fine di tirare il femore in dietro ed in
A) L'estremo distale cartilagineo del pube dei Coccodrilli, considerato da
Wiedersheim (18924 , 1902) come epipubis, deve essere invece considerato, al¬
meno in parte, come una porzione della spina pubica rimasta cartilaginea; poi¬
ché in tutti gli altri rettili i Retti addominali si inseriscono sulla spina pubica,
mai sull' epipubis.
— 178 —
dentro. Ma egli non solamente non tiene conto dei rapporti di
posizione del M. otturatore con le ossa del bacino; ma dimen¬
tica che tutti i muscoli, che nei rettili sono situati dorsalmente
ed anteriormente al pube, mancano completamente negli uccelli.
La mancanza negli uccelli di questa grande massa muscolare
è spiegabile con il passaggio dalla locomozione strisciante dei
Fig. 7. — Camaeleo vulgaris. Metà sinistra dei bacino vista dalla superficie esterna : a.
acetabolo, Ipi. legamento spina pubica-ischiatico, s. porzione ossificata di questo le¬
gamento, sp. spina pubica. Le altre indicazioni come nelle figure precedenti.
rettili a quella semieretta degli uccelli. Nei rettili (fig. 8) l’arto
nella locomozione dapprima è alquanto sollevato dal terreno e
poi è portato in avanti (cefalicamente). Si hanno quindi due mo¬
vimenti di rotazione del femore: il primo avviene intorno all'as¬
se maggiore del capo del femore, che è parallelo all'asse longi¬
tudinale del corpo dell'animale (p a) ; l'altro intorno ad un asse
normale al precedente e parallelo al piano sagittale delPanimale.
Il primo movimento (1, 2) è prodotto in parte dai capi muscolari
dell' Estensore superficiale della tibia che si inseriscono sull' ileo
(M. extensor ilio-tibialis n. 2 Gadow, Extenseur super f idei da
tibia n. 102, 103 Perrin); ma principalmente dalla contrazione
dei capi muscolari del Deduttore del femore (M. ilio-fetnoralis
n. 5 Gadow, Déducteur du fémur n. 120 Perrin), i quali sono
poco sviluppati, essendo il movimento di poca importanza, poi-
/
— 179 —
chè serve solamente a non fare strisciare l'arto sul terreno. Men¬
tre il secondo movimento (2, 3), il quale serve veramente a sta¬
bilire la posizione dell' arto indispensabile per poter portare in
avanti il corpo dell'animale, è prodotto dalla successiva contra¬
zione dei muscoli che costituiscono quella grande massa muscolare
in parola. Negli uccelli invece, a causa della conformazione del
capo del femore, il movimento è semplificato ; poiché il solleva¬
mento dell'arto è sufficiente a portare questo in avanti (cefalica¬
mente), come avviene anche nei mammiferi. Il femore in questo
movimento ruota intorno all'asse maggiore del capo del femore.
Questo asse è perpendicolare all'asse longitudinale del corpo del¬
l'animale (p a) e parallelo al piano frontale. Il movimento di sol-
levamento dell'arto diventa quindi non solo importante, ma in¬
dispensabile per la locomozione; e perciò i muscoli che servono
per questo movimento (Mm. ilio-trochanterici n. 29, M. ilio-fe-
moralis externus n. 30 Gadow), i due capi muscolari dell'Estensore
superficiale della tibia che li coadiuvano (Mm. ilio-tibialis n. 33, 34
Gadow) e l’osso sul quale tutti questi muscoli si inseriscono,
cioè la porzione anteriore dell' ileo, acquistano un enorme svi¬
luppo. Il secondo movimento invece è soppresso e con esso anche
i muscoli che a questo movimento servivano, e tutta quella por¬
zione del pube sulla quale questi muscoli prendevano inserzione.
Il pube in tutti gli uccelli, ad eccezione della porzione pros¬
simale, ha una direzione antero-posteriore (caudale) e leggermente
dorso-ventrale, cioè quasi parallela a quella dell'ileo e dell'ischio,
e con l’estremo distale curvato verso la linea mediana; mentre
il pube dei rettili (branca trasversale) è diretto ventralmente ed
alquanto in avanti (cefalicamente). Ciò che nei rettili e propria¬
mente nei Saurii ha la medesima direzione e gli stessi rapporti
di posizione del pube degli uccelli è la spina pubica, che con la
porzione del legamento spina pubica-ischiatico, sulla quale pren¬
dono inserzione i muscoli della parete ventrale dell’ addome,
costituisce orna stretta e lunga zona (fig. 10, mpa ), che, come
il pube degli uccelli, è diretta caudalmente e con l'estremo po¬
steriore ricurvo verso la linea mediana. La spina pubica dei
rettili, che, come la spina ischiatica, è una formazione che appare
secondariamente nell' embriogenesi del cinto pelvico (Mehnert
— 180 —
:
1 890), originariamente forse era diretta in avanti (cefalicamente) ed
in fuori, come negli Urodeli e come è il caso anche delle Testuggini
di acqua e dei Coccodrilli. Ma presumibilmente, per l'ossificazione
della porzione del legamento spina pubica-ischiatico, che ad essa si
inserisce, si presenta, specialmente nei Lacertilii, ricurva in basso e
verso dietro (caudalmente). Ciò è molto evidente nel Camaleonte
(fig. 7), dove la spina pubica (che trovasi presso la sinfisi pubica) è
appena accennata; ma per ossificazione della porzione prossimale del
legamento spina pubica-ischiatico, che forma una grossa e lunga epi¬
fisi (s), essa appare molto sviluppata. *) Anche nei Lacertilii si può no¬
tare aH’estremo della spina pubica una piccola epifisi.
Se noi supponiamo che negli uccelli la ossificazione si sia gra¬
datamente estesa sopra tutto il legamento spina pubica-ischiatico e
propriamente su tutta la sua porzione, sulla quale prendono inser¬
zione i muscoli addominali, noi possiamo facilmente spiegarci la
forma e direzione del pube degli uccelli, senza ricorrere alla voluta
rotazione in dietro di esso od alla formazione di un nuovo compo¬
nente del bacino. E l'esame embriologico col quale il Bunge (1880)
ed il Mehnert (1887) hanno creduto di poter avvalorare la antica
ipotesi della rotazione del pube, verrebbe invece ad avvalorare la
ipotesi della progressiva formazione del pube per ossificazione del
legamento spina pubica-ischiatico. Difatti la porzione del pube degli
l) Wiedersheim (18924 p. 53) considera invece questa epifisi come porzione
di un epipubis, che nei giovani Camaleonti sarebbe costituito da una cartila¬
gine a forma di T, comprendente la cartilagine interposta nella sinfisi pubica
e gli abbozzi cartilaginei delle epifisi, in ciascuno dei quali più tardi si for¬
merebbe un centro di ossificazione autonomo. Ma, come giustamente aveva fatto
osservare Hoffmann (1876), ciascuna di dette epifisi è portata da un partico¬
lare processo del pube ed è riunita all' ischio mediante un legamento (fig. 7).
Ora poiché queste due ultime formazioni, per i loro rapporti di posizione col
pube e con l’ischio, coi muscoli della parete ventrale deH’addome, col Flessore
del femore e con gli Adduttori, debbono senza alcun dubbio essere conside¬
rate l'una come spina pubica e l’altra come legamento spina pubica-ischiatico,
non è assolutamente possibile accettare l'interpretazione di Wiedersheim. La
posizione di dette epifisi nel giovane Camaleonte esaminato da Wiedersheim
(18924 fig. 9), la loro ritardata ossificazione, il loro centro autonomo di ossifi¬
cazione, sono facilmente spiegabili, quando si tiene conto della estrema ridu¬
zione della branca trasversale del pube e della loro formazione cenogenetica ed
indipendente dal pube.
uccelli vicina all’articolazione, la quale porzione è diretta in fuori
e leggermente in avanti ed è situata anteriormente (cefalicamente)
al nervo otturatore, al suo passaggio attraverso il foro otturato,
dovrebbe, ammettendo la mia ipotesi, apparire nelle sezioni di
embrioni di uccelli quasi perpendicolare all'ileo ed essere la
prima a formarsi. Mentre la rimanente porzione del pube , che
forma con la prima un angolo acuto ed è diretta caudalmente,
dovrebbe essere l'ultima a comparire, perchè filogeneticamente
la locomozione : p o a retta parallela all’asse longitudinale del corpo, a estremo anteriore,
p estremo posteriore, o acetabolo; t t terreno; 1, 2, 3 femore e sua posizione durante la
locomozione, 1 quando l'arto poggia sul terreno, 2 quando l’arto è sollevato, 3 quando
l’arto è portato cefalicamente, le frecce indicano la direzione del movimento ; tr piano tra¬
sversale nel quale si muove il segmento 1 per portarsi nella posizione del segmento
2, ruotando intorno all’asse p a ; fr superficie nella quale si muove il segmento 2 per
portarsi nella posizione delsegmento 3, ruotando intorno all’asse verticale passante per
o-, sa piano parasagittale nel quale si muove il segmento 1 per portarsi nella posizione
del segmento 2, girando intorno all’asse trasversale passante per o.
formatasi più tardi; e nelle sezioni di embrioni più sviluppati la
porzione distale del pube dovrebbe apparire come ruotata verso
dietro. Ora dalle ricerche di Bunge (1880) e di Mehnert (1887),
come anche da quelle di Johnson (1883) , risulta che il primo
abbozzo del pube nelle sezioni appare perpendicolare all'ileo;
ma che in embrioni più avanti nello sviluppo esso si presenta
girato caudalmente. Giustamente quindi Johnson (1883) fa notarè
che, poiché nello stadio nel quale il pube (branca posteriore) si
presenta curvato verso dietro, la sua metà prossimale conserva la
stessa direzione (perpendicolare all'ileo) che aveva negli stadii
— 182 —
precedenti Finterò abbozzo (branca posteriore), si può conclu¬
dere che il cambiamento di forma risulti da un accrescimento,
anziché da una rotazione in dietro dell’intera cartilagine.
Circa i rapporti di posizione ho già detto abbastanza a pro¬
posito dei muscoli che si inseriscono sul bacino. Solamente vo¬
glio far notare che per detti rapporti il pube degli uccelli può
essere distinto in due porzioni (fig. 9, 10): una distale, molto
lunga ed adiacente al legamento pube-ischiatico, la quale cor¬
risponde alla porzione del legamento spina pubica-ischiatico sulla
quale si inseriscono i muscoli addominali; l’altra prossimale, breve
ed adiacente al forame otturato, la quale corrisponde alla spina
pubica ed alla porzione articolare esterna del pube dei saurii.
Ciò appare evidente sopratutto per la perfetta corrispondenza
del forame otturato degli uccelli con quella apertura del baci¬
no dei rettili da me indicata con lo stesso nome (fig. 10, fo).
Infatti il forame otturato degli uccelli e propriamente il foro per
il quale esce dal bacino il capo distale del M. otturatore (fig. 1,
9, fo), è delimitato anteriormente e ventralmente dal pube, po¬
steriormente dal legamento pube-ischiatico e dorsalmente dall'i¬
schio. Esso è situato immediatamente vicino all’articolazione fe-
more-acetabolare e per esso passa il ramo del nervo otturatore,
che va all’Adduttore del femore (adf.) (M. pubi-ischio-femaralis
n. 43 Gadow). Mentre l’Otturatore riceve l'innervazione nell'in-
terno del bacino. Ugualmente nei Saurii il forame per il quale
passa il capo distale del Flessore del femore (fig. 2, 10, fo), è
delimitato dorsalmente dall' acetabolo, anteriormente e ventral¬
mente dalla spina pubica e dal legamento spina pubica-ischia¬
tico, e posteriormente dalla branca articolare dell' ischio. Per
questo forame esce il ramo del nervo otturatore, che va all'Ad¬
duttore del femore. Mentre il Flessore del femore, che è omo¬
logo all'Otturatore degli uccelli, è innervato dal nervo ottura¬
tore prima di uscire dal forame, cioè internamente alla spina
pubica ed al legamento spina pubica-ischiatico.
Da quanto ho detto innanzi, e dall'esame dei rapporti di
posizione dell' Otturatore, del Flessore del femore, degli Ad¬
duttori e specialmente dei muscoli della parete ventrale della
addome col pube e col legamento pube-ischiatico, risulta che il
pube degli uccelli corrisponde alla porzione articolare del pube
— 183 —
dei rettili, situata esternamente al nervo otturatore, alla spina
pubica ed a quella porzione del legamento spina pubica-ischia-
tico, sulla quale si inseriscono i muscoli della parete ventrale
dell'addome.
Questa conclusione sembrerebbe avvalorare la concezione di
Johnson; ma Johnson fa derivare il pube degli uccelli dalla sola
spina pubica dei rettili, e considera il processus pectinealis come
un residuo del vero pube. Ora il processus pectinealis degli uc¬
celli (pp) non può corrispondere alla branca trasversale del
pube dei rettili, cioè a quella porzione del pube, che sulla linea
mediana si incontra con la corrispondente del lato opposto, for¬
mando la sinfisi pubica. Il Baur (1886) giustamente fa notare che
il pube dei rettili (branca trasversale) è diretta verso dentro, cioè
verso la linea mediana, mentre il processus pectinealis è diretto
nel senso opposto. Il Gegenbaur ha già dimostrato che nei
Carenati il processus pectinealis fa parte dell' ileo, e perciò lo
chiama spina iliaca. Ciò è stato confermato embriologicamente
da Mehnert (1887). Resta però il fatto che nei Ratiti esso può
far parte anche del pube.
Il processus pectinealis può avere solo il valore di una
apofisi o prominenza del bordo anteriore dell' acetabolo e pro¬
priamente della porzione di esso, che nei Saurii è costituita dal
processo acetabolare pubico dell’ileo (pap) ed in alcuni casi
anche dalla porzione .acetabolare del pube, che con esso si ar¬
ticola (Ratiti). Nei rettili lungo questo bordo, e specialmente
sulla porzione pubica, si inserisce Y Estensore superficiale della
tibia (fig. 4, 10, et) (M.ambiens n.° 1 Gadow, Extenseur super-
ficiel du tibia: Tète interne n.° 104 Perrin, M. pubo-tibialis
n.° 14 a Osawa, M. vastus femoris : Caput rectum n .° 133 b
Ogushi), aderendo molto spesso alla capsula articolare. Questa ade¬
renza alle volte è tale (come ho potuto osservare nel Camaleonte),
che sembra che il suo tendine si origini dalla capsula stessa. Nel-
1’ Hatteria e Chelonii la sua inserzione è spostata verso il margine
esterno della spina pubica, ed in alcuni Chelonii può anche spin¬
gersi sul legamento spina pubica-ischiatico (Gadow 18822). Secondo
Osawa (1898) questo muscolo neH'Hatteria si inserisce non sola¬
mente sulla base del tuberculum pubis, cioè della spina pubica, ma
— 184 —
anche sulla capsula deirarticolazione femore-acetabolare. Anche in
Trionyx japonicus , secondo Ogushi (1913), il. muscolo ha la mede¬
sima inserzione, però mediante un legamento (ligamentum pubis
laterale ), che si stende tra la base del processus lateralis del pube
e la capsula dell’articolazione femore-acetabolare. Ma in nessun
rettile esso si inserisce sulla branca trasversale del pube. Anche
negli uccelli, quando esiste ( Homalogonatae di Garrod 1874) l'o-
Fig. 9. — Metà destra del bacino di un giovane pollo, vista dalla superficie esterna ed
alquanto schematica. Le due linee a grossi tratti indicano il luogo di inserzione dell’ad¬
duttore del femore ( adf ) e dei muscoli della parete ventrale dell’addome ( mpa ) ; le crocette
indicano l’inserzione del M. ambiens, che è omologo all’estensore della tibia (et) dei
rettili, a acetabolo, ac. apertura crurale, fi. foramen ischiadicum, le. legamento cru¬
rale, Ipi. legamento pube-ischiatico, pp. processus pectinealis e processo acetabolare
pubico dell’ileo. Le altre indicazioni come nelle figure precedenti.
mologo di questo muscolo (fig. 3, 9, et.) (Gracilis n.Q 85 Se-
lenka, M. ambiens n.° 32 Gadow), esso si inserisce sulla por¬
zione preacetabolare, nel punto dove il pube si articola coll’ ileo,
esternamente ai Retti dell'addome ; e propriamente sul processus
pectinealis (quando esiste) e sul margine esterno della porzione
acetabolare ed alle volte anche postacetabolare del pube.
Inoltre nei Saurii ( Lacerta ) il margine esterno della spina
pubica è riunito al processo anteriore dell' ileo (fig. 10, le) da un
legamento, sul quale si inseriscono i muscoli della parete addo¬
minale; in modo che la branca trasversale del pube viene a tro-
— 185 —
varsi nell’ interno della cavità addominale. Il legamento aderisce
fortemente all' Estensore del femore (prima porzione del M. pubi-
ischio- femoralis inter nus n.° 13 Gadow, Extenseur da férnur
n.° 121 Perrin), mentre passa come ponte sulla incisura ante¬
riore deir ileo, situata tra il processo anteriore dell' ileo o spina
iliaca (sii) ed il processo acetabolare pubico dell' ileo (pap).
Si ha così un'apertura (foro crurale), per la quale passano, in¬
sieme ai capi distali del Rotatore diretto del femore (M. pubi-
Fig. IO. — Lacerta viridis. Metà destra del bacino, vista dalla superficie esterna ed al¬
quanto schematica. Le linee a grossi tratti indicano il luogo di inserzione dell’addut¬
tore del femore ( adf ), dell’estensore della tibia (et) e dei muscoli della parete ventrale
dell’addome (mpa). Ipi. legamento spina pubica-ischiatico. Le altre indicazioni come
nelle figure precedenti.
ischio-femoralis inter nus n.° 13 pars III Gadow, Rotateur di¬
rect da fémur n.° 122 Perrin) e del Rotatore accessorio del
femore ( M . pubi-ischio-femoralis internus n.° 13 pars II Gadow,
Rotateur accessoire du fémur n.° 123 Perrin), il nervo ed i vasi
crurali. Un legamento omologo si trova pure negli uccelli (fig.
9, le.); esso partendo dal margine esterno della porzione aceta¬
bolare del pube, e dell' ileo o del processus pectinealis , quando
esiste, va ad inserirsi al margine esterno della porzione anteriore
dell' ileo, che è omologa alla spina iliaca dei rettili. Questo le¬
gamento, sul quale, come nei rettili, si inseriscono i muscoli della
— 186 -
parete addominale (mpà), concorre alla formazione dell'anello
crurale, per il quale passano il nervo ed i vasi crurali.
Ora se, come ammette Johnson il pube degli uccelli è de¬
rivato dalla spina pubica dei rettili, il processus pectinealis non
può essere considerato omologo alla branca trasversale del pube;
poiché bisognerebbe supporre che la inserzione prossimale del-
T Estensore superficiale della tibia {et) fosse migrata sulla
branca trasversale del pube. Ma in questo caso l' inserzione del-
1' Estensore superficiale della tibia degli uccelli (M. ambiens n.°
32 Gadow) dovrebbe trovarsi internamente a quella dei muscoli
della parete addominale, non esternamente. Tranne che non si
volesse supporre che anche la linea di inserzione dei muscoli
della parete addominale insieme al legamento pube-iliaco si fos¬
sero spostati sulla branca trasversale del pube; ed allora il pube
degli uccelli non sarebbe più omologo alla spina pubica, poiché
negli uccelli i muscoli della parete addominale si inseriscono
sul pube.
Conclusioni.
1. — Il forame otturato degli uccelli non può essere consi¬
derato omologo al forame pube-ischiatico ocordiforme dei rettili; ma
deve invece essere considerato omologo al foro compreso tra la
porzione esterna del pube (porzione articolare del pube situata
esternamente al nervo otturatore e spina pubica), il legamento
spina pubica-ischiatico e la branca articolare dell'ischio dei ret¬
tili; ed il forame pube-ischiatico o cordiforme dei rettili non ha
alcuno omologo negli uccelli.
2. — La porzione interna del pube dei Saurii, cioè quella
situata internamente al nervo otturatore e che concorre alla for¬
mazione del forame cordiforme e della sinfisi pubica, mentre nei
Chelonii e Coccodrilli manca della sola porzione prossimale, negli
uccelli è completamente assente.
3. — Il pube degli uccelli non può considerarsi come un
nuovo elemento del bacino, nè corrisponde all'intero pube dei
rettili ruotato caudalmente; ma esso deve essere considerato omo¬
logo alla sola porzione esterna del pube dei Saurii (spina pubica e
porzione articolare del pube situata esternamente al nervo ot-
— 187 —
turatore), ed a parte del legamento spina pubica-ischiatico os¬
sificatosi.
4. — Il processus pectinealis può avere solo il valore di una
apofisi della regione acetabolare e propriamente della porzione
di essa, che nei Saurii è costituita dal processo acetabolare pubico
delbileo, ed in alcuni casi (Ratiti) anche della porzione acetabolare
del pube che con esso si articola.
Napoli , Istituto di Anatomia Comparata e Fisiologia Comparata, 1923.
LAVORI CITATI
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1880. Bunge, A. — Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte des Be-
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1890. Zittel, K. — Mandbuk der Palaeontologie: Mùnchen und Leipzig
3 Bd.
Finito di stampare il 6 settembre 1923.
Alcune specie discusse di Misidacei
del socio
G ♦ Golosi
(Tornata ordinaria 29 luglio 1923)
Una recente memoria di Tattersall (1922) sui Misidacei dei
mari indiani mi dà luogo ad alcune osservazioni sui generi Doxo¬
mysis e Lycomysis.
Il primo fu stabilito da Hansen (1912) su una femmina muti¬
lata che descrisse col nome di Doxomysis pelagica ed incluso nella
tribù dei Mysini : pertanto la posizione sistematica non basata sui
pleopodi del maschio, era necessariamente malsicura. Zimmer (1915)
esprime l'opinione che la specie descritta da Illig (1906) sopra
una femmina col nome di Mysis (?) quadrispinosa facesse effetti¬
vamente parte del gen. Doxomysis : ciò evidentemente per la pe¬
culiare forma del telson. In seguito all'esame di quattro diverse
specie del genere in discorso potei [Colosi (1920)] stabilire, dietro
l'esame dei pleopodi maschili, le affinità col gen. Afromysis Zimmer
e collocare Doxomysis fra i Leptomysini. Tale posizione sistematica
e tale affinità è stata riconosciuta e riconfermata da Tattersall.
Ma Tattersall delle quattro specie da me descritte consi¬
dera D. Zimmeri come sinonimo di D. quadrispinosa e C. Tat-
tersalli come sinonimo di D. pelagica.
Pur non escludendo la possibilità di forti differenze ses¬
suali, credo pertanto poco probabile che D. Zimmeri possa ri¬
condursi a D. quadrispinosa. A prescindere dalla forma della
fronte, dal solco cervicale (che secondo la figura di Illig appare
profondissima e ben delineato in D. quadrispinosa , mentre non
lo è affatto in D. Zimmeri ), dalla forma e dai rapporti tra lun¬
ghezza e larghezza del terzo articolo antennulare (rapporti che abi¬
tualmente variano tra i due sessi della medesima specie), dallo
sviluppo degli occhi (il cui peduncolo rimane coperto dalla pia¬
stra frontale in D. Zimmeri mentre è scoperta in D . quadrispi -
nosa, dall'aspetto della squama antennale (con margini pochis¬
simo setolosi in D. quadrispinosa , riccamente setolosi fino alla
base in R. Zimmeri ), rimane un carattere di speciale importanza
fornito dal telson. Questo è notevolmente corto (la larghezza
basale sta alla lunghezza come 5:8) in D. quadrispinosa, mentre
la lunghezza è più che doppia della lunghezza basale in D. Zim¬
meri e le quattro spine terminali di ciascuna sua branca sono
subeguali in D. Zimmeri mentre appaiono molto disuguali in
D. quadrispinosa. Sopra altri caratteri è impossibile discutere
data la scarsezza di dati forniti da Illig.
Potrà dirsi che le differenze possono dipendere e dalla dif¬
ferenza di sesso e dalla differenza di età e dalle differenze in¬
dividuali: tutte le supposizioni sono lecite. Però finché si cono¬
scano soltanto un maschio di D . Zimmeri e una femmina di
D. quadrispinosa , prima cioè di possedere una serie di forme che
possano dimostrare seriamente la sinonimia, mi pare opportuno
lasciare distinte le due specie coi caratteri loro assegnati da Illig
e da me.
Doxomysis pelagica venne descritta da Hansen (1912) su una
femmina molto danneggiata, però benché gli occhi si trovassero
in cattive condizioni difficilmente ad un osservatore così acuto e
preciso quale è Hansen sarebbero fuggite le peculiari spinula-
zioni dei peduncoli oculari che invece sono evidentissime nel
campione da me descritto col nome di D. Tattersalli. Ad ogni
modo è difficile potersi pronunziare in proposito prima che di
queste due forme discusse non si conoscano i maschi: la cono¬
scenza di questi potrà decidere la questione se D. Tattersalli sia
sinonimo di D. pelagica perchè la somiglianza tra femmine di
specie affini è spesso grandissima.
E veniamo al genere Lycomysis. Spetta a Zimmer (1915) la
priorità di averlo incluso nella tribù dei Mysini, poiché Hansen
(1910) dopo l'esame di tre maschi giovani di L. spinicauda lo
aveva prudentemente giudicato di incerta sede. Indipendente¬
mente da Zimmer, ma posteriormente a lui, venivo [Colosi (1916)]
alla medesima conclusione studiando un maschio adulto ma molto
danneggiato.
— 193 —
Hansen aveva stabilito L. spinicauda su campioni catturati
a sud di Celebes; io avevo ritrovato la sua specie a Capo Ca-
mao, Cocincina; Zimmer aveva descritto L. pusilla nella collezione
Duncher del viaggio da Ceylon a Dampierstrasse.
Tattersall (1922) sopra un maschio delle isole Andainan
afferma ora l'identità di L. spinicauda di Hansen e Colosi e di
L. pusilla di Zimmer.
Ora l'unico pleopodo del quarto paio rimasto al mio esem¬
plare terminava con due setole di cui una rotta alla base, l'altra
a qualche distanza da questa; non potevo nulla aggiungere circa
la lunghezza e l'aspetto di esse. In quanto al palpo mandibolare
Tattersall opina che la differenza da me sostenuta circa la dif¬
ferenza fra quello di L. spinicauda e L. pusilla dipende dalla diversa
inclinazione in cui lo avevamo posto io e Zimmer quando lo di¬
segnavano. A me veramente sembra poco probabile che Zimmer
sia proprio andato a scegliere una posizione obliqua; ma qualora
ciò fosse avvenuto, i caratteri differenziali del palpo mandibolare
delle due specie verrebbero ad essere accresciuti e non dimi¬
nuiti, poiché la costola dentata di L. pusilla sarebbe straordi¬
nariamente più larga rispetto a quella di L. spinicauda . Quindi,
ammessa e non concessa la supposizione di Tattersall, L. spi¬
nicauda e L. pusilla sarebbero ben distinguibili proprio per la
lamina dentata del palpo mandibolare.
In quanto ai pleopodi del primo, secondo, terzo e quinto
paio posso assicurare che il lobo laterale dell'endopodite era tut-
t'altro che bene sviluppato e che essi risultavano formati di un
endopodite un pò più corto dell'esopodite, anch'esso breve. Il
mio reperto concordava con quello di Hansen; dopo che venni
a conoscenza del lavoro di Zimmer e della sua descrizione di
L. pusilla riesaminai i campioni e misi in evidenza il differente
contegno dei pleopodi nelle due specie.
Circa poi la necessaria esclusione di Lycomysis dalla tribù
dei Mysini in base alla coalescenza dei rami del primo e secondo
paio di pleopodi col loro peduncolo, fo notare che nelle tribù dei
Mysini abbiamo una tendenza più o meno accentuata e più o
meno estesa alla riduzione dei pleopodi del primo, secondo, terzo
e quinto paio; meno accentuata per il terzo, maggiormente per
il quinto, massimamente per il primo e secondo, ma la non eoa-
— 194 —
lescenza dei due rami rudimentali col peduncolo non deve im¬
plicare la esclusione dai Mysini.
Può darsi che le forme comprese da Tattersall sotto il no¬
me di Lycomysis spinicauda appartengano alla stessa specie e
dinotino forti variazioni individuali (anche troppo forti: p. es.
nell'esemplare di Tattersall Tultimo articolo dell'esopodite del
quarto pleopodo maschile è lungo un terzo più del penul¬
timo, negli esemplari di Zimmer è lungo più del doppio di que¬
sto, nel mio esemplare una volta e mezzo), io credo che non si
possa dubitare della bontà specifica di L. spinicauda e di L.
pusilla. La conclusione di Tattersall è pertanto prematura.
In altro lavoro Tattersall (1923) afferma la sinonimia di
Euchaetomera Vogtii (Chun) E. titubata Illig, E. Sennae Colosi
e E. typica Sars, comprendendo tutte le forme descritte sotto
quest'ultimo nome. Tale sinonimia basata sopra una numerosa
serie di individui in varii stati di sviluppo pare accettabile.
Certo è molto lodevole ogni tentativo di sintetizzare le co¬
noscenze sul difficile gruppo dei Misidacei ed è bene che un
insigne specialista quale Tattersall si ponga alla coordinazione
delle notizie speciografiche. Pertanto le nozioni scarsissime che
si hanno intorno a gran numero di forme, molte delle quali
descritte su singoli esemplari, spesso femmine, spesso immaturi,
spesso molto danneggiati, devono invitarci a non abbandonare
del tutto la via della frammentazione prima che sia possibile
unificare a stabilire delle serie di stadii e di variabilità, e sug¬
gerirci che il gruppo dei Misidacei per le sue condizioni spe¬
ciografiche si trova in un periodo tale, che è bene seguire il
detto: " caute adfirma , raro nega , distueing frequenter
BIBLIOGRAFIA.
1916. Colosi, G. — 1. Nuova diagnosi e posizione sistematica di Ly-
comysis spinicauda Hansen. Monit. Zool. Ital., XXVII.
1920. — — 2. Raccolte planctoniche fatte dalla R. Nave « Liguria
Misidacei. Pubbl. R. Ist. Studi Sup. Firenze.
1910. Hansen, H. J. — -1. The Schizopoda of thè “ Siboga „ Expedition.
Siboga Expeditie, XXXVII.
1912. — — 2. Reports on thè Scientific Results of thè Expedition to
thè Pacific by thè U. S. Eish Commission Steam “ Albatross,, ,
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ten der deutschen Tiefsee Expedition , Mysiden. Zool. Anz., XXX.
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1923. — — 2. Britisch Antartic " Terra Nova „ Expedition, 1910,
Nat Hist. Rep., Mysidacea.
1915. Zimmer, C. — 1. Die Systematik der Tribus Mysini H. J. FIan-
sen. Zool. Anz., XLVI.
1915. — — 2. Schizopoden des Hamburger Naturhistorischen (Zoo-
logischen) Museums. Mitt. Naturh. (Zool.) Mus., XXXII.
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
Sulla geonemia delle specie del genere
Chrysochraon , Fisch. ( Orthoptera - Locu-
stidae)
del socio
Dott* Mano Salfi
(Tornata ordinaria 8 luglio 1923)
Delle specie finora note del gen. Chrysochraon , Fisch due,
come è noto, fanno parte della fauna d'Europa: il Chr. dispar ,
Germ. e il Chr. brachypterus , Ocsk. *)•
Esse sono diffuse nel centro e nell'Est d'Europa, dai Pirenei
agli Urali, spingendosi poi anche nell'Asia settentrionale.
La catena alpina, per quanto è noto finora, fa poi parte
della linea di confine meridionale dell'area occupata dalle due
specie in Europa.
Lo Chopard (1922) * 2 3) indica infatti la presenza di Chr. bra¬
chypterus , Ocsk. nelle basse Alpi e la Mei (1903) 3) accenna al
rinvenimento della stessa specie nella zona del Cadore.
Intanto, avendo iniziato da qualche tempo ricerche intorno
agli Ortotteri della fauna italiana, ho avuto occasione di rinve¬
nire, nelle raccolte fatte in Calabria, nell' Altopiano della Sila
(1500 m s.m.) le due forme europee di Chrysochraon , il dispar
e il brachypterus.
Il limite meridionale di diffusione in Europa viene ad essere
così di molto ampliato.
0 Brunner von Wattenwyl, C. — Prodromus der Europàischen Orthop -
teren. Leipzig, Engelmann, p. 97-99, 1882.
2) Chopard, L. — Orthoptères et Dermaptères. Paris, Le Chevalier, p. 143,
1922.
3) Mei, L. — Locustidi ed Acrididi del Cadore. Boll. Musei Zool. Anat.
Comp. Torino. Voi. t8, n. 457, 1903.
Probabilmente assidue ricerche nelle zone più elevate del-
l'Appennino vi faranno rinvenire anche le specie di cui ora se¬
gnalo resistenza in una delle regioni più meridionali di esso :
l'Altopiano silano.
Le specie del gen. Chrysochraon , Fisch. sono poi distribuite
in due zone geografiche distinte: una di vasta estensione, com¬
prendente il maggior numero di specie, l'altra, poco estesa, con
due specie soltanto fin'oggi note.
La prima comprende quasi tutta la regione paleartica, l'al¬
tra le regioni elevate della zona dei grandi laghi dell' Africa
orientale.
Tra le specie appartenenti alla prima delle suindicate re¬
gioni le due forme Chr. dispar , Germ. e Chr. brachyptems , Ocsk.
hanno la massima diffusione.
Nel Turkestan si riscontra però il Chr . clavatus , Ostr. {) che,
secondo lo stesso Ostroumoff potrebbe considerarsi come una
forma vicariante del Chr. dispar , Germ.
Della Siberia e della Russia settentrionale e il Chr. Pop piusi,
Miram. 1 2 3).
Pel Giappone sono note due specie: il Chr. japonicus , Bol. 3)
descritto però su di un solo esemplare e il Chr. genicularibus ,
Shiraki. 4 5).
Molto affine alle specie di Chrysochraon e la Podismopsis
Altaica , Zub. 5) propria dei Monti Aitai.
Nella regione paleartica si hanno così due forme speci¬
fiche occupanti il massimo dell'area di distribuzione geografica
e molte altre forme specifiche, distribuite in aree ristrette e de-
1) Ostroumoff, A. — Fine neue Art aus der Familie " Acridioidea „ Z.
Anz. Bd. 4, p. 597, 1881.
2 ) Miram, E. — Zur Orthopteren fauna Russlands. Helsingfors Ofvers F.
Vet. Soc. Voi. 49, p. 3, 1907.
3) Bolivar, I. — Contr. à Vétude des Acridiens, — Espèces de la Faune
indo et austro malaisienne du Museo Civico di St. Nat. di Genova. Ann.
Museo Civico Voi. 39, p. 82, 1898.
4) Shiraki, T. — Acridiiden Japans. Tokyo. 90 p., 2 Tav. 1910.
5) Zubowsky, N. — Beitràg zur Kenntniss der Sibirischen Acridiodeen.
Horae Societatis Entomologicae Rossicae. Tomo 34, p. 2, 1900.
— 198 —
limitate, spesso viventi insieme con quelle. Le prime sono da
considerarsi con tutta probabilità quali specie madri.
Il Chr. levipes , Karsch J) e il Chr. kilimandjaricus , Sjost. 2)
sono le due forme proprie della zona montuosa dell'Africa
orientale.
Le forme specifiche del genere sono distribuite disconti¬
nuamente, raggruppate in zone geograficamente separate, su di
un area di assai vasta estensione, comprendente circa tutto l'an¬
tico continente.
È questo ancora un caso, tra i molti già noti, che la teoria
dei centri di diffusione non riesce a spiegare sufficientemente e
che, viceversa, trova la sua perfetta interpretazione nella teoria
ologenetica sull'origine delle forme specifiche 3).
D'altra parte resistenza di forme specifiche d'uno stesso ge¬
nere in zone, sia pure separate, di una area vasta è sicuro indi¬
zio della antichità e primitività del genere stesso.
Tra i generi di Traxalinae (Locustidae) di larga diffusione
geografica, per altro, il gen. Chrysochraon mostra, nelle forme
specifiche che lo compongono, caratteri relativamente primitivi.
Finito di stampare il 20 settembre 1923.
9 Karsch, F. — Ne ne Orthopteren aus dem tropischeti A Jrika. Stettin
Ent. Zeit. Voi. 57, p. 255, 1897.
2) SjòSTEDT, Y. — Acridioidea. Sjòsteds Kilimandjaro - Meru Exp. Stockolm
p. 149-199, Tav. 7, 1908.
3) ROSA D. — Ologenesi. Firenze, Bemporad, 1919.
Documenti istologici per una ipotetica te
rapia degli epiteliomi cutanei.
Nota
del socio
Claudio Gargano
(Tornata del 31 dicembre 1922)
In una prima memoria sull'azione del radio sugli epiteliomi *)
[Gargano (l.°; 1922)] venni a conclusioni abbastanza diverse
da quelle comunemente accettate (Dominici e Rubens-Duval)
circa la regressione della cellula blastomatosa. Notai cioè, che se
pur si aveva in primo tempo istolisi dell'elemento neoplastico;
questa istolisi si verificava sempre con assenza di reazione leu¬
cocitaria e connettivale.
Secondo il risultato delle mie osservazioni 1' assenza della
reazione connettivale e la insufficiente fagocitosi erano i due
principali fattori, che portavano ad un arresto del processo di
guarigione. Constatai altresì che le radiazioni del radio avevano
uno scarso potere di attraversare gli strati epidermoidali rige¬
nerati in guisa che le cellule neoplastiche profonde, invece di
continuare a subire una ulteriore istolisi , ad un certo periodo
avevano un rigoglioso sviluppo, che era la causa del verificarsi
una nuova ulcerazione neoplastica. Infine potetti convincermi che
le cellule epiteliali neoplastiche, svoltesi durante il periodo, nel
quale il tessuto era sotto l' influenza delle radiazioni del radio,
sembravano essere ulteriormente poco influenzate dalle radia¬
zioni stesse.
l) 1922. Gargano, C. — 1. Azione del radio sugli epiteliomi: Boll. Soc.
Nat. Napoli, Voi. 34, p. 180.
— 200 —
Ed in una nota successiva *) a proposito di un epitelioma
del collo dell'utero, ottenni un reperto molto simile [Gargano
(2.°; 1922)], cioè in mezzo ad un tessuto neoplastico disgregato
per opera dei raggi del radio, si appalesavano integri dei nidi
cellulari, di cellule sferoidali o poliedriche, grandi, a contorni
bene definiti, con citoplasma reticolare e con grande nucleo
scarso di sostanza cromatica. Interpetrai la presenza di tali nidi
epiteliomatosi (floridi) come la causa di nuovi possibili ripro¬
duzioni del blastoma.
Partendo quindi dal concetto che l'assenza della reazione
connettivale e della reazione leucocitaria e la poca permeabilità
dei tessuti rigenerati alle radiazioni, fossero le cause che impe¬
dissero al radium di arrecare in taluni casi (?) la guarigione de¬
finitiva del tumore, era lecito pensare di associare alla radiumte¬
rapia altri sussidi terapeutici, che da un lato risvegliassero la
flogosi organizzante, e che dall'altro rendessero più permeabili
i tessuti rigenerati alle cerniate radiazioni , tanto più che, allo
stato attuale della scienza, solo le cure fisiche pare dieno da
sole od associate all'intervento chirurgico dei risultati brillanti.
Osservando al microscopio preparati di tumori epiteliali trat¬
tati con mezzi fisici si ha sempre un reperto identico per cia¬
scun mezzo fisico adoperato, reperto che è pertanto sostanzial¬
mente diverso a seconda l'agente terapeutico impiegato. Sem¬
bra quasi, che se all'associazione di tali cure, do¬
vesse istologicame n te verificarsi un insieme d'al¬
terazioni nel blastoma corrispondenti alla somma
delle alterazioni risvegliate da ciascuno degli
agenti fisici adoperati, forse il problema della
cura del cancro potrebbe dirsi, se non risoluto ^
per lo meno incamminato verso la risoluzione.
Ho rivolto le mie indagini ad epiteliomi malpighiani trattati
con radium , con la folgorazione e con la iperemia venosa
alla Bier.
l) 1922. Gargano, C. — 2. Sulla presenza di nidi cellulari epiteliali non
Jluenzati dal radio nel cancro uterino : Pathologica Genova, Voi. 14, N. 335.
201
Radiumterapia. — Epitelioma malpighiano; biopsia ese¬
guita dopo 30 giorni da un' applicazione globale di radium.
Fig. 1. — Epitelioma malpighiano della regione temporo-massaterina. Biopsia eseguita pri-
2
ma della radiumterapia. Colorazione : Ematossilina ferrica. Zeiss .
Le alterazioni indotte nelle cellule neoplastiche epiteliali so¬
no complesse, e, pur essendo difficile schematizzarle, si susse¬
guono con una relativa regolarità. Esse (figg. 2 e 3) sono talvolta
esclusivamente citoplasmatiche, tal altra nucleari, e spesso interes¬
sano sia il citoplasma che il nucleo deH'elemento. Nello stroma
connettivale del neoplasma si hanno lesioni abbastanza trascurabili.
Una delle alterazioni molto comuni è quella, che chiamo
sinciziale, nella quale le cellule perdono i contorni, il cito-
plasma diviene omogeneo e si fonde con quello delle cellule vi¬
cine, nel mentre che i nuclei si mantengono integri nella loro
forma e nelle loro reazioni cromatiche. Talvolta nelle masse sin¬
ciziali i nuclei sono forniti di aloni chiari perinucleari; tal' altra
invece del sincizio il citoplasma subisce un ispessimento alla pe¬
riferia deH'elemento, da simulare una capsula, nella quale il ci-
Fig. 2. — Epitelioma malpighiano sottoposto a radiumterapia. Distruzione progressiva della
cellula neoplastica epiteliomatosa senza concomitante neoproduzione connettivale ed infil¬
trazione leucocitaria. Graduale distruzione di una perla epiteliale. Colorazione: Ematos-
silina ferrica. Zeiss .
toplasma va incontro prima ad un processo di chiarificazione e
poi d’istolisi. Restano allora liberi i nuclei, in queste cellule ri¬
dotte alla sola parete cellulare, che, quando si rompe, porta alla
— 203 —
genesi di cavità di degenerazione ed alla messa in libertà dei
nuclei, ai quali spesso si mantengono aderenti dei frustoli di
Fig. 3. — Epitelioma malpighiano sottoposto a radiumterapia. Distruzione progressiva della
cellula neoplastica epiteliomatosa senza concomitante neoproduzione connettivale ed infil-
3
trazione leucocitaria. Colorazione : Ematossilina ferrica. Zeiss ,
protoplasma, nuclei che alla loro volta degenerano per un pro¬
cesso di lisi, o per un processo picnotico. Il processo picnotico
dà origine a numerosi granuli, a blocchi di sostanza cromatofila,
che per un certo tempo mantengono integre le loro reazioni
cromatiche.
In altre zone (dove evidentemente il processo di degradazione
della cellula neoplastica è più avanzato) si constatano dei pezzi
— 204 —
di tessuto amorfo, dove non è possibile, anche con forti ingran¬
dimenti, riconoscere una struttura citoplasmatica: essi si colorano
leggermente in rosa con l'eosina.
Le cavità di degenerazione sono numerose ed hanno forma
varia. Il connettivo subisce pure una fase di spezzettamento senza
una contemporanea reazione fibroblastica e senza una infiltra¬
zione leucocitaria.
Folgorazione. — Epitelioma malpighiano; biopsia ese¬
guita quindici giorni dopo una seduta di scintille d’alta frequenza.
Il reperto istologico in questo caso è molto dissimile da
quello innanzi accennato. Alla superficie, là dove le scintille hanno
agito più intensamente il tessuto blastomatoso è completamente
Fig. 4. — Epitelioma malpighiano sottoposto a folgorazione (superficie). Distruzione com¬
pleta della cellula neoplastica epiteliomatosa e concomitante neoformazione connettivale.
3
Colorazione: Emallume - eosina. Zeiss
AA
distrutto (fig. 4) e sostituito da un connettivo giovane di nuova
formazione. I fasci connettivali costituenti questo tessuto si intrec¬
ciano in modo vario, lasciando in molti punti apparire delle cavità.
— 205 —
Sia nelle cavità, che nei fasci connettivali si hanno numerosi in¬
farti emorragici. Sembra evidente che i fasci connettivali in parola,
per l'aspetto morfologico degli elementi, debbano interpetrarsi
Fig. 5. — Epitelioma malpighiano sottoposto a folgorazione (parte profonda). Tessuto con¬
nettivo neoformato con residuali noduli epiteliomatosi floridi. Colorazione : Emallume -
eosina. Zeiss .
AA
come un connettivo giovine, originatosi dai linfociti e dalle cel¬
lule mobili del connettivo interstiziale del blastoma.
Alla profondità (fig. 5) la disposizione del connettivo neofor¬
mato è quasi identica a quella della superficie: si ha solo come dif¬
ferenza, che i fasci congiuntivi di tratto in tratto circoscrivono
delle isole, nelle quali si trovano delle cellule blastomatose
epiteliali.
Gli elementi neoplastici sembrano apparentemente molto al¬
terati, ma ad un esame più profondo si nota che l'alterazione
riguarda più che il nucleo, il citoplasma: il citoplasma infatti non
ha più la sua spiccata acidofilia; sono spariti i limiti fra cellula
e cellula e sono apparse numerose granulazioni citoplasmatiche
cromatofile. Spesso si hanno anche spezzettamenti protopla¬
smatici. I nuclei, in tanta degradazione cellulare, sono normali
— 206 —
Fig. 6. — Epitelioma malpighiano sottoposto ad iperemia venosa alla Bier. Notevole infiltra-
zione leucocitaria e parvicellulare. Zeiss .
vo riguardanti gli zaffi epiteliomatosi ; le alterazioni interessano
soltanto lo stroma del neoplasma, si ha cioè dilatazione vasale;
principalmente dei vasi venosi, stasi sanguigna e cospicua dia-
pedesi attraverso le pareti di essi. Nei connettivo, circondante
gli zaffi epiteliali, è notevole la infiltrazione parvicellulare. Rias¬
sumendo si hanno tutte le note di una flogosi cronica.
Tenendo presente il reperto istologico di questi tre processi
terapeutici, apparirebbe, da un punto di vista del tut¬
to dottrinale, che essi possano in t egra r s i, dando
la completa regressione della cellula blastoma-
per forma, per reazionitintoriali e per dispa vizi rie della cro¬
matina.
Iperemia venosa. — Epitelioma malpighiano; 'biopsia
eseguita quattro giorni dopo una seduta di iperemia venosa della
durata di due ore.
All'esame istologico (fig. 6) non si hanno lesioni degne di rilie-
— 207 —
tosa epiteliale. Volendo pertanto dal campo teorico passare
a quello pratico, sarebbe forse opportuno iniziare la terapia con
la folgorazione, far seguire le irradiazioni globali del radio, e
completare la cura con la iperemia venosa, associando anche dei
razionali interventi chirurgici 1).
Clinica chirurgica della R. Università di Napoli.
Finito di stampare il 20 settembre 1923.
h Avendo comunicato le mie osservazioni all’ Istituto Italiano del Radio,
il Direttore della Sede di Napoli, D. Alfredo Moscatello, plaudendo a tale ini¬
ziativa, istituirà esperimenti di cure di epiteliomi con i cennati metodi fisici.
Alterazioni indotte dal radio sulla tiroide
normale.
Memoria
del socio
Claudio Gargano
(Tornata dell' 8 luglio 1923)
In poco più di un ventennio (1898) dalla scoperta del ra¬
dio, si è avuta una intera letteratura sulle azioni indotte dalle
radiazioni di questo metallo, in ispecie sui tessuti blastomatosi.
E per vero ai grandi entusiasmi dei primi assertori della nuova
terapia fisica sono seguiti degli sconforti ingiustificati, in guisa
che il medico, avendo anche minore fiducia negli esperimenti
sieroterapici, affida spesso i propri ammalati al radiumterapista,
quando essi non possono trovare conforto nemmeno in un ra¬
zionale intervento chirurgico !...
Per ragioni ovvie dell’alto prezzo dei minerali della famiglia
del radio, una piccola scorta di essi si trova confinata in Labo¬
ratori di fisica ed in istituti commerciali per la cura di affezioni
patologiche (specialmente tumori maligni): qualche Clinica ne ha
piccolissime dosi; e, che io mi sappia, solo rarissimi Istituti di
Biologia generale ne sono forniti.
Una tale distribuzione geografica di un così prezioso agen¬
te, per necessità di cose, deve portare come conseguenza, che
le pubblicazioni suH'argomento risentino la deficienza iniziale
del metodo: infatti i fisici poco si danno pensiero di ciò che i
biologi credono poter ricavare dall'azione del radio sull’orga-
nismo, e gli istituti specializzati non sono forniti dei mezzi e del
personale atti ad integrare un così difficile genere di ricerche.
Tutti gli sperimentatori, accettando come dogma di fede,
— 209 —
i risultati enunciati da Wassermann, che cioè i tessuti ricchi di
elementi in riproduzione sieno quelli più influenzati dalle radia¬
zioni del radio, e che razione principale si risolva nell'annulla-
mento o nella diminuzione della facoltà riproduttiva, si sono
creduti autorizzati ad applicare il metodo fisico in parola ai tes¬
suti blastomatosi, le cui cellule effettivamente mostrano più dei
tessuti normali molto accentuato il potere riproduttivo.
E si sono avuti così gli interessanti studi di Dominici, di
Rubens-Duval, Barcat, ecc. sul modo di regressione della
cellula neoplastica e quelli non meno interessanti di Ulesko-
Stroganov e di Letulle sulla “ necrosi fibrinoide,, indotta nei
vasi sanguigni ; ma purtroppo poche sono le ricerche del tipo
di quelle istituite da Tchahotine sul meccanismo di azione dei
raggi ultravioletti.
Gli esperimenti di Bauer tenderebbero a scuotere la fié
ducia cieca, che si debba riporre nei postulati di Heinaz, di
Wassermann, di Krause e di Heineche ; infatti uova fe¬
condate di Bufo viridis e di Trifori alpestris , sottoposte
alle radiazioni del radio non hanno dimostrato un evidente ri¬
tardo nel loro sviluppo, pur dovendosi ammettere che un uovo
fecondato rappresenti una cellula o un insieme cellulare, che
goda di attiva facoltà riproduttiva!.. Nè al certo le ricerche di
Kolde e Martens e quelle di Pappenheim e Plensch arrecano
un notevole contributo all'argomento: questi AA., ripetendo la
tecnica di Wertheim, di Schulzer, di Bichel, di Brill, di
Zehner e di Weinbreuner hanno compiuto osservazioni sul
comportamento del sangue col mesotorio in inferme portatrici
di cancro dell'utero. Si avrebbe nei primi giorni, dall'applica¬
zione delle radiazioni del mesotorio, diminuzione nel numero
degli eritrociti e diminuzione nel tasso emoglobinico, però questo
sarebbe un fatto transitorio, giacché al quarto giorno si verifi¬
cherebbe un ritorno al normale. Per quanto riguarda i globuli
bianchi il reperto è inconstante. Associati alle alterazioni ema¬
tiche si avrebbero del pari disturbi generali, caratterizzati da
febbre, stanchezza generale, nausea, anoressia, di una durata
maggiore di quelli ematici (due o tre settimane).
Per gli AA. una simile sindrome fenomenica si interpreta
ammettendo, che la cellula sottoposta alle irradiazioni del me-
— 210 —
sotorio, perdendo la sua facoltà riproduttiva, andrebbe incontro
a fenomeni degenerativi citoplasmatici e nucleari, il cui epilogo
sarebbe lo sviluppo di colina dalla lecitina del nucleo, co¬
lina, che è una sostanza velenosa del citoplasma.
Notevoli studi sull'azione della colina sono quelli di
Franck, per il quale la colina esercita una [influenza elettiva sui
nervi autonomi, così come l'adrenalina la esercita sui simpatici,
in guisa che i nervi simpatici sarebbero antagonisti dei nervi
autonomi nel ricambio dello zucchero. Con l'iniezione nelle vene
di colina ed adrenalina, l'A. non ha constatato influenza della
colina sulla glicosuria adrenalinica, non esistendo nel fegato nervi
autonomi antagonisti.
Preparati radioattivi inducono alterazioni circolatorie ed
ematologiche somministrati altresì per la via ipodermica, infatti
le iniezioni di torio X nel coniglio influenzano sinistramente le
pareti vasali, in ispecie quelle dei polmoni e del fegato, appa¬
rendo il torio X un veleno elettivo degli endoteli : il che sa¬
rebbe pure confermato dalle ricerche di Salle e Domarus, che
avrebbero riscontrato in pari tempo nei primissimi periodi della
somministrazione un aumento delle sostanze cromaffini, ma non
della funzione adrenalinica, e del tutto recentemente trovereb¬
bero conforto negli esperimenti di Hausmann, che iti vitro
avrebbe perfino ottenuto emulsioni di eritrociti sospesi in pia¬
stre di agar, se esposti alle radiazioni di radium per la durata
di 24-36 ore.
Il meccanismo di azione del torio X (Mello) non potrebbe
essere paragonabile a quello indotto dai raggi Roentgen: il
torio X eserciterebbe una minima azione sul tessuto linfoide,
mentre il mieloide sarebbe alterato precocemente ed intensa¬
mente. Di opinione invece contraria sarebbe Glaubermann,
che con l'iniezione nel coniglio di siero omologo sottoposto alle
radiazioni X avrebbe ottenuto una leucocitosi transitoria ed una
leucopenia, che raggiunge il suo acme dopo due ore.
Come si è accennato, non pare possano le ricerche sull'a¬
zione del radio e dei preparati radioattivi sul ricambio materiale
o sui tessuti normali, portare a delle conclusioni certe o gene¬
ralmente ammesse ; sembrerebbe che le radiazioni in parola non
cagionino che dei disturbi o delle alterazioni transitorie e che
l'organismo dopo pochi giorni ritorni al suo normale equilibrio.
Invece sui tessuti patologici e specialmente in quelli bia¬
simatosi, il meccanismo di azione è più conosciuto o meglio
determinato, infatti volendo attingere alla classica memoria di
Dominici pare assodato che “ l'azione delle radiazioni sia doppia:
distruttiva rispetto ad alcuni elementi ed evolutiva rispetto ad
altri : la distruzione delle cellule neoplastiche è diretta o indi¬
retta, la diretta consiste nella istolisi di queste cellule senza mo¬
dificazioni istologiche precedenti, la indiretta è preceduta dai
fenomeni seguenti: 1° ipertrofia del corpo e del nucleo ; 2° gem¬
mazione del nucleo; 3° tendenza alla formazione di corpi pseu¬
doparassitari, il cui volume è più grande di quello che si ri¬
scontrano nei tumori non irradiati ; 4° in alcuni epiteliomi
malpighiani, trasformazione cornea del protoplasma cellulare.
L'azione evolutiva che apparisce di già, sebbene anormale
e seguita da istolisi, nel fenomeno della distruzione indiretta,
interviene solo nella trasformazione di alcuni altri elementi meno
avanzati nella loro evoluzione neoplastica: essa si esprime con
regolazione dell'evoluzione topografica e morfologica delle cel¬
lule epiteliomatose.
La regolazione dell'evoluzione topografica si traduce con lo
sparire la disorientazione cellulare di Fabre-Domergue : le cel¬
lule epiteliali cessano di migrare nella profondità dei tessuti per
obbedire all'exotropismo regolare, che le dirige verso la super¬
ficie del corpo. La regolazione dell'evoluzione morfologica si fa
in due maniere: nel caso di epitelioma embrionario puro le cel¬
lule si moltiplicano mentre gli elementi indifferenziati ripassano
allo stato di cellule cornee secondo il modo regolare: nel caso
in cui l’epitelioma è atipico, una parte delle cellule deformate
dal processo del tumóre, ritornano allo stato embrionario puro,
poi subiscono ulteriormente la trasformazione cornea.
E il citato A. aggiunge “ a queste influenze istolitiche o
regolatrici sopra gli elementi epiteliomatosi, si aggiunge la sti¬
molazione del tessuto connettivo sano, che, incitato.... a riprendere
lo stato embrionario, colma rapidamente i vuoti lasciati dal tumore
scomparso ed assicura una riparazione rapida e perfetta „.
Le osservazioni di radiumterapia di epitelioma da me [Gar-
— 212 —
qano (1922, 1° e 2°, 1923)] l) eseguite nella Clinica chirurgica
della R. Università di Napoli, tenderebbero a dimostrare, che
per lo meno l'assolutissimo enunciato da Dominici sia esagerato,
non ottenendosi in nessuno dei casi osservati, con la distruzione
della cellula blastomatosa epiteliale, lo sviluppo di tessuto con¬
nettivo cicatriziale.
Si è notato, con numerose biopsie, eseguite prima e du¬
rante tale terapia che la regressione della cellula blastomatosa
è complessa e non è riportabile ad unico tipo d'istolisi ed è
certamente dissimile da ciò che nei trattati è riportato. Le mag¬
giori alterazioni si verificano nei primi giorni della cura, giac¬
ché col rigenerarsi sull'ulcera neoplastica, degli strati epider-
moidali, gli eventuali nidi epiteliali sottostanti non sembra sieno
più influenzati dalle radiazioni stesse, e divengono il punto di
partenza di nuovi zaffi epiteliali, di una recidiva del neoplasma.
Con lo svolgersi poi delle nuove masse blastomatose la cute ri¬
formata si ulcera.
Durante il processo istolitico della cellula epiteliomatosa non
si verifica una reazione leucocitaria, nè connettivale.
L'assenza della reazione connettivale e la insufficiente fa¬
gocitosi sono, stando ai reperti avuti, i due principali fattori,
che portano ad un arresto nel processo di guarigione. Le ra¬
diazioni del radio pare poi, che abbiano uno scarso potere di
attraversare gli strati epidermoidali rigenerati, in guisa che le
cellule neoplastiche profonde, invece di continuare a subire una
ulteriore istolisi, ad un certo periodo hanno un rigoglioso svi¬
luppo. E così si spiegherebbe perchè la cute rigenerata finisca
per cadere in necrosi, e perchè si abbia di nuovo una ulcera¬
zione neoplastica. Le cellule epiteliali neoplastiche, che si sono
andate svolgendo durante il periodo nel quale il tessuto è sotto
l'influenza delle radiazioni del radio, sembra sieno poco influen¬
zate dalle radiazioni stesse.
*) 1922. — Gargano, C. 1. Azione del radio sugli epiteliomi'. Boll. Soc.
Nat. Napoli, Voi. 34, p. 180-181.
1922. — — 2. Sulla presenza di nidi cellulari epiteliali non influenzati
dal radio uel cancro uterino: Pathologica, Genova, Voi. 14, N. 335.
1923. - — Documenti istologici per una ipotetica terapia degli epite¬
liomi cutanei: Giorn. Ital. Mal. Ven. Milano, N. 3.
— 213 —
r
Ricerche personali.
Profittando della liberalità dell'Istituto italiano del Radio, ho
potuto istituire delle ricerche sull'influenza esercitata dalle radia¬
zioni del radio sul tessuto tiroideo normale, servendomi come
animali di esperimento di cani.
La tiroide, fra le glandole endocrine è la più notevole, sia
per il suo peso maggiore, sia per la grande sfera di azione, in
guisa che non può sfuggire come un tale genere di indagini
chiarisca non poco la fisiologia e la patologia di essa. La tiroide è
rivestita da una capsula fibrosa, fornitale dall'aponevrosi cervicale
media, che invia nel suo interno dei setti, che la dividono in lobi e
lobuli, nei quali sono contenute le vescicole tiroidee, che sono
di grandezza variabile ed in vario stato di evoluzione. In questo
stroma connettivale si trovano anche degli accumuli di tessuto
linfoide, ai quali si è dato grande importanza in non poche for¬
me morbose.
Una vescicola tiroidea risulta fondamentalmente costituita da
un unico strato epiteliale di piccole cellule cubiche, fornite di
un grosso nucleo sferoidale, cellule che si trovano a contatto con
la loro base con ampi capillari sanguigni, laddove il polo del-
l'elemento, che guarda il lume della vescicola, è invece in con¬
tatto con la sostanza colloidea.
La presenza nelle cellule tiroidee di una serie di granula¬
zioni speciali ha fatto ritenere agli AA. che vi fosse una varietà
funzionale perfino fra i vari elementi costituenti una determinata
vescicola, il che pare non possa ammettersi essendo più proba¬
bile pensare che la cellula tiroidea presenti granulazioni diverse
secondo il suo stato di funzioni o secondo determinati stati fi¬
siologici o patologici dell'intera glandola.
Le granulazioni che fanno assumere alla cellula tiroidea un
aspetto diverso, possono essere di varia natura e cioè granula¬
zioni fuxinofile, granulazioni colloidi e granulazioni lipoidi. Le
prime (le fuxinofile) sono granuli sottili colorabili intensamente
con i colori acidi e che hanno una spiccata affinità per la fuxina
acida: le granulazioni colloidi appaiono come delle gocciolette
diffuse nel citoplasma, ed hanno la medesima colorazione della
— 214 —
sostanza colloide, che riempie il lume della vescicola; le granu¬
lazioni lipoidi infine, dette anche sudanofile, presentansi come
granuli sottilissimi molto rifrangenti, che nelle fissazioni osmiche
si tingono intensamente in nero ed in rosso nelle colorazioni al
Sudan III. Anzi sembra che tali granuli manchino (?) nelle tiroidi
fetali, per aumentare gradatamente, allorché la glandola diviene
più adulta, mostrandosi poi abbondantissime nella vecchiaia.
Alcune cellule sarebbero fornite di citoplasma chiaro, sbia¬
dito, e privo di qualsiasi genere di granulazioni. Nel citoplasma
infine di tutti gli elementi tiroidei è stato descritto un ergasto-
plasma con mitocondri.
Da ricerche molto accurate di microchimica sembrerebbe
dimostrato che i granuli fuxinofili e quelli lipoidi nulla abbiamo
a che fare con la secrezione colloide, che è una sostanza spe¬
ciale, che elaborata dalle cellule tiroidee, si accumula nel lume
deir acino, sostanza amorfa, omogenea, insolubile in acqua, in
alcool ed in etere e poco solubile negli acidi deboli.
Tale sostanza, oltre a mostrare talvolta una morfologia varia,
assume, in determinati momenti, colorazioni anche varie, colo¬
razioni che naturalmente corrisponder debbono ad una com¬
posizione chimica differente, e così, oltre la colloide normale, si
ha una colloide cromofila, una colloide sudanofila, una colloide
con granuli sudanofili, ecc.
Spesso neirinterno delle vescicole tiroidee, frammiste alla
sostanza colloide si rinvengono cellule epiteliali tiroidee libere,
alcune normali per morfologia, altre variamente alterate. Sebbene
tale desquamazione sia un fatto fisiologico, pure si è voluto dagli
autori ritenerlo come esponente di iperattività della glandola, co¬
me nel morbo di Basedow.
Acini tiroidei, a tipo fetale, si trovano anche in tiroidi
adulte fra le vescicole secernenti la sostanza colloide: le cellule
costituenti queste vescicole tiroidee fetali, sono cilindriche, al¬
lungate e, pur non secernendo sostanza colloide, possono pre¬
sentare nel loro citoplasma, le medesime granulazioni fuxinofile
e lipoidi delle vescicole tiroidee adulte.
La presenza più o meno cospicua di sostanza colloide, non
deve essere interpetrata come sicuro segno di iperattività o di ipoat¬
tività tiroidea, giacché vi sono stati di iperattività tiroidea con
— 215 —
relativa insufficienza di sostanza colloide, e stati invece di ipo¬
attività con abbondante copia di sostanza colloide. Anche vo¬
lendo stare nel puro campo morfologico, si può dire che si sia
di fronte ad uno stato di ipofunzione quando, pur essendo ab¬
bondante la colloide, le cellule della vescicola tiroidea si mo¬
strino appiattite, alterate ed atrofizzate.
Molto opportunamente Pende fa osservare 11 che non è l'ac¬
cumulo di secreto dentro le vescicole tiroidee il fatto più im¬
portante agli scopi fisiologici, ma la misura in cui avviene la
mobilizzazione del secreto medesimo ed il suo passaggio in cir¬
colo, e questa mobilizzazione può essere ostacolata in condizioni
fisiologiche o patologiche speciali, cosicché il secreto può non
essere utilizzato dall'organismo, ristagnando, distendendo le pa¬
reti vescicolari, atrofizzando l'epitelio delle pareti stesse, e su¬
bendo modificazioni fisico-chimiche, come qualsiasi secreto rista¬
gnante a lungo nei dotti glandolai „.
Al certo non si può non tenere in considerazione il fatto
che l'unica glandola endocrina, che possegga nell'interno degli
acini un secreto, sia proprio la glandola tiroide con la sua so¬
stanza colloide, per il che non è lecito escludere che questa so¬
stanza abbia bisogno di metabolizzarsi e di attivarsi con gli al¬
tri secreti glandolari prima di andare in circolazione. La vita fe¬
tale ed alcuni stati patologici, nei quali manca la colloide, possono
confermare tale veduta, perchè in questi casi si continuano a ri¬
scontrare nell'epitelio tiroideo le granulazioni fuxinofile e le gra¬
nulazioni lipoidi.
Si è adoperato sia il metodo delle radiazioni globali del
radio (raggi a, (3 e y), che quello ultrapenetrante di Dominici,
tenendo gli apparecchi radiferi applicati sul collo del cane legato
su di un tavolo operatorio. Ogni applicazione è stata di 5-6 ore,
applicazioni che si sono ripetute settimanalmente. La tiroide nel
primo cane è stata asportata dopo un mese dalla prima appli¬
cazione e nel secondo dopo due mesi.
La glandola in parola , divisa a pezzi , si è variamente fis¬
sata, per eseguire le varie colorazioni consigliate allo scopo di
mettere in evidenza le numerose granulazioni e formazioni cito¬
plasmatiche delle cellule tiroidee.
— 216 —
Quello che colpisce ad un piccolo ingrandimento, parago¬
nando il preparato con uno di tiroide normale, ugualmente fis¬
sato e colorato, si è la riduzione globale del tessuto tiroideo,
fenomeno che nel secondo cane appare più evidente : la ridu¬
zione interessa il tessuto connettivo interstiziale, le vescicole ti¬
roidee e gli accumuli linfatici intervescicolari.
Lo stroma connettivale della glandola è infatti quasi com¬
pletamente distrutto, non residuando che pochi e rari fascetti
Fig. 1. — Tiroide di cane dopo un mese dall’irradiazione di radio. Distruzione del paren-
3
chima glandolare tiroideo. Colorazione: Emallume - eosina. Zeiss
congiuntivi, che solo in alcuni punti dividono gli acini tiroidei
meno alterati dalle radiazioni del radio : non si ha mai neopro¬
duzione di elementi nuovi formati, nè infiltrazione parvicellulare.
La distruzione congiuntiva associata alla distruzione del paren¬
chima glandolare non è il momento etiologico e patogenetico di
una reazione infiammatoria. Degli accumuli linfoidi (normalmente
siti in questo stroma) non se ne trovano che dei reliquati,
avendo il processo di degradazione interessato altresì le forma¬
zioni in parola, inducendo la loro graduale distruzione.
Le maggiori lesioni sono pertanto quelle del tessuto tiroideo.
— 217
Nelle sezioni microtomiche, le vescicole tiroidee (fig. 1) non appa¬
iono più circolari, sono spezzettate, e, per usura di pareti limitrofe,
si originano cavità multiple di degenerazione, nelle quali, oltre
blocchi di sostanza colloide, si trovano frammenti cellulari.
La cellula tiroidea va incontro ad alterazioni sia della mor¬
fologia, che della struttura, alterazioni che debbono evidente¬
mente indurre cambiamenti nella complessa funzione della glan¬
dola. Pur mantenendo un aspetto cubico, non sono distinguibili
i limiti fra cellula e cellula: l’elemento è impiccolito nella sua
totalità. Forme multiple di picnosi nucleare e di nucleolisi.
Fig. 2. — Tiroide di cane dopo un mese dell’ irradiazione di radio. Si nota con la colo¬
razione all’ematossilina ferrica, che il radio oltre a distruggere il tessuto tiroideo
3
induce anche dei cambiamenti chimici nella secrezione colloide. Zeiss
AA
Le varie reazioni cromatiche permettono di stabilire che il
citoplasma di queste cellule, perdendo il condrioma e le caratte¬
ristiche granulazioni fuxinofile, lipoidi e colloidi, appaia omo¬
geneo. Nelle vescicole meglio conservate le anzidette formazioni
citoplasmatiche sono ancora evidenti. In quanto poi alla sostanza
colloide, essa è a forma di blocchi, ha struttura amorfa, e, nelle
colorazioni airemallume-eosina, prende intensamente il rosso del-
— 218 —
l'eosina. La tinzione all'ematossilina ferrica di Heidenhain (fig. 2)
invece dimostra che la colloide in questo stato, risponde a due
reazioni chimiche differenti, che evidentemente corrisponder
debbono o a fasi diverse dell'evoluzione di una medesima so¬
stanza o a sostanze chimiche diverse: alcuni blocchi si colorano
in giallo scuro, altri in nero intenso.
Credo che il nero intenso sia la fase ultima dell'evoluzione
della colloide tiroidea degenerata, perchè in tal guisa e dovunque
appare così colorata nella tiroide del 2° cane, nella quale sono
più avanzati i processi degenerativi. La colloide è infatti retratta
e non riempie mai la vescicola tiroidea, laddove nella tiroide
normale di animali del medesimo peso e della stessa età, con
fissazione e colorazione identica, non si ha il reperto innanzi
accennato.
Non può sorgere il dubbio che l'assenza completa in molte
vescicole tiroidee di sostanza colloide sia da interpetrarsi come
dovuta ad aderenza alla sezione precedente o seguente, per il
fatto, che con sezioni microtomiche in serie, individuando bene
il punto del preparato, si ha la prova incontrovertibile dell'as¬
serto. Nei blocchi colloidei non si appalesano granulazioni fu-
xitiofile, sudanofile, ecc.
Nelle cellule nelle quali le alterazioni degenerative del nu¬
cleo sono cospicue, colorando il preparato con rosso neutro, il
citoplasma si tinge in giallo arancio, o in rosso che vira al giallo
arancio, ciò è dovuto allo sviluppo di colina per trasformazione
dei lecitidi del nucleo : infatti trattando cellule tiroidee normali
con soluzione di colina e colorandole successivamente con rosso
neutro, si verifica la medesima colorazione. Allo sviluppo di
colina, che è un veleno citoplasmatico, si debbono addebitare
tutte le degenerazioni del citoplasma della cellula tiroidea in¬
fluenzata dal radio.
Le irradiazioni protratte di radio inducono poi lesioni di
maggiore rilievo, le quali si appalesano nella distruzione completa
della cellula tiroidea (fig. 3), ed, a similitudine di quanto è stato
da me osservato negli epiteliomi sottoposti alla curieterapia,
restano ancora dei nuclei liberi abbastanza bene conservati, con
brandelli citoplasmatici aderenti ad essi. I blocchi di sostanza
colloide sono sempre e tutti colorati intensamente in nero dal-
— 219 -
l'ematossilina ferrica. Il trattamento al rosso neutro, dà, nelle
cellule ancora esistenti, la colorazione giallo arancio dovuta allo
sviluppo di colina.
Dai reperti ottenuti, che sembrano integrarsi, non è agevole
in modo assoluto chiarire quali sieno i cambiamenti funzionali
della glandola tiroide irradiata dal radio : sebbene anche la sem¬
plice morfologia delle vescicole tiroidee e della sostanza colloide
in esse contenuta faccia propendere per una ipofunzione glan¬
dolare.
Gli animali, in specie il secondo, presentavano dei segni di
Fig. 3. — Tiroide di cane dopo due mesi dell’ irradiazione di radio. Il processo di distru¬
zione degli elementi tiroidei è già avanzato. Assenza di reazione connettivale e
g
leucocitaria. Colorazione : Ematossilina ferrica. Zeiss
marasma prima di essere sacrificati, e non è improbabile che
questi fossero in rapporto all'alterata funzione del maggiore ap¬
parecchio endocrino dell'organismo.
Per quanto riguarda la morfologia delle alterazioni tiroidee,
si può dire, che, con la distruzione dell'elemento glandolare e
dello stroma congiuntivo, non si abbiano concomitanti processi
— 220 —
di neoproduzione connettivale nè di leucocitosi : alla distruzione
graduale della glandola, non si sostituisce un tessuto connettivo,
che assolver possa la fase cicatriziale.
Clinica Chirurgica della R. Università di Napoli.
Finito di stampare il 20 settembre 1923.
Considerazioni sulla morfologia delle cel¬
lule coltivate in vitro rispetto a quella
di elementi normalmente liberi in tessuti
patologici.
Memoria
del socio
Claudio Gargano
(Tornata dell’ 8 luglio 1923)
Nella Clinica chirurgica della R. Università di Napoli ho
quest’ anno compiuto numerosi esperimenti di coltivazioni in vi¬
tro di tessuti, servendomi come materiale di insemensamento di
tessuti umani normali e patologici, e di tessuti di animali vari.
Per i tessuti embrionali (secondo la tecnica comunemente ac¬
cettata) ho prelevato brandelli di embrioni di pollo dal 5° al 6°
giorno.
Senza volere entrare in dettagli di tecnica, ciò che a me im¬
porta di dimostrare si è che le culture si sono verificate esclu¬
sivamente nei mezzi al plasma, e che fra questi mezzi al plasma,
gli autoplasmi si sono appalesati i più commendevoli rispetto
agli omoplasmi ed agli eteroplasmi, avvertendo altresì che non è
sempre possibile servirsi degli autoplasmi, come è il caso per i
tessuti embrionali di pollo.
I mezzi minerali, (liquido di Ringer originale e modificato
con T addizione di urea, liquido di Locke ugualmente originale
od addizionato ad urea, ecc.) sono apparsi dei buoni liquidi con¬
servativi e spesso necessari per le varie manipolazioni alle quali
il pezzo da insemensare deve andare incontro prima che sia im¬
merso nei terreni al plasma.
I tessuti blastomatosi, sebbene, da un punto di vista teore-
— 222
fico, sembrassero un eccellente materiale per la coltivazione in
vitro , pure nella pratica non hanno dato quei risultati, che si
sarebbe sperato; questo processo di fisio-patologia sperimentale
non ha quindi per nulla chiarito i grandi problemi, che si agitano
sulla etiologia e sullo sviluppo della cellula neoplastica.
1 tessuti embrionali poi , che, per il loro rapido accresci¬
mento sembra forniscano dati importanti per risolvere leggi di
biologia generale, si sono anche essi dimostrati un mediocre
materiale per il fatto, che se l'embrione è già in avanzato grado
di sviluppo, allora i risultati sono su per giù identici a quelli
dei tessuti adulti: se inyece i brandelli provengono da embrioni
nelle prime giornate dello sviluppo, allora non è facile assodare
la natura delle cellule insemensate e gli AA. con un termine vago
parlano impropriamente di cellule mesenchimali (!)
Quale che sia il tipo animale , che ha fornito il pezzo da
coltivare, quale che sia lo stato di sviluppo del tessuto in pa¬
rola, se cioè provenga da un organo adulto od embrionale, i ri¬
sultati sono abbastanza identici: si hanno nel centro del pezzo
una serie di strati cellulari , che, per necessità imprescindibili
dell' habitat , sono poco nutriti, strati che formano la cosidetta
zona asfittica, la quale andrà incontro fatalmente a processi
degenerativi. Seguono poi all' esterno pochi strati cellulari su¬
perficiali, i quali si trovano nelle condizioni più floride per pro¬
liferare, perchè nutriti meglio dal plasma: questi strati costitui¬
scono la zona fertile; dalla zona fertile gli elementi debbono
distaccarsi per disporsi sulla superficie del plasma, debbono
cioè invadere il plasma. Il distacco delle cellule dalla
zona fertile è evidente che avvenga per condizioni peculiari ine¬
renti all' habitat , le quali esplicar si debbono in processi enzi¬
matici, che inducano una dissociazione degli elementi fra loro.
Le azioni enzimatiche dissociative sono da paragonarsi a
quelle descritte da Bottazzi con la sottrazione del calcio sulle
cellule epiteliali. Orbene gli elementi così dissociati, così distac¬
cati dalla zona fertile, per un processo di divisione indiretta, o
di divisione diretta, finiscono per moltiplicarsi e per allontanarsi
sempre più sul mezzo nutritivo : la facoltà di distacco e di inva¬
sione degli elementi anzidetti ha fatto dare a questa zona il nome
di zona di invasione.
— 223 —
I vari sistemi consigliati per eliminare dal mezzo nutritivo
i prodotti metabolici e catabolici delle cellule ivi proliferate, co¬
stituiscono il tipo di culture secondarie, terziarie, ecc. La forma
pertanto degli elementi nelle culture primarie, nelle culture se¬
condarie, nelle terziarie, ecc., non è gran fatto dissimile: le cel¬
lule coltivate in vitro hanno una morfologia abba¬
stanza simile, quale che sia l'animale che le ha
fornito e quale che sia il pezzo di organo in se¬
me n s a t o . Si ha cioè lo sviluppo di cellule più
o meno appiattite con citoplasma granuloso ed
un grosso nucleo povero di sostanza cro¬
matica.
Per quanto possa supporsi o debba ammettersi, che una
cellula, per coltivarsi in vitro , si distacchi dagli elementi vici¬
niori e quasi si riporti al tipo di un organismo unicellulare, di
un protozoo, pure è difficile spiegarsi, che in così breve spazio
di tempo abbia stabilizzato dei caratteri così remoti della sua fi¬
logenesi, da permetterle una vita autonoma come quella, che
possa godere un protozoo.
La constatazione che in una cultura, anche primitiva, di ti¬
roide, di fegato, di connettivo, ecc., le cellule sviluppatesi sieno
tutte della medesima forma e non lascino per nulla scorgere il
tipo cellulare, dal quale provengono, si presta a parecchie ipo¬
tesi, sebbene i vari ricercatori non si sieno dati gran pensiero,
di spiegare la cosa, se cioè la forma sferoidale non debba per
caso attribuirsi a fenomeni degenerativi iniziatisi negli elementi
della zona fertile.
E stando per ora nel semplice campo di una discus¬
sione critica desunta dalla Bibliografia ap¬
pare che per molti le culture in vitro sieno effettivamente de¬
stinate ad una morte più o meno rapida, il che darebbe ragione
della forma speciale assunta dagli elementi sviluppati, forma che
è di solito assunta dalle cellule nelle fasi degenerative.
Per gli autori, che invece sostengono la possibilità di potere
indefinitamente tenere in vita le cellule coltivate in vitro) mercè
culture secondarie, terziarie, ecc., questa peculiare forma e strut¬
tura cellulare non può essere spiegata come una fase degene-
— 224 —
rativa, ma deve considerarsi, forse, dovuta all ' habitat , cioè
funzione del nuovo genere di vita.
Dai dettagli innumeri di tecnica, consigliati dai maggiori
assertori del metodo, quali Carrel e Burrows Montrose, e da
altri ricercatori, si rileva un dato di fatto di estrema importanza,
che cioè non si sia ancora raggiunta la possibilità di fornire ai
pezzi insemensati un habitat simile a quello lasciato. La cultura
in vitro non riproduce, almeno in teoria, delle condizioni di
ambiente simili a ciò, che può riscontrarsi negli autoinnesti in
sito : fra cultura di tessuti in vitro ed innesti di tessuti (che pur
sembrano esperimenti così affini), la differenza consiste appunto
in ciò, che negli innesti un gruppo cellulare può ben trovare
nel portainnesto o soggetto un habitat tale da assicurarne la
nutrizione e da permetterne l'ulteriore vita e sviluppo. E che
questo non sia un supposto del tutto dottrinale lo si desume
in modo incontrovertibile oltre che su dati di biologia generale,
ti
anche da constatazioni di patologia. Le cellule neoplastìche in¬
fatti, abbandonando la loro primiera sede di produzione, per la
via linfatica o per quella sanguigna, vanno a trapiantarsi in
organi lontani, riproducendo un tumore simile per tutti i carat¬
teri al primiero.
Per aversi l'innesto è necessario che inter¬
vengano due condizioni indispensabili che cioè
il pezzo da innestare si continui a mantenere
vivente, e che i tessuti messi a contatto non sia¬
no di specie istologiche o biologiche incompa¬
tibili, così per esempio sembra che non possa aversi mai lo
innesto di pelle sul tessuto muscolare, ecc.
Appare anche necessario che per ottenersi l'innesto il pezzo
abbia una orientazione determinata: infatti Vochting (1884) ha
constatato che se si taglia in una barbabietola una piramide a
base rettangolare e si ripone il pezzo nella cavità formatasi, si
ha un saldatnento perfetto, ma se invece lo si pone, facendo
subire alla piramide un giro di 180° intorno al suo asse, si for¬
mano dei germogli cicatriziali e mai saldatura, sebbene la coat-
tazione del pezzo sia ugualmente perfetta come nel primo caso.
Ed infine sembra indispensabile, almeno nella serie animale,
— 225 —
che innesto e oggetto appartengano alla mede¬
sima specie, cioè che gli innesti sieno omolo¬
ghi, omologia dimostrata dagli esperimenti di Schòne (1908;
1912). Il citato A. ha osservato che larghi lembi cutanei di topi,
di ratti o di conigli attecchivano sempre se erano portati sullo
stesso animale, quindi negli innesti autoplastici : negli omologhi
si aveva l'attecchimento solo in un numero limitato di casi: negli
eterologhi l'innesto era sempre negativo. E che non potesse ad¬
debitarsi il non attecchimento a mancanza di nutrizione dell'in¬
nesto, lo si desume dal fatto che i lembi si necrosavano non
nei primi giorni del trapianto, ma dopo molti giorni (7.-8), e
che anzi, se questi lembi — trasportati su di un animale della
stessa specie o di specie diversa — dopo 3 o 4 giorni venivano
novellamente portati sopra l'animale, che li aveva fornito, l'at¬
tecchimento era costante.
D'altra parte numerosi esperimenti tendono a dimostrare,
che notevole sia l' influenza del portainnesto o soggetto sulla
vita e sui caratteri del pezzo innestato, e che invece eccezionale
debba ammettersi l'influenza dell'innesto sul portainnesto.
Se di questi principi di Biologia generale, riguardanti gli
innesti, si fosse dai coltivatori di tessuti in vitro tenuto maggior
conto, io credo si sarebbe cercato di realizzare dei mezzi , che
meglio avessero riprodotto l 'habitat lasciato, e d'altra parte gli
AA. non si sarebbero ostinati a volere ottenere o a credere di
ottenere culture di cellule così differenziate come quelle epatiche,
tiroidee, nervose, ecc.
Ed allora sui semplici dati fornitici dalla bibliografia del¬
l'argomento e sui dati dell'istologia patologica, appare in modo
incontrovertibile, che le cellule che meglio si colti¬
vano fuori del loro primiero punto di origine
sieno gli elementi neo plastici o non neo¬
plastici trapiantatisi per metastasi in una
glandola linfatica o in un organo qualsiasi.
Per quanto non debba escludersi la possibilità che l'organismo
cerchi di opporsi allo sviluppo di questo gruppo cellulare, pure
è evidente, che le cellule in parola trovino un habitat suffi¬
cientemente consono per la loro ulteriore vita e sviluppo.
— 226 —
Per vero anche altri elementi cellulari possono distaccarsi
dalla loro sede di origine e trovare condizioni buone o discrete
di esistenza; è questo il caso delle cellule neoplastiche, che con¬
tinuano a vivere per un certo tempo nelle cavità di degenera¬
zioni dei neoplasmi.
Petit e Germain (1913), a proposito di alcuni casi interes¬
santi di fibroadenomi massivi o cistici della mammella nel cane
e nella gatta, osservano, che nella cavità delle cisti si trovino
accumulate numerose cellule desquamate, di cui alcune in de¬
generazione, mentre altre sembrano viventi ancora, presentando,
sebbene sieno separate dalla parete nutritiva, delle figure cario-
cinetiche ed anche delle placche equatoriali indiscutibili. Notano
altresì che tali cellule rassomigliano all'epitelio, dal quale pro¬
vengono senza contestazione; sono arrotondite e qualche volta
aggruppate in ammassi ; la maggior parte hanno la forma ed il
volume delle cellule connettive embrionarie, ma il loro nucleo
rileva sempre la loro origine epiteliale, del resto indiscutibile.
E tenendo presenti le ricerche di Carrel, affermano essere
queste delle prove di cultura reale di cellule epiteliali desqua¬
mate, che aiuterebbero a comprendere la possibilità di coltivarle
fuori delborganismo, a condizione, che sieno poste
in un plasma proprio alla loro nutrizione.
Anche io [Gargano (1922, 2°)] ho potuto constatare l'esat¬
tezza dell'affermazione di Petit e Germain nelle cavità di dege¬
nerazione degli epiteliomi : ho notato come queste cavità si pos
sano svolgere in qualsiasi punto degli zaffi epiteliali, ma che in
generale ciò avviene più di frequente nello strato degli elementi
poliedrici. Le cavità, pare, si sviluppino come un processo di de¬
viazione di una cinesi normale: una cellula o un gruppo limitato di
cellule aumentano di volume, il loro citoplasma diviene più chiaro,
il nucleo è ricacciato alla periferia e degenera per un processo di
lisi. La successiva istolisi dei granuli nucleari e del citoplasma
cellulare porta alla formazione di cavità, che si trovano riempite
di una sostanza piasmatica liquida. Le cellule alla periferia della
cavità, essendo a contatto con gran parte della loro superficie
con un habitat diverso, che ha costanti fisico -chimiche tanto
differenti, cambiano la fase viscida del loro citoplasma in una
fase meno viscida : conseguenza di ciò sarà oltre l'aumento del
227 —
loro volume e la loro trasformazione in elementi appiattiti, anche
il distacco dalle cellule vicine. Le cellule, immerse nella cavità,
ho notato che vanno incontro a cariocinesi atipiche, a forma¬
zione atipica di corpi di Plimmer, ad inclusioni di cellule in
altre cellule ed infine a degenerazione.
Orbene Yhabitat degli innesti, delle cellule metastatiche, e
quello delle cellule, che vanno evolvendosi nelle cavità di de¬
generazione, non può per nulla paragonarsi ai vari mezzi , che
si adoperano per le culture in vitro dei tessuti. E se l'attecchi-
mento degli autoinnesti in sito può perfino essere ostacolato dal
semplice fatto del cambiamento di polarità dell'innesto rispetto
al portainnesto, appare evidente — da un semplice punto di vista
teorico — quanta difficoltà si appalesi per eliminare tutte le cause,
che ostacolar possono la vita delle cellule coltivate in vitro .
L'interpetrazione delle figure cariocinetiche negli ele¬
menti sviluppatisi fuori dellaloro primiera
sede di origine, non è al certo dubbia per quanto ri¬
guarda le cellule neoplastiche o non neoplastiche, che si sono
trapiantate per metastasi, ed anche per quelle neoplastiche che
si sono andate evolvendo nelle cavità di degenerazione dei tu¬
mori, per esempio degli epiteliomi, con l'avvertenza che
la cinesi di queste cellule libere non porta
allo sviluppo di un blastoma, ma alla ge¬
nesi di cellule, che in un avvenire più o
meno prossimo sono destinate alla dege¬
nerazione.
Non è qui il caso di assodare se le cariocinesi delle cel¬
lule metastatiche neoplastiche o non neoplastiche si svolga con
il medesimo ciclo delle cellule site nelle cavità di degenerazione,
o se il ciclo cinetico di questi ultimi elementi si avvicini di più
o di meno a quello delle cellule normali : certa cosa è che non
può mettersi in dubbio tale manifestazione cellulare, che deve
interpetrarsi come una vita della cellula.
La cinesi delle cellule coltivate in vitro è notevolmente di¬
versa per ciclo e per manifestazioni e porta alla genesi di cel¬
lule molto, ma molto dissimili da quelle originarie, le quali, anche
nelle migliori evenienze (culture primarie, secondarie, ecc.), vanno
incontro ad una morte abbastanza rapida, non esclusa anche la
— 228 —
ipotesi che molte mitosi rappresentar possano l'esponente delle
nuove condizioni di vita, e non reali manifestazioni moltiplicative
della cellula insemensata.
Tutti poi indifferentemente parlano di culture osservate a
fresco, ovvero fissate, il che fa per lo meno presupporre che
gli AA. non tengano gran conto della struttura del citoplasma in
genere e del citoplasma di elementi, che si vanno sviluppando
in un mezzo così dissimile da quello, nel quale dovrebbero vivere
e riprodursi.
Il citoplasma delle cellule viventi sia alla luce diretta, che
col rischiaramento laterale su fondo scuro, appare omogeneo,
otticamente trasparente, ed in esso sono distinguibili il nucleo,
il condrioma e le inclusioni citoplasmatiche per il fatto, che
queste parti cellulari, essendo colloidi in una fase più viscida
del citoplasma che li circonda, hanno un indice di rifrazione
più alto. I vari colloidi cellulari poi per condizioni fisiologiche
cambiano la loro fase, potendo divenire più o meno viscidi ed
in stati patologici addirittura torbidi.
Il condrioma cellulare, che è visibilissimo nelle cellule vi¬
venti, per l'elevato indice di rifrazione rispetto a quello del ci¬
toplasma circostante, si rende meno appariscente negli stati de¬
generativi della cellula, per sparire anche del tutto, e dato che
gli si attribuisce grande importanza nelle funzioni secretici degli
elementi glandolari, è evidente che il condrioma non dovrebbe
ritrovarsi nella contingenza di una cellula glandolare, che cam¬
biando siffattamente la sua morfologia, non sembri più atta ad
una funzione secretrice qualsiasi.
La struttura del condrioma, ricco in sostanze lipoidi, che
hanno una grande affinità per i sali di cromo, ci dà la spiega¬
zione del perchè non sarebbe sempre riconoscibile negli elementi
coltivati in vitro. La fissazione infatti in quasi tutti i casi si tra¬
duce in una coagulazione, la quale è differente a secondo il reat¬
tivo impiegato, assumendo quindi il protoplasma un aspetto dis¬
simile, che ha fatto dai citologi sostenere in varie epoche teorie
molteplici sulla sua struttura. E se si tiene presente che anche
un medesimo tipo cellulare con medesimi reattivi può dare una
visione microscopica diversa per variazioni del suo stato fisico,
— 229 —
Fig. ) . — Cultura di 24h di tessuto tiroideo di coniglio [Gargano (microfotografia)].
citoplasma molto trasparente, omogeneo , privo di un apparec¬
chio mitocondriale e di inclusioni citoplasmatiche: le reazioni
chimiche di questo protoplasma non sono molto definite , esso
non mostra nè una spiccata basofilia, nè una spiccata acidofilia.
Il nucleo, grande e poco carico di sostanza cromatica, non sem¬
bra affatto un nucleo di una cellula epiteliale. L'elemento in foto
ha molte somiglianze morfologiche con le cellule fuxinofile o
corpuscoli di Russel rinvenuti negli epiteliomi ed in altre af-
è agevole comprendere ciò che verificar si deve nelle cellule svi¬
luppate in vitro.
Elementi coltivati " in vitro,,. — Prendendo in esame
due tipi di cellule coltivate in vitro per esempio quelle prove¬
nienti daH'insemensamento di tessuto tiroideo e di un brandello di
cuore di pulcino si possono fare non poche considerazioni.
Un brandello di tiroide di coniglio insemensato anche in un
autoplasma (fig. 1), darà sviluppo ad elementi sferoidali piccoli con
230 —
fazioni morbose, ma non ha pertanto nessuno dei caratteri che
riscontrar si possono in una cellula embrionaria neoplastica sia
epiteliale che connettivale, con una cellula carcinomatosa o sar-
comatosa. Evidentemente tale forma e struttura sono dovute ad
influenza dell' habitat, che è così diverso da quello lasciato, e che
col trascorrere del tempo tende a divenire sempre più dissimile.
Ho notato infatti che in rnoltj casi questi elementi sembrano
cellule endoteliali, mentre in altri differiscono non poco da esse,
ed allora, basandosi sul solo criterio morfologico più che su quello
strutturale o biochimico, è preferibile ritenere che alcune sieno
elementi endoteliali, mentre altre rappresentino cellule del paren¬
chima della glandola, della quale si sono trapiantati i frammenti.
Insemensando con la medesima tecnica un brandello di cuore
di pulcino (fig. 2) si nota che il movimento ritmico continua per
Fig. 2. — Cultura di 24*1 di tessuto muscolare cardiaco di coniglio" [Gargano (microfotogr.)].
un tempo variabile, che non è tanto in rapporto col mezzo (sia
questo minerale od al plasma) quanto con la grandezza sua e
— 231 —
£
con tanti altri fattori, che non è facile precisare. Nelle culture
positive si ha intorno al blocco lo sviluppo della zona di inva¬
sione, che porta alla genesi di elementi appiattiti, con nucleo
lenticolare al centro.
Lo svolgersi di questi elementi perturba la contrazione: essi
non sembrano per nulla elementi muscolari, almeno non ne hanno
Fig. 3. — Cultura di 24^ di tessuto embrionale (?) di pollo al 5° giorno [Tortora (microfot.)].
nè la morfologia, nè le manifestazioni vitali e sempre manca in
essi il fenomeno della birifrangenza, che invece è costante, in
tutte le strutture contrattili. Per vero qualche volta si hanno cel¬
lule con prolungamenti, che raggiungono quelli delle cellule vi¬
cine e che si fondono con essi: in queste condizioni è evidente
che non possa affermarsi con sicurezza se gli elementi in parola
sieno fibrocellule muscolari o elementi generatisi da cellule en-
doteliali delle lacune linfatiche, ma ciò che sembra certo si è,
che essi non hanno la struttura per poter presentare fenomeni
di contrattilità , perchè per aversi la contrazione
della fibra muscolare si deve verificare il
fatto che la fibrilla, s i p a r 1 i d i e 1 e m en ti stria ti
olisci, avendo una forma allungata e termi-
— 232 —
nata a punta da ambo i lati, possa accor¬
ciarsi nel suo diametro maggiore, se una
tensione sia esercitata uniformemente su
tutta la superficie.
Le figure cariocinetiche riscontrate nelle cellule coltivate in
vitro , come si è detto, non possono paragonarsi alle cinesi di
elementi normali e patologici sia epiteliali che connettivali, aven¬
dosi come epilogo della mitosi cellule sempre più dissimili dalle
generatrici. Cercando poi di mantenere in vita con insemensa-
menti secondari, terziari, ecc. le culture, si ha che gli elementi
svoltisi non presentano più Y attività riproduttiva e per di più
sono destinati a degenerare ed a morire in un tempo variabile
dagli 8 ai 10 giorni.
Del tutto recentemente Tortora (1923) nella Clinica Chi¬
rurgica della R. Università di Napoli in una notevole memoria
Fig. 4. — Cultura di 24^ di tessuto connettivo normale di uomo [Tortora (microfotografia)].
in corso di pubblicazione pare non sia stato molto più fortu¬
nato di me nell'ottenere in vitro elementi (figg. 3 e 4), che pos¬
sano con sicurezza far riconoscere la loro genesi epiteliale o
connettivale.
— 233 —
§gr E volendo altresì eseguire un lavoro di revisione delle fi¬
gure .annesse alle memorie degli osservatori, che mi hanno pre¬
ceduto in così arduo cimento, si resta molto perplessi ad accet¬
tare l'interpretazione data da questi ricercatori sul tipo di tes¬
suto svoltosi nelle culture (figg. 5-15),
Fig. 5. — Cultura di 48^ di pelle di embrione di pollo [Carrel e Burrows Montrose (microf.)].
Elementi metastatici neoplastici. — Nelle me¬
tastasi sia per tumori epiteliali (figg. 16 e 17) che connettivali
(fig. 18) è agevole riscontrare trapiantati elementi blastomatosi li¬
beri nella glandola o nell'organo enficiato; essi assumono effettiva¬
mente una forma sferoidale, perdono i prolungamenti, ma sono
sempre cellule che lasciano riconoscere la loro origine. Non po¬
trà mai confondersi una cellula metastatica di un carcinoma con
quella di un sarcoma. Gli elementi in parola si riproducono in¬
cessantemente come il tumore primario, anzi forse più incessan¬
temente del tumore primario, in guisa che in qualche evenienza
la metastasi può raggiungere un volume superiore a quello del
neoplasma dal quale ha avuto origine.
Elementi metastatici non neoplastici. — Ho
preso in esame alcune metastasi polmonali in ratto (fig. 19) verifica-
tesi in seguito all' inoculazione di poltiglia placentare nel peritoneo
[(Romano 1921)]. Il tessuto polmonare non è più riconoscibile ;
si nota nel preparato una struttura trabecolare, che ricorda quella
delle vescicole polmonari, con 1' avvertenza che le trabecole ri¬
sultano costituite di tessuto placentare, dal quale si distaccano
Fig. 6. — Cultura di peritoneo di feto di gatto |Ingebrigtsen (microfotografia)].
nell’ interno, delle cellule libere sferoidali con nucleo grande ve¬
scicolare, carico di sostanza cromatica e con citoplasma forte¬
mente acidofilo. Gli elementi placentari liberi rassomigliano per
molti caratteri alle cellule coltivate in vitro , provenienti per e-
sempio dalla cultura di tessuti embrionali di pollo, ma presen-
Fig. 7. — Cultura di peritoneo di feto di gatto, maggiore ingrandim. [Ingebrigtsen (microfot.)].
Fig. 8. — Cultura di rene di topo [Drew
(microfotografia)].
Fig. 9. — Cultura di rene di topo [Drew
(microfotografiaj) .
• - • •• 7*
— 236 —
Fig. 10. — Cultura di carcinoma di 20*1
[Drew (microfotografia)].
Fig. 11. — Cultura di rene adulto [Drew
(microfotografia)].
Fig. 12. — Cultura di miocardio dPpulcino al 12° giorno [Levi (disegno)].
■
Fig. 13. — Cultura di tronco (?) di embrione di pollo [Levi (disegno)].
Fig. 14. — Cultura di parete di stomaco di pulcino [Levi (disegno)].
Fig. 15. — Cultura di cuore di pulcino di 4 giorni [Levi (disegno)].
tano una caratteristica importante ed è di una incessante ripro¬
duzione. Non entrerò nella difficile disamina se una metastasi di
tal natura si possa paragonare ad un blastoma, ad un corioepi-
F/' Fig. 16. — Nidi epiteliali metastatici in glandola linfatica ascellare [Gargano (disegno)] .
telioma ; certa cosa è che le cellule in parola hanno tutta la ca¬
ratteristica di un tessuto vivo, vitale, rigoglioso, che non sembra
destinato ad una rapida degenerazione.
Elementi liberi in cavità di degenerazio¬
ne degli epiteliomi. — Come hanno notato Petit e Ger-
main (1913) e come ho potuto osservare anche io [(Gargano
(1922)], è facile riscontrare negli epiteliomi delle cavità di dege¬
nerazione (fig. 20 e 21), che sembra abbiano il loro inizio in
Fig. 18. — Metastasi sarcomatosa.
Elementi magnifuso cellulari in attiva proliferazione [Gargano (disegno)].
Fig. 19. — Metastasi di tessuto placentare in polmone di ratto [Gargano (disegno)].
— 242 —
Figg. 20-21. — Epitelioma di cane.
Zaffi epiteliali con cavità di degenerazione [Gargano (disegno)].
processi cinetici aberranti della cellula blastomatosa. Per pro¬
babile sviluppo di enzimi le cellule alla periferia di queste cavità
vanno continuamente distaccandosi, restando libere nelle cavità:
ivi subiscono processi moltiplicativi, ma pur anco regressivi.
Paragonando la morfologia degli elementi liberi nelle cavità
di degenerazione con quelli epiteliomatosi degli zaffi pieni, al
certo quelli hanno un aspetto meno poliedrico, quasi sferoidale,
hanno caratteri più consoni alla nuova vita, ma non perdono
mai gli attributi di cellule epiteliomatose. Ho potuto constatare
che la cellula libera nella cavità di degenerazione , riportata ad
un tipo primordiale di elemento sferoidale appiattito, aumenta
di volume. Tale aumento è quello che contribuisce a spingerla
alla cinesi o alla produzione di corpi di Plimmer, che considero
come una deviazione dal normale movimento mitotico. Si hanno
stadi più o meno normali od aberranti di sinapsi con l'appari¬
zione di uno o di due centrosomi , abbiamo corpi di Plimmer,
originati da tre nuclei, dissoluzioni del corpo di Plimmer, e del
nucleo, si ha l'apparizione di tre fusi direzionali, di cellule binu¬
cleate ed infine l'inclusione di una cellula in un'altra.
Conclusioni.
Dalla revisione dei numerosi preparati di tessuti coltivati in
vitro, di metastasi neoplastiche e non neoplastiche e di cellule
evolventisi in cavità di degenerazione di blastomi, si può dedurre
che gli elementi coltivati in vitro (a differenza delle cellule me¬
tastatiche e libere dei blastomi) non rassomigliano per nulla a
quelli che li avrebbero dovuto originare, apparendo cellule sui
generis, le quali, sembra, si sieno sforzate di assumere dei ca¬
ratteri più consoni al nuovo habitat, ma che non hanno potuto
stabilizzare tali caratteri, in guisa da essere candidate a degene¬
razione ed a morte.
Clinica Chirurgica della R. Università di Napoli.
LAVORI CITATI (i
1913. Gargano, C. — 1. Innesti di tessuti . Generalità : Giorn. Intern.
Se. Med. Napoli, Voi. 35, p. 884.
1922. — — 2. Inclusioni di cellule negli epiteliomi: Boll. Soc. Nat.
Napoli, Voi. 34, p. 169, T. 4-8.
1922. — — 3. Esperimenti di cultura “ in vitro „ di tessuti di Se-
laci : Ibid. p. 210.
1923. — — 4 .La cultura dei tessuti dei Setacei “ in vitro „ : Pubbl.
Staz. Z. Napoli, Voi. 4, p. 13.
1923. — — 5. Coltivazione "in vitro,, di epiteliomi umani : Ann.
Ital. Chir. Napoli, Voi. 2, p. 184.
1913. Petit, G. - Germain, R. — Cing observations d’ épithéliome villeux
ou dentritique (épithéliomes pipillaires, papillo-épithéliomes ) de
la mamelle, chez la Chienne et la Chatte : Bull. Ass. Frang. pour
l’Étude du Cancer, Paris, Tome 6, p. 17.
1920. Romano, G. — 1. Trapianti placentari : Riforma Med. Napoli, An¬
no 36, N. 13.
1921. — — 2. — — : Folia Gynaecologica, Voi. 14, N. 14.
1912. Schòne, G. — Ueber Transplantations immunitàt : Mùnchener
Med. Wochenschr., 61 Bd., p. 457.
1884. Wòchting, O. H. — Ueber transplantion am Pflanzen-Korper :
Nachrichten von der Kònigl. Gesellsch. der Wissensch. und der
Georg - Augusts - Universitàt zu Gòttingen, p. 389.
Finito di stampare il 10 ottobre 1923.
0 Le notizie bibliografiche riguardanti le culture dei tessuti in vitro si
trovano nella memoria N. 4 e 5 di Gargano.
Studi sulla bioluminescenza batterica.
7* Azione dei sali di potassio*
Ricerche
del socio
Prof* Giuseppe Zirpolo
(Tornata del 29 aprile 1923)
In una mia precedente Nota mi sono occupato delibazione
dei sali radioattivi sulla bioluminescenza batterica.
Ho voluto in seguito fare delle esperienze anche con i sali
di potassio, tenuto conto della radioattività di questo metallo e dei
risultati davvero interessanti ottenuti dallo Zwaardemaker e da
tutta una schiera di fisiologi che si sono occupati dell’argomento.
Espongo in questa breve nota i risultati ottenuti, per ora,
col nitrato di potassio e posso dire che essi confermano quanto
oggi si conosce sul potassio e sulla sua radioattività.
Materiale di studio e tecnica.
Mi son servito al solito di brodo di seppia sterilizzato di
cui ho già dato ampie notizie nei miei precedenti lavori.
Ho voluto ancora studiare il Bacillus pieratitonii Zirpolo
per avere unicità di materiale di studio nelle ricerche sulla bio¬
luminescenza.
Nei varii tubi venne introdotta eguale quantità di brodo in
cui furono fatte diluizioni precise di nitrato di potassio in con¬
centrazione da 1:5 a 1: 20 000 000, e poi tutto fu sterilizzato
in modo da non alterare la natura del liquido.
Le osservazioni vennero fatte seralmente. Nei primi giorni
ogni sera e poi ad intervallo di varii giorni.
— 246 —
Qui riferisco le esperienze eseguite nel marzo-aprile del 1921.
Tutte le altre vengono assorbite da queste, delle quali poi non
sarebbero che una ripetizione. Per ogni serie di tubi ne veniva
posto uno di controllo.
Azione del nitrato di potassio*
La sera del 5 marzo venne fatta la semina dei bacilli fo¬
sforescenti nei tubi preparati con diluizioni di nitrato di potassio
da 1:5 a 1:20 000 000. La sera seguente comparve la luce in tutti
i tubi, eccetto in quello con diluizione 1:5.
Nelle sere successive nei tubi la luce andò sempre più in¬
tensificandosi fino al 20 marzo.
Il 21 marzo i tubi con diluizione 1:10 e 1:20 si oscurarono,
mentre tutti gli altri rimasero luminosi e così nelle sere seguenti
sebbene la loro luce incominciasse a sbiadirsi lentamente, più
presto nei tubi con diluizione 1:50; 1:100; 1:200; 1:500; 1:1000;
1:2000, più tardi in tutti quanti gli altri.
Verso la fine del mese di aprile la luce scomparve in quasi
tutti i tubi, rimanendo appena impercettibile in quelli in cui la
diluizione raggiungeva le cifre più alte, ma nei tubi di controllo
era già scomparsa completamente.
Dalle precedenti ricerche si deduce che il nitrato di po¬
tassio è tossico per il Bacillus pierantonii Zirpolo nella dilui¬
zione 1:5, tutte quante le altre diluizioni da 1:10 a 1:20000000
fanno aumentare l’intensità e la durata della luminosità.
Il comportamento, inoltre, del nitrato di potassio è analogo,
entro determinati limiti, a quello dei sali radioattivi.
Napoli , Stazione Zoologica, marzo 1923.
BIBLIOGRAFIA
1918. Zirpolo, G. — I batteri fotogeni degli organi laminosi di Sepiola
intermedia Naef. (Bacillas pierantonii n. sp.) Boll. Soc. Nat. Na¬
poli Voi. 30, p. 206, Tav. 6.
1919. — — / batteri fosforescenti e le recenti ricerche sulla biofoto¬
genesi: Natura, Riv. Se. Nat. Voi. 10, p. 60, Milano.
1920.1 — — Studii sulla bioluminescenza batterica. 1. Azione de¬
gl'ipnotici. Riv. Biol. Roma. Voi. 2, p. 52.
1920.2 — — Idem. 2. Azione dei sali di magnesio. Boll. Soc. Nat.
Napoli Voi. 32, p. 112.
1920.3 — — Idem. 3. Azione dei raggi emanati dal bromuro di ra¬
dio. Ibid. Voi. 23, p. 76.
1921. — — Idem. 4. Azione dei sali radioattivi. Natura, Riv. Se.
Nat. Milano, Voi. 12, p.*139.
1922.1 — — Idem. 5. Azione del nitrato di cerio. Boll. Soc. Nat.
Napoli, Voi. 34, p. 46.
1922.2 — — Idem. 6. Azione dei sali di chinina, caffeina, cocaina
e stricnina. Natura, Riv. Se. Nat. Voi. 13, p. 70, Milano, 1922.
1921.1 Zwaardemaker, H. — The replacement of Potassium by Uranium
in perfusion of heart. Journ. Phys. Voi. 53, p. 3.
1921.2 — — et Feenstra, T. P. — Substitution du potassium par Té-
manation de radium , datis le liquide de Sidney Ringer. C. R.
Soc. Biol. T. 84, p. 704.
Finito di stampare il 30 novembie 1923.
Una specie fossile di Gerionide (Decapodi
brachiuri)
del socio
Giuseppe Colosi
(Tornata del 12 agosto 1923)
Devo alla gentile benevolenza del Prof. C. F. Parona, Di¬
rettore dell'Istituto di Geologia della R. Università di Torino, se
ho potuto esaminare un'interessante forma fossile appartenente
al gruppo dei Gerionidi ed unico rappresentante fossile di tale
gruppo, a meno che analoghe forme non siano state preceden¬
temente attribuite ad altre famiglie, il che non ho avuto campo
di accertare, mentre d'altra parte i loro caratteri di affinità con
i Geryon attuali sono tali che ogni altra posizione sistematica
mi sembra senz'altro da scartare.
I vari campioni sono stati trovati in buono stato di conser¬
vazione entro concrezioni calcaree in forma di ciottoli roton¬
deggianti od elissoidali, qualche volta uniti a due ed assumenti
aspetto di manubrio, inclusi in marne di origine probabilmente
neogenica che costituiscono una caratteristica formazione a capo
S. Pablo nella Terra del Fuoco ove furono raccolti dal Rev. P.
De Agostini.
Con squisita gentilezza il Rev. P. A. Tonelli mi permise
l'esame di numerosi altri campioni da lui raccolti alla Terra del
fuoco, a Cerro della Lena presso la Missione Candelaria e due
campioni raccolti a Capo Sunday, non lontano dalla Missione,
tutti conservati nel Museo dell'Istituto Salesiano di Torino : an¬
che questi erano inclusi entro concrezioni e facevano parte di
un conglomerato alternato con arenarie con fossili propri e fos¬
sili rimaneggiati : anche P. Tonelli attribuiva il conglomerato
— 249 —
all'atto terziario e ad origine costiera. Dei crostacei di Cerro
della Lena la maggior parte appartengono alla stessa specie se¬
gnalata a S. Pablo; due altre specie sono tali che il loro stato
di conservazione non ne permette lo studio : uno è un oxirinco
l'altro sembra un galateide. I due campioni di Capo Sunday sono
della medesima specie di quelli di Capo S. Pablo.
La specie studiata presenta, come dicevo, le maggiori affi¬
nità con le specie del gen. Geryon , le cui affinità e la cui posi¬
zione sistematica sono state molto discusse. Esso è stato ascritto
prima ai Catometopa) poi ai Cyclometopa. Miers (1886) lo pose fra
i Carcinoplacini ed Ortmann (1901) seguendo lo stesso criterio
lo poneva pure nei Catometopa fra i Carcinoplacidae. Milne-
Edwards e Bouvier (1894 e 1899) lo situavano con maggior ra¬
gione tra i Cyclometopa; ma mentre da una parte ne vedevano
le affinità col gen. Galene , d'altra parte lo ravvicinavano a Car¬
dilo plax e a Pseudorhombila che sono dei Catometopi netti. Gli
stessi autori infine (1901) lo ascrissero alla famiglia dei Galeni-
dae. Alcock (1899) lo incluse nella famiglia dei Xantidae e nella
sottofamiglia dei Galeninae. Spetta a Doflein (1904) il merito
di averne riconosciuto le affinità coi Potamonidi tanto da inclu¬
derlo nella stessa famiglia dei Potamonidae (ciò a cui però non
si può consentire da tutti).
Anche per molto tempo i Potamonidi erano stati riferiti ai
Catometopa , finché Dana non fece osservare che essi presenta¬
vano caratteri che dovevano farli ascrivere ai Cyclometopa'. il suo
criterio fu poi seguito.
Circa poi le maggiori affinità dei Potamonidi, Alcock li
ravvicina sopratutto agli Oziinae e agli Eriphiinae. Ma veramente
pare che essi siano da raccostarsi più che altro alle forme del
gen. Geryon , col quale però è conveniente istituire una famiglia
dei Geryonidae ben distinta benché vicinissima a quella dei Po¬
tamonidae , Tra i Potamonidae vi è un genere di cui rilevai
(1920) la primitività e che perciò contrapposi a tutti gli altri ge¬
neri della famiglia: esso comprende la sola Platythelphusa armata
Milne-Edwards rappresentante della sottofamiglia dei Propota-
monida. Ebbene, Platythelphusa fra tutti i potamonidi, è quello
che più si avvicina ai Geryonidae per la collocazione delle an.
tenne e per la conformazione delle orbite.
— 250 —
Dei Geryomidae attualmente viventi si conoscono sei specie
tutte appartenenti al gen. Geryon. Esse sono: G. longipes Mil-
ne Edwards del Mediterraneo e del Golfo di Biscaglia, G. af¬
fiate Milne Edwards e Bouvier delle Azorre, delle coste atlan¬
tiche dell'Africa meridionale presso il tropico del Capricorno e
delle coste della Somalia e dell'India meridionale, G. quitique-
dens S. Smith del Nord-Atlantico occidentale, H. tridens Kro-
yer del Nord- Atlantico orientale, G. trispinosus (Herbst) De
Man delle Indie e del Giappone e G. paulensis Doflein di
Nuova Amsterdam nell'Oceano Indiano. G . incertus Miers, sta¬
bilito sopra un esemplare molto giovane e in cattivo stato di
conservazione proveniente dalle Bermude, secondo l’opinione di
Milne-Edwards e Bouvier, seguita da Doflein, è probabilmente
da escludere dal gen. Geryon. Giova ricordare che la compara¬
zione tra le diverse specie descritte aveva portato Doflein alla
conclusione che ci si trovasse presenti ad una sola specie co¬
smopolita e propria di grandi profondità; ad ogni modo egli per
prudenza mantiene le specie descritte le quali per ora presen¬
tano caratteri distintivi notevoli, caratteri forse anche dovuti ad
influenze ambientali o a differenze di stadio di sviluppo ma che
solo in seguito a nuovi e numerosi reperti potranno essere ri¬
conosciuti come non specifici.
Il fossile da me studiato si scosta da tutte le forme attuali
di Geryon per un carattere molto appariscente: le orbite ocu¬
lari sono molto larghe tanto che la distanza fra la spina fron¬
tale esterna e la spina extraorbitale è circa doppia della distanza
tra le due spine frontali esterne. Tale carattere giustifica la crea¬
zione di un nuovo genere Archaeogeryon ben distinto dal gen.
Geryon , in cui la distanza tra la spina frontale esterna e la spi¬
na extraorbitale è, al più, uguale alla distanza fra le due spine
frontali esterne.
Le forme attuali del gen. Geryon sono state rinvenute in
vicinanza dei continenti, ma sempre a grandi profondità che può
superare i 2000 m.; eccezionalmente si è avuto, per G. trispi¬
nosus , qualche reperto a mediocre profondità.
La specie di Archaeogeryon da me studiata doveva essere
invece strettamente costiera. Ciò mi fu fatto osservare dal Prof.
Parona il quale esaminò sia la natura della roccia di Capo S.
Pablo sia parecchi molluschi in essa contenuti ed appartenenti
ai generi Volata (con forme proprie delle spiagge sabbiose),
Tadicla , Turritella (che giunge fino a 127 metri di profondità)
Solarium ed altri, meno perfettamente conservati, e attribuibili
ai gen. Aporr hais ( Chenopos ), Cassidaria e Lucina.
Vhabitat batimetrico dei due generi è quindi ben diverso.
Nel gruppo affine dei Potamonidae abbiamo forme prevalente¬
mente d'acqua dolce, ma che possono vivere anche sulla terra;
talune forme sono acclimatate alle acque salate e salmastre; Pla-
tythelphusa è stata trovata da 60 a 500 piedi di profondità nel
lago Tanganica, ma vive bene anche al di fuori dell'acqua e ad
una certa distanza da essa.
Archaeogeryon fuegianus n. sp.
Cefalotorace grande, raggiungente perfino cm. 10 di lun¬
ghezza e circa cm. 13 di larghezza, un poco ristretto posterior¬
mente. Scudo dorsale uniformemente granuloso, con superficie
appiattita ma ineguale per cospicue creste ed emergenze, spinoso
lungo i margini anteriori e latero-anteriori. Fronte con quattro
spine subeguali in lunghezza, le due mediane ravvicinate, le due
esterne un pò più distanti dalla mediana e più larghe alla base.
Orbite larghissime; margine superiore sinuoso finemente e fit¬
tamente denticolato, margine inferiore con denti più radi ma più
regolari sottili ed acuti e con un lobo lamellare angoloso, ap¬
puntito, sporgente all'innanzi, più prossimo alla spina frontale
esterna che alla spina extraorbitale. I margini laterali dello scudo
sono armati in modo estremamente simile a quanto si osserva
in Geryon paulensis : dietro ogni spina extraorbitale lamellare ed
appuntita vi è un tubercolo conico, a cui segue una grossa spina
conica e acuta, e poi un nuovo tubercolo ed infine una robustis¬
sima spina. L'estremità della spina extraorbitale raggiunge la base
della spina frontale. Dietro la fronte si notano un paio di pic¬
coli lobi epigastrici ottusi e smussati. Forca dei solchi mesoga-
strici mediocremente delineata, solchi posteriormente evanescenti;
ai due lati della forca una cresta trasversa sinuosa che divide la
regione protogastrica dalla metagastrica; al disotto di ciascuna
cresta un piccolo tubercolo rotondo a cui segue posteriormente
ed un pò all'indentro, sempre nella regione metagastrica, una
— 252 —
forte punteggiatura. Un cospicuo tubercolo ottuso angoloso ac¬
canto e posteriormente alla prima grande spina del margine la¬
terale. La regione epatica è ben distinta dalla branchiale da una
cospicua cresta che va dagli angoli posteriori esterni della re¬
gione mesogastrica fino alla base posteriore dell’ultima grande
spina del margine dello scudo; tale cresta protunde con due lar¬
ghe protuberanze di cui l'esterna è più robusta, sollevata e ango.
Iosa. Due lobi diretti trasversalmente e arrotondati separano la
regione gastrica dalla mesogastrica. Lateralmente dalla regione
gastrica partono, dirette all' indietro e verso la linea mediana,
due serie divergenti di forti punteggiature; le anteriori formano
un arco continuo entro la regione gastrica, le posteriori si inol¬
trano nella regione urogastrica rimanendo con la loro estremità
posteriore ben discoste l’una dall'altra. La regione cardiaca an¬
teriore è separata dalla posteriore mediante una cresta trasver¬
sale, smussata, medialmente attenuata. Una forte incisura separa
le regioni gastrica, urogastrica e cardiaca dalla regione bran¬
chiale. Una forte cresta ondulata longitudinale percorre la parte
centrale di ciascuna regione branchiale. Posteriormente lo scudo
è carenato ai due lati (Fig. 1).
Occhi con peduncoli lunghi, cilindrici.
Terzo ischiognato circa due volte più lungo che largo, con
solco longitudinale più prossimo al margine interno che all'e¬
sterno e parallelo ad essi; merognato più stretto dell'ischiognato,
tanto lungo che largo, sporgente all'esterno oltre il livello del
margine esterno dell'ischio, con margine superiore ed esterno
arrotondato; corpo dell'esopodite oltrepassante il livello anteriore
del merognato.
Chelipedi con robusta spina carpale sul margine anteriore
interno ed una cresta angolosa granuloso-tubercolata, simile a
quella di Geryon paulensis sulla superficie superiore interna e
con tubercoli aspri ed irregolari sulla porzione superiore esterna;
dita larghe, piatte, grossamente dentate. Ischio con robusta spina
distale superiore (Figg. 2, 3).
Regione sternale del cefalotorace con profondo solco rettilineo
o un po' sinuoso tra 1' inserzione dei due gnatopodi del terzo
paio, con profondi avvallamenti che nel maschio cominciano
molto anteriormente ed al livello anteriore dell'inserzione dei che-
dpedi (Fig. 4), nelle femmine proprio al livello anteriore del—
Y inserzione di questi (Fig. 5); i due avvallamenti laterali si in¬
contrano posteriormente formando angolo, in una scanalatura
mediana fortemente insenata con cui s'inizia la depressione su¬
baddominale del cefalotorace.
Addome del maschio con settimo, sesto e quinto segmento
di ugual lunghezza; il margine basale dell'ultimo segmento è no¬
tevolmente più stretto del margine distale del penultimo. Addo¬
me della femmina molto largo.
Il più grosso campione esaminato proviene da Cerro della
Lena ed era incluso nelle arenarie. Il cattivo stato di conserva¬
zione non mi permettono altro che una misura approssimativa della
— 254 —
lunghezza e della larghezza: esso è lungo circa cm. 10 e largo
circa cm. 13.
Un grosso esemplare maschio di Cerro della Lena, la cui lar¬
ghezza e lunghezza non erano misurabili, presentava l'addome ben
conservato: esso era lungo circa mm. 28; il settimo segmento era
lungo mm. 5, 7, il resto medialmente mm. 5, 7 e marginalmente
mm. 6, 7, il quinto mm. 6, il quarto mm. 5, 8, il terzo mm. 3, 7.
Un esemplare di Cerro della Lena lungo mm. 20 e largo
mm. 27 presentava solo quattro spine al margine laterale dello
scudo di cui solo la prima (extraorbitale) e l'ultima ben pronun¬
ziate; le creste e i tubercoli erano molto pronunziati.
Dei due esemplari di Capo Sunday, di color nero carbone, uno
era lungo mm. 44, 5 e largo mm. 5,8; l'altro era largo mm. 20, 5.
Maggiori dettagli nella misurazione posso dare di altri e-
semplari.
Un maschio di Cerro della Lena è lungo circa mm. 46 e
largo circa mm. 57 ; la distanza tra il vertice anteriore dello
sterno e l’estremità dell'addome è di mm. 17; la larghezza dello
sterno al livello dell'inserzione posteriore dei chelipedi è di mm.
24; il meropodite dei terzi endognati è lungo mm. 10 e largo
mm. 6, il carpopodite è lungo mm. 5, 5 e largo altrettanto, la
base dell'esognato è di mm. 11 di lunghezza.
Un altro esemplare di Cerro della Lena è lungo mm. 43
e largo mm. 52; la distanza fra le due spine frontali esterne è
di mm. 10 e tra ciascuna spina frontale esterna e la spina extraor¬
bitale di mm. 17; presso i margini superiori delle orbite esistono
numerosissimi piccoli tubercoli appressati; le spine frontali si
presentano notevolmente divaricate.
Un maschio di Capo S. Pablo è lungo mm. 59 e largo, tra
la base dell'ultimo paio di spine marginali, mm. 65; la distanza fra
le estremità delle spine frontali esterne è di mm. 11; il settimo,
il sesto e il quinto segmento addominale sono lunghi mm. 6, 5
ciascuno; la larghezza basale dell'ultimo è di mm. 9, 5, la lar¬
ghezza distale del penultimo mm. Ile la basale 15; la larghezza
distale del terzultimo é di mm. 15; l'ischiopodite del terzo en-
dognato è di mm. 12; il meropodite del chelipede destro è lun¬
go mm. 24; la palma del propodite del chelipede destro è lunga
mm. 26 e larga circa mm. 18, 5.
— 255 —
Un esemplare, pure di Capo S. Pablo, è lungo mm. 52 e
largo mm. 48, 5; la distanza fra Y estremità delle due spine
extraorbitali è di mm. 47; quella fra le due spine frontali ester¬
ne di mm. 10,5 fra le due interne mm. 3 fra una spina frontale
interna e l'esterna corrispondente è di mm. 4.
Un esemplare di S. Pablo largo mm. 50, 5 e con distanza
fra le due spine extraorbitali di mm. 44, 5 ha il meropodite del
primo paio di zampe ambulatone lungo mm. 27, quello del se¬
condo paio lungo mm. 33, quello del terzo paio mm. 35 e quello
dell'ultimo paio mm. 35. Come si vede le zampe ambulatorie
dovevano essere notevolmente lunghe, similmente a quanto si
osserva nei Gerionidi attuali.
Il propodite di un chelipede destro è lungo mm. 55, di cui
mm. 29,5 spettano alla palma, e mm. 25, 5 al dito immobile;
il dattilo misurato nel suo margine superiore doveva essere
lungo non meno di mm. 30.
Purtroppo nessun particolare posso aggiungere circa le an¬
tennule e le antenne di cui però in una figura si vedono chia¬
ramente i luoghi di inserzione.
Torino, Palazzo Carignano, maggio 1923.
Finito di stampare il 30 novembre 1923.
Su di una “ emanazione „ “ forza vitale
effluente ,, finoggi non dimostrata.
Nota preventiva
del socio
Frank A* Perret
(Tornata del 12 agosto 1923)
Fin dai più remoti tempi si è accennato alla probabile esi¬
stenza di misteriose emanazioni umane, dotate perfino di potere
magico. In seguito, quando alFesaltazione mistica si sostituì l'os-
servazione sperimentale, si ebbero, di quando in quando, notizie
di strane energie, radiazioni biologiche, emanazioni sviluppate
dalborganismo vivente; ma se ne parlò generalmente in modo
vago, senza che le proprietà attribuite a quegli efflussi potessero
essere confermate con esperimenti semplici, inoppugnabili.
Senza voler qui addentrarci in una critica dei così detti raggi
" N „ o “ V ,„ “ forze odiche „ ecc. ecc., una cosa sembra ormai
indiscutibile, ed è che, alTinfuori degli scopritori, nessun altro
ha potuto dire con convinzione: " Ho visto,,.
Benvero Te manazione di cui oggi si espongono le caratte¬
ristiche, in questa breve nota, dopo anni di indagini, ha potuto
forse essere per il passato intravista, per quanto appaia nelle sue
proprietà diversa da quelle di cui finora si è avuto notizia; ma
quel che alle attuali esperienze conferisce massima importanza è
il fatto di aver escogitato mezzi semplici, a disposizione di tutti,
con i quali si ha la prova visibile deiremanazione ed anche la
registrazione di essa in nitidi diagrammi.
In che cosa consiste questa emanazione?
Pare si tratti di una vera e propria " sostanza „, piuttosto
— 257 —
che di una semplice radiazione. A tale concetto si è indotti spe¬
cialmente dalla proprietà — di cui si parlerà in seguito — di im¬
pregnare di sè i corpi che attraversa.
Questa emanazione è sprigionata, in varia misura ed in mo¬
do non costante, spesso disuguale e fluttuante, da tutto il corpo,
specialmente poi dalle mani e in modo più spiccato dalle estre¬
mità delle dita.
Essa varia secondo gli individui ed i momenti in cui viene
misurata, secondo lo stato di sanità o di malattia, in seguito ad
uso di sostanze eccitanti o deprimenti, ecc. ecc.
Sembra che sulla emissione di essa influiscano certi movi¬
menti muscolari, lo stato emotivo e svariati oscuri fattori, sui
quali occorre ulteriormente indagare.
Sembra ancora che sulla forza di efflusso influiscano certe
condizioni astronomiche e meteorologiche, quali le fasi della luna,
la pressione barometrica, il grado di umidità atmosferica ecc.
Le sue proprietà fisiche finora note sono delle più straor¬
dinarie e tali da differenziarla nettamente dalle altre forze e ra¬
diazioni: questa emanazione penetra ed attraversa qualunque so¬
stanza, sia organica sia inorganica, buona o cattiva conduttrice
delTelettricità e del calore. Non si tratta quindi di forza elettri¬
ca, o magnetica, o termica.
Essa produce i suoi effetti meccanici attraverso tutti i corpi
interposti, si tratti di legno, metallo, carta, stearina, gelatina, re¬
sina, gomma, vetro (trasparente od opaco). Attraversa quindi an¬
che lamine spessissime di piombo ed il cartone bagnato, ciò che
non si verifica per i così detti raggi “ N „.
Non impressiona le comuni lastre fotografiche.
Non subisce modificazioni apparenti per effetto del calore o
deirumidità della mano.
L'efflusso dell'emanazione dà:
1. Effetti meccanici di spinta e rotazione di apparecchi sem¬
plici, anche di non lieve peso e resistenza: un ago, calamitato,
o no, in bilico, una losanga di cartone, di legno, di metallo ecc.
ecc., un cono od un cilindro di carta, di mica ecc., pivotati su di
un ago, sono messi in moto da questa emanazione. (Fig. 1 e 2).
2. Incurvamento ed oscillazioni sensibili della fiamma di una
candela. Questo fenomeno apparisce chiaramente anche mediante
— 258 —
conducibilità di lamine metalliche: è come un soffio che esce con
discreta forza.
Interessante e nuova è la proprietà di questa emanazione di
poter impregnare i corpi organici ed inorganici e di agire, svi¬
luppandosi da essi, dopo tolto ogni contatto con la mano, come
se questa fosse ancora vicina : le fluttuazioni hanno il medesimo
carattere di quelle emananti dall' organismo. Si sono potuti re¬
gistrare graficamente anche questi residui di emanazione dai corpi
impregnati. Lamine metalliche fortemente riscaldate non modi¬
ficano in modo apprezzabile questa proprietà.
Un guanto, anche di gomma, calzato per qualche minuto,
agisce sugli apparecchi sensibilmente, anche dopo tolta la mano.
pi 3 metile olio
Cilindro g' l’t'Vole interna
Cilindro esterno \
»ii àppi ics I? nano
a4 C'Ito
Valendomi della proprietà meccanica di spinta di questa ema¬
nazione, ho pensato dapprima a misurare la forza di efflusso,
misurando in gradi di arco la deviazione impressa ad un ago ca¬
lamitato in bilico; indi ho ideato e costruito, con mezzi primi¬
tivi, un primo apparecchio registratore.
— 259 —
Su di un'armatura fissa esterna è poggiata la mano; tale ar¬
matura può essere di cartone o di altra sostanza. L'armatura
mobile, interna è costituita da un volante imperniato su di un
ago verticale. Dovendo stabilire lo zero della scala, mi sono ser¬
vito dell'ago magnetico, anche come resistenza regolabile per
modo che in istato di riposo il volantino prende la direzione
del meridiano terrestre.
Fig. 2.
L'emanazione, uscendo, tende a far rotare l'armatura, in op¬
posizione allo sforzo magnetico, ed il grado di rotazione cor¬
risponde, in un dato momento, alla forza dell'emanazione.
Un ristretto fascio di luce verticale viene riflesso da uno
specchietto, montato sul bilancino, su di una fessura longitudi¬
nale, dietro la quale gira, con opportuna velocità, un cilindro
portante un foglio di carta sensibile. Si ottiene, così, un punto
luminoso che impressiona fotograficamente detta carta, nello
spostarsi secondo il grado di forza della emanazione, tracciando
il grafico. (Fig. 4).
Tutto l'apparecchio è protetto da eventuali perturbazioni di
ambiente. (Fig. 3).
260 —
Evidentemente è possibile escogitare altri sistemi di regi¬
strazione anche più sensibili, ciò che potrà formare oggetto di
ulteriori studi.
I diagrammi dimostrano la grande variabilità dell'emanazio-
ne sotto l'influenza dell'ingestione, o iniezioni di sostanze ecci¬
tanti o deprimenti, e ciò dopo brevissimo tempo dalla immis¬
sione in circolo.
In questi ultimi tempi, in seguito alle obbiezioni sollevate
da alcuni illustri contraddittori al primo annunzio di questa sco¬
perta, che potesse trattarsi puramente e semplicemente dell' in¬
fluenza di correnti d'aria vorticose prodotti dal calore della mano,
sebbene esperimenti inoppugnabili dimostrassero assurda tale sup¬
posizione, ho costruito dei dispositivi parimenti semplicissimi
che non lasciano alcun dubbio al riguardo.
A — Sorgente luminosa c / lamp. elettr. ad 1 filamento.
B — Cilindro portante all’ interno la carta sensibile av¬
volta su altro cilindro, girevole.
C — Apparecchio girevole c/ ago calamitato spostato
dall’emanazione.
D — Specchietto su cui riflette il raggio luminoso.
E — Fascia di cartone per appoggio della mano.
F — Calamita spostabile per regolare la forza dell’agcl I
G — Raggio luminoso che si rifrange in D.
H — Apparecchio d’orologeria regolabile.
I — Fessura longitudinale del cilindro esterno.
Si è preparato un cilindro di cartone, dell'altezza di 4 a 5
cm. e del diametro di 10 cm., pivotato su di un ago con cop¬
petta di agata e sostenente due piccole lampade con fiamme op¬
poste, in corrispondenza dei punti estremi del diametro. (Fig. 1).
L'apparecchio, che deve essere protetto da eventuali cor-
— 261 —
renti d'aria dell'ambiente, resta immobile fino a che non vi si
accosta la mano, e sotto 1' influsso dell'emanazione si mette in
moto abbastanza rapidamente. Con la mano destra roterà in sen¬
so inverso a quello delle sfere di un orologio; togliendo la ma¬
no destra ed applicando la sinistra, roterà in senso contrario.
I
Fig. 4.
Un altro apparecchio dimostrativo è il seguente: si ha, al
centro, un cilindro di cartone girevole; all'esterno un altro fisso,
che lo circonda; entro lo spazio, di circa 3 cm. che trovasi fra
i due cilindri si poggiano uno, due, o più lumicini, in modo che
le fiammelle non superino il margine superiore del cilindro e-
sterno. Applicando a questo apparecchio la mano destra o la
sinistra si ha la rotazione a sinistra o a destra del cilindro in¬
terno. Ciò prova tre fatti importanti:
1. °- l'emanazione attraversa il cartone esterno fisso;
2. ° - il calore della mano non può avere assolutamente alcuna
influenza sul moto del cilindro, in quanto che le fiamme inter¬
medie hanno un potere calorifico ben più importante e purtut-
tavia il cilindro interno di cartone non si mette a girare fino a
che la mano non è accostata al cilindro esterno;
3. ° - non possono formarsi vortici d'aria fra un cilindro e
— 262 —
Faltro, in quanto che il cilindro esterno è perfettamente ade¬
rente al piano del tavolo su cui poggia.
Infine, si è potuto, ma non sempre, ottenere la rotazione del
cilindro sostenente le due piccole lampade, descritto più sopra,
mediante la trasmissione a notevole distanza delTemanazione
della mano calzata da apposito guanto munito di sottili fili di
trasmissione.
Queste sono le esperienze eseguite finora e che occorre
sviluppare.
In quanto alle origini, alle altre proprietà fisiche o fisiolo¬
giche di questa emanazione, resta enormemente ancora da inda¬
gare, ed in ciò è aperto largo campo a tutti gli studiosi.
I problemi più suggestivi che si presentano allo spirito sono
i seguenti:
Rappresenta questa emanazione una forza o una debolezza
delborganismo?
Che significano e donde originano le sue fluttuazioni ?
Ha questa emanazione potere curativo?
Ha rapporti con la così detta forza medianica?
Vi è in essa qualche cosa della forza psichica?
Ha essa delle proprietà chimiche che ne possano spiegare
le origini e la eventuale composizione?
Napoli, 12 agosto 1923.
Finito di stampare il 30 novembre 1923.
Sull’azione delle basse temperature sullo svi¬
luppo del Zoobotryon pellucidum Ehrbg.
Nota
del socio
Prof* Giuseppe Zirpolo*
(Tornata dell’8 luglio 1923)
Nei varii anni di ricerche compiute alla Stazione Zoologica
allo scopo di conoscere la ecologia del Zoobotryon ebbi occa¬
sione di osservare come abbassandosi la temperatura dell'ambiente
esterno i rami di Zoobotryon arrestassero il loro sviluppo. Que¬
sto fatto potetti facilmente constatarlo per la ragione che i rami
coloniali di questo briozoo hanno un accrescimento rapidissimo.
Da un giorno all’altro si ha uno sviluppo di varii millimetri di
lunghezza, il che è raro poterlo verificare sempre in altre forme
animali.
Riconnettendo questa osservazione ad un dato di fatto con¬
statato nella biologia del Zoobotryon , cioè allo stato di vita la¬
tente che passa questo briozoo durante l’inverno per poi nella
primavera dare origine a numerosi germogli, ho voluto eseguire
delle esperienze allo scopo di ottenere la prova per poter con¬
cludere circa razione del freddo come causa principale della vita
latente del Zoobotryon durante il periodo invernale.
A tal uopo ho preso dei rami speciali, ricchi di sostanza
blastogena, e li ho tenuti in ghiaccierà alla t.a di circa 10° C.
Ebbene finché i rami sono stati neH'interno di questa non è
stato possibile osservare nessuno sviluppo di rami, ma quando
ne sono stati trasportati fuori alla t.a ambiente, allora si è iniziato
— 264
lo sviluppo. Non si è avuta la formazione di novelli rami subi¬
to , ma, a secondo la durata della permanenza dei rami nella
ghiaccierà di uno , due , tre o quattro giorni si è avuto un ri¬
tardo relativo nello sviluppo ulteriore dei rami.
Evidentemente Y essere passati i rami dalla t.a ambiente ad
una t.a così bassa per essi ha prodotto un'azione poco favore¬
vole ed è stata tanto più intensa quanto più lunga è stata la
permanenza dei rami sotto l'azione del freddo.
Concludendo quindi le basse temperature agiscono sullo
sviluppo dei rami coloniali del Zoobotryon e fra le cause per
cui noi non troviamo, durante l'inverno, delle colonie di questo
briozoo v'è non fra le ultime il freddo che genera una stasi nei
processi metabolici dell'organismo animale, arrestando la sua at¬
tività e facendogli vivere una specie di vita latente.
Napoli, Stazione Zoologica , giugno 1923.
Finito di stanpare il 15 dicembre 1923.
Di una specie italiana di Typhlocarìs (T.
salentina n. sp.) con osservazioni morfo¬
logiche e biologiche sul genere.
Nota preliminare
del socio
E. Caroli.
(Tornata del 29 aprile 1923)
Nel settembre dello scorso anno, il Prof. Bottazzi della
nostra Università raccolse in una grotta presso Castro, in Terra
d' Otranto , alcuni esemplari di un Crostaceo decapode , che
cortesemente volle mandarmi in esame. Con sorpresa riconobbi
che essi appartenevano al genere Typhlocaris , raro Carideo ca¬
vernicolo, cieco, della famiglia dei Palaemonidae , del quale si
conoscevano solo due specie : T. galilea Calman, trovata in Pa¬
lestina, in un pozzo nei pressi del Lago di Tiberiade , e T. le-
thaea Parisi , rinvenuta nella Grotta del Lete, in Cirenaica. In
seguito ho potuto stabilire che essi rappresentano una terza spe¬
cie, alla quale, dal luogo di rinvenimento, ho dato il nome di
T. salentina.
La descrizione particolareggiata dei caratteri che distin¬
guono questa specie dalle altre due forma oggetto di un la¬
voro che sarà pubblicato prossimamente nelTAnnuario del Mu¬
seo Zoologico della R. Università di Napoli ; ma uno di essi
merita , per la sua importanza , d’esser fatto conoscere subito.
Mentre nelle altre due specie, nonché in tutti gli altri Decapodi
cavernicoli ciechi , finora conosciuti , i peduncoli oculari non
presentano traccia di organi visivi, in T. salentina , alla parte an¬
teriore degli oftalmopodi, presso il margine esterno, vi è una
266 —
piccola macchia di pigmento scuro, più o meno distinta nei di¬
versi esemplari , ( in qualcuno cancellata dall' azione dell' al¬
cool); inoltre, in tutti gli esemplari, in corrispondenza di questa
macchia, la cuticola è alquanto depressa, più sottile, e mostra
una struttura differente da quella che ha nel resto dell'oftalmo-
podo. Evidentemente qui si tratta di un residuo di occhio, del
quale, come ho già detto, non esiste traccia nelle altre Typhlo-
caris e negli altri Decapodi cavernicoli. Lo stato di conserva¬
zione degli animali non mi ha permesso di constatare se ad esso
corrisponda internamente qualche resto di elementi retinici.
L'esame degli esemplari della nuova specie, nonché di quelli
delle altre due, che ho potuto avere a mia disposizione, mi ha
dato agio di notare alcune particolarità di struttura, comuni a
tutto il genere, ma non rilevate dai precedenti osservatori, delle
quali darò breve notizia.
Le setole olfattive non sono, come negli altri Caridei, di¬
vise in segmenti e gradatamente più sottili dalla base alla punta;
ma intere e composte di una parte basale, ristretta a tuo’ di
picciuolo, e di una distale, più lunga e più grossa. Il loro nu¬
mero è di molto inferiore a quello di Caridei forniti di occhi
bene sviluppati, p. es. di Leander.
Finora non erano state trovate statocisti. Queste in realtà
vi sono, ma hanno struttura affatto speciale; l'apertura è dispo¬
sta in modo da non permettere l'introduzione di statoliti dall'e¬
sterno; questi invece sono prodotti neH'interno delle setole sta¬
tiche, le quali hanno subita una profonda modificazione.
Le tre ultime paia di zampe portano lunghe e flessibili se¬
tole piumose, disposte in doppia serie, lungo il margine esterno
del propodite. Sono senza dubbio setole di senso, e probabil¬
mente servono alla percezione dei movimenti dell'acqua.
In due maschi di T. salentina ed in uno di T. lethaea ,
ho trovato, aderenti alle aperture genitali, due spermatofore; que¬
ste sono coniche, alquanto allungate, e constano di un involu¬
cro piuttosto resistente e di una massa spermatica contenuta in
esso. Si tratta dunque di vere spermatofore che il maschio porta
seco, finché non gli si offra l'opportunità di attaccarle alla fem¬
mina; al contrario di ciò che si ritiene avvenga negli altri Ca¬
ridei, nei quali lo sperma è versato direttamente sul ventre della
267 —
femmina, e nei quali, in ogni caso, non sono state mai osser¬
vate spermatofore aderenti agli orifizi sessuali.
Termino con un accenno allo strano modo di nutrirsi della
T. salentina. Nella grotta nella quale essa fu rinvenuta, trovano
ricovero numerosissimi Chirotteri, i cui escrementi formano sul
suolo uno spesso strato di guano. Gli escrementi cadono anche
nell'acqua dove vive la Typhlocaris , ed è proprio di questi che
essa si nutre, come ho potuto constatare esaminando lo stomaco
di un esemplare, il cui contenuto era costituito di resti e fram¬
menti di scheletri chitinosi di Insetti, cioè degli stessi elementi
che costantemente si rinvengono nello sterco dei pipistrelli. Poi¬
ché con la Typhlocaris non è stato mai pescato nessun altro
animale, si può supporre che per la mancanza, o per lo meno
la scarsezza, di altro cibo, essa si sia dovuta adattare a questa
sorta di nutrimento.
Finito di stampare il 15 dicembie 1923.
Bollettino della Società dei Naturalisti di Napoli.
COMUNICAZIONI VERBALI
Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti.
Fecondazione a distanza in Ginkgo biloba Linn. e
in Araucaria Bidwilli Hook.
Comunicazione verbale
del socio
Fr* Cavata
(Tornata del 31 dicembre 1922)
La Ginkgo biloba Linn., la pianta mistica del Giappone, il “ Mai'-
denhair „ albero capelvenere degli Inglesi, introdotto in Europa tra il
1727 e 1737, e diffusosi rapidamente per la eleganza del suo fogliame,
è pianta dioica, e quasi sempre sono individui maschili che si riscon¬
trano nelle collezioni degli Orti botanici, o dei parchi, evidentemente
ottenuti per via agamica. Nel nostro Orto' botanico sonvi due grandi
esemplari, entrambi maschili, e parecchi altri giovani, ottenuti da qual¬
che anno per semi, dai quali si aspettano, con ansietà, individui fem¬
minili. Alcuni di questi esemplari si ebbero, intanto, da semi di una vigo¬
rosa pianta femminile del cortile del Politecnico, la quale quasi ogni anno
si ricuopre abbondantemente di fiori, e matura pur copiosi frutti. E fu
il Chiare Collega ed amico, Prof. Orazio Rebuffat che me li favorì.
Il fatto che questa pianta di Ginkgo biloba , cresciuta fra quattro
pareti di alto fabbricato, conduce a maturità una parte soltanto di una
congerie di ovuli che essa produce, sta a dire che non si tratta di una
possibile partenogenesi, ma di una parziale fecondazione dei suoi fiori
dovuta a polline portatovi dal vento, e senza dubbio, dalle due piante
dell’ Orto botanico, per quanto distino di un chilometro e forse più.
Vi è da escludere, intanto, che la pianta possa essere eventualmente
monoica, poiché ciò sarebbe certo stato avvertito dal Professore Rebuf¬
fat il quale richiamava la mia attenzione sulla enorme quantità di
fiori femminili, che, infecondati cadevano al suolo, ed io stesso ebbi
a constatarlo in una visita che feci all' uopo al Politecnico : nessuna
traccia di amenti maschili sul terreno.
Sì aveva, perciò, una fecondazione longinqua operata dai venti di
— 4 —
Nord-Ovest che attraversando la collina di Capodimonte e lambendo
la sottostante valle, ove si adagia l’Orto botanico, trasportano il pol¬
line verso la marina.
Intorno alla fecondazione della Ginkgo biloba in Europa sonosi rac¬
colti dei dati assai curiosi ed interessanti. In un recente articolo apparso
nel Bulletin of Miscellaneous information del Royal Botanic Gardens
di Kew, il Dallimore, dopo aver riferito che un vecchio albero di Ginkgo
del Giardino di Kew aveva dato alcuni frutti da un ramo di pianta
femminea innestato nel 1911, riporta alcune considerazioni che, a tale
riguardo, ha fatto il Prof. Went, direttore del Giardino botanico di
Utrecht, il quale richiama l’attenzione su di un fatto assai singolare e
cioè che una pianta maschile, forse centenaria, di Ginkgo aveva emesso
un ramo portante frutti. Siccome da qualche anno erano stati atterrati
degli Olmi, pur secolari, la cui ombra si proiettava sulla Ginkgo, il
Went si domanda se il cambiamento di condizioni sopravvenuto a tal
fatto non possa essere la causa del fenomeno, essendo egli certo che
dal 1896, anno in cui egli assunse la Direzione dell'Orto botanico di
Utrecht, la pianta mai aveva presentato frutti in alcun suo ramo.
Il Dallimore riferisce anche che nel 1914, il nostro Re chiese al
Direttore dei Giardini Reali di Kew notizie sul modo di fruttificazione
della Ginkgo biloba , dappoiché due esemplari di questa pianta esistenti
nel Giardino del Quirinale, si caricano ogni anno di frutti per quanto
non esistano piante maschili in Roma. E' da ritenere, peraltro, che nei
dintorni della capitale qualche esemplare di pianta maschile ci sia, e
si avveri là, lo stesso fenomeno che ho riferito per la pianta del Poli¬
tecnico di Napoli.
Relativamente al caso citato dal Went, non è improbabile si tratti
di una subitanea mutazione conseguente forse alle cambiate condizioni
di illuminazione e di aerazione. Del resto è noto che anche in alcune
conifere dioiche, si verifica talora la produzione di amenti maschili in
piante femminili e vice-versa, come nel Taxus boccata ad es. Così pure
a Pisa, secondo riferisce il Longo, una pianta maschile di Idesia poly-
carpa, diede un anno frutti in un suo ramo; d'onde poi questo botanico
pretese di definire tal fenomeno cambiamento di sesso.
In alcune piante questa variabilità è suscettibile di una certa flut¬
tuazione. Così nell' Amacaria Bidwilli Hook, si hanno individui mo¬
noici e piante dioiche. Così alTOrto botanico di Catania vi era, quando
vi fui alla Direzione (1901-1905), un magnifico esemplare monoico, il
quale pur essendo isolato e producendo amenti maschili nei rami in¬
feriori e strobili in alto, maturava normalmente semi perfetti. All’Orto
botanico di Napoli invece, vi è un magnifico esemplare di Araacaria
- 5 -
Bidwilli , portante solo fiori femminili, e per molti anni ha lasciato ca¬
dere i suoi enormi strobili senza alcun seme buono : si aveva, cioè1
semplice partenocarpia.
Nel passato autunno, per altro, si sono avuti oltre 80 semi perfetti
da due strobili, il che mi ha fatto pensare che si tratti anche qui di
fecondazione longinqua, cosa che ho potuto assodare in primavera esa¬
minando gli esemplari che si trovano nelle vicinanze; e così ai Giar¬
dini di Piazza Cavour, ove esiste uno splendido esemplare che si mo¬
strava carico di amenti maschili, e così pure in opposta direzione al¬
tro cospicuo esemplare al Cimitero degli Inglesi all’Arenaccia. Mi si as¬
sicura inoltre che in ville private nelle adiacenze della Specola di Ca¬
podimonte esistono anche piante monoiche che maturano pure frutti e
semi buoni.
Resta, intanto, a domandarsi come solo quest’anno la pianta dell'Orto
botanico che, a mio giudizio, è pressoché coeva di quella dei due giar¬
dini citati, abbia potuto dare frutti fecondi, mentre ha dato per anni e
anni frutti spuri o partenocarpici. La natura ha pur tanti ancora segreti
da disvelare!
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
Il bradisisma in relazione colFattività vulcanica dei
Campi flegrei.
Comunicazione verbale
del socio
Dr. Francesco Signore
(Tornata ordinaria 8 luglio 1923)
11 1920 iniziai lo studio fisico dei Campi Flegrei, il lavoro com¬
pleto vedrà tra breve la luce, intanto mi piace annunciare a questo
Consesso che ho potuto stabilire una relazione tra il bradisisma e l'at¬
tività vulcanica dei Campi Flegrei. Il mio lavoro mostra che le zone,
ove maggiormente si ha l’abbassamento, sono quelle in cui si esplicano
ancora i fenomeni termici, ed inoltre che l'attuale incremento dell’atti¬
vità vulcanica dei Campi Flegrei dipende dal rapido abbassarsi della
zona.
Finito di stampare il 20 agosto 1923.
Caso di atrofia del cieco epatico dorso-cefalico in
una Phyllirhoe bucephcila Peron et Leseur.
Comunicazione verbale
del socio
Prof* Giuseppe Zirpolo
(Tornata del 29 luglio 1923)
È noto che i ciechi epatici della Phyllirhoe bucephala Peron et Leseur
sono normalmente quattro ed è questo uno dei caratteri che i sistema¬
tici adoperano nella determinazione della specie.
Fra numerosissimi esemplari da me esaminati, per ricerche com¬
piute sulla simbiosi fra Zooxantelle e Phyllirhoe l), mi è occorso trovare
un esemplare i cui ciechi epatici erano tre invece di quattro. Ho, in un
primo momento, pensato a qualche altra specie i cui ciechi epatici sono
tre come la Ctilopsis picteti E. André, ma la presenza di due gonadi
e gli altri caratteri non appartenenti affatto a quest' ultima mi hanno
convinto trattarsi di una forma anormale della Phyllirhoe bucephala
Peron et Leseur.
Nella bibliografia, per quanto vasta, non sono registrati che sola¬
mente dal Vessichelli 2), nella sua accurata Memoria, tre esemplari che
presentavano i ciechi epatici con piccoli diverticoli ed una sola volta
un esemplare che aveva la completa atrofia del cieco epatico dorso ce¬
falico. Nel mio esemplare si tratta proprio di un caso simile. Il cieco
epatico dorsale anteriore, che piglia origine direttamente dalla regione
intermedia fra lo stomaco e l’intestino, manca completamente nel punto
dove ora è residuata una zona circolare corrispondente allo sbocco del
cieco.
£) Zirpolo, G. — Sulla simbiosi fra Zooxantelle e Phyllirhoe bucephala
Peron et Leseur. Boll. Soc. Nat. Napoli, Voi. 35, p. 129, 1923.
2) Vessichelli, N. — Contribuzioni allo studio della Phyllirhoe bucephala
Peron et Leseur. Mitth. Z. Stat. Neapel, Bd. 18, p. 105, Taf. 5-6, 1906.
- 8
Precedentemente in un altro esemplare io avevo notato una ridu¬
zione notevole proprio di questo cieco epatico dorsale anteriore, previo
uno strozzamento avvenuto trasversalmente nella sua lunghezza, ma poi
non potetti seguire l’ulteriore destino perchè l’animale visse pochi giorni
appena. Sono, infatti, le Phyllirhoè gasteropodi così delicati che rara¬
mente vivono qualche settimana nelle nostre vasche. Ma alla forma pre¬
sentemente invenuta riconnettendo l’altra in precedenza osservata è pos¬
sibile dedurre che sia avvenuta un' atrofia di uno dei ciechi epatici,
come è stato già per due volte osservato.
D'altra parte ho potuto ancora osservare ultimamente che una
Phyllirhoè ha morsicato un’altra compagna, asportando buona metà del
cieco epatico dorso cefalico. Nello spazio di due o tre giorni il mar¬
gine del corpo si è rigenerato, mentre il cieco epatico è rimasto cica¬
trizzato in quel punto. Se lo strappo fosse stato più profondo l'avrebbe
asportato tutto, onde è presumibile che, la mancanza del cieco epatico
dorso cefalico può essere causato oltre che da atrofia, anche da man¬
cata rigenerazione in seguito a lesione subita.
Napoli, Stazione Zoologica , luglio 1923.
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
Su di un caso di cleistogamia deir Orchis macu¬
lata L.
Comunicazione verbale
del socio
Giuseppe Colomba
(Tornata del 29 luglio 1923)
Nel riordinare, quale assistente volontario, alcuni materiali nel Ga¬
binetto di Orticoltura della R. Scuola Superiore di Agricoltura in Por¬
tici, trovai, in un tubo da saggio, conservato in alcool, un esemplare
d'infiorescenza di un’orchidea.
Il Prof. De Rosa, al quale ne richiesi, mi disse che si trattava di
un caso di cleistogamia àt\V Orchis maculata L. e, aggiunse pure, che
quella infiorescenza l’aveva trovata fra molte altre, normalmente fiorite,
che in massa erano state messe in mostra nell’Esposizione floreale-or¬
ticola tenutasi in Napoli, nella Villa Comunale, dal maggio al luglio del
1911 in occasione della celebrazione del cinquantenario del regno d’Italia.
Il Prof. De Rosa ritiene che quelle infiorescenze di Orchis prove¬
nivano dalla raccolta che, sulla collina dei Camaldoli ed adiacenze, se
ne fa dai cosidetti soccavesi (abitanti di Soccavo, piccolo comune a NW
di Napoli) che esercitano, fra l'altro, l’industria di raccogliere fiori e
fogliami, muschi e terriccio, per fornirne, specialmente in certe stagio¬
ni, i fiorai ed orticoltori.
Egli stesso mi incoraggiò a che mi fossi occupato di studiare quel
caso teratologico, che egli riteneva non frequente. Io alle prime armi in
fatto di lavori di questo genere non mi sarei accinto a provarmi se non
fossi stato sicuro di trovare guida e appoggio in lui, che, con paterna
cura e amorevole sollecitudine, mi inizia allo studio della Botanica e,
specialmente, all'osservazione diretta delle forme e dei fenomeni na¬
turali.
Per poter mettere in rilievo il caso, da me studiato, credo oppor¬
tuno ricordare specialmente la struttura fiorale della Orchis maculata
L. nella condizione normale: Infiorescenza a spiga, cilindrica, di cm. 15
— 10 —
circa, contenente un numero di fiori variante che oscilla, d'ordinario,
fra un minimo di 25 ed un massimo di 30-35, mentre Finterò asse ar¬
riva fino a cm. 50 circa. Le foglie bratteali sono lanceolate, acuminate,
nella maggior parte più brevi dei fiori.
Il fiore è irregolare col perigonio supero formato di sei tepali, di
forma e grandezza diversa, disposti in due verticilli nei quali i tepali
si alternano. Di tali tepali tre formano il verticello interno. Ma di essi
due sono simili fra loro ed il terzo (labello) è diverso, perchè più largo,
diviso in tre lobi, dei quali il mediano è ovato, acuminato e i due la¬
terali larghi di circa il doppio; questo labello si conforma alla base a
sperone più breve dell’ovario. Il colore del perigonio è rosa carminato
con tendenza al violaceo: non mancano delle variazioni di colore più
o meno carico e per eccezione se ne è trovato qualcuna a fiore bianco,
come comunicò a questa Società il prof. De Rosa nella nota « Su di
un Muscari ed un Orchis a fiore bianco » (Boll. Soc. Nat. Napoli, anno
XVII, voi. XVII, 1903) e come lo stesso prof. De Rosa mi afferma di
aver riconosciuto in un ritratto all'acquarello, in una tavola che trovasi
nei cimelii cavoliniani donati all' Istituto zoologico della R. Università
che, però, ebbe agio di vedere vari anni dopo la sua nota.
Fig. 1.
Quando il fiore è ancora chiuso (fig. 1) il labello è posto in alto, più
vicino all'asse della infiorescenza, ma, quando il fiore si apre, Fovario,
sul quale sono inseriti tutti gli organi fiorali, subisce una torsione per
la quale il labello resta dalla parte inferiore rovesciandosi all’ esterno
come un grembiule. E' questo labello che porta alla base lo sprone nel
quale si raccoglie il nettare.
Il caso di cleistogamia studiato potrebbe quindi spiegarsi nella man¬
cata torsione dell’ovario per cui il labello non si è rovesciato e il fiore
— 11 —
è rimasto chiuso. Nel centro di ogni fiore esiste una colonnetta, il gi-
nostemio, la quale non è altro che uno stame e un pistillo che sono
cresciuti saldandosi insieme. L'antera, in alto, ha
due caselle che hanno forma di piccole borse,
deiscenti, per mezzo di due fenditure e dentro
di esse il polline, invece di trovarsi in granuli
separati, si trova in due masse, a forma di clave,
che finiscono dalla parte inferiore, più stretta,
con un piccolo rigonfiamento attaccaticcio. Nella
parte inferiore del ginostemio vi è una piccola
superficie vischiosa rappresentante lo stimma e,
come si è ricordato, il ginostemio è collocato
sopì a un ovario triloculare ed infero.
Trattandosi di Orchis maculata , ricordo che
essa differisce dalle altre Orchis , oltre che per i
caratteri del fiore, perchè ha le radici tuberiformi
Fig. 3.
che, invece di esser ovoidee, sono lobate, con dei prolungamenti somi¬
glianti alle dita della mano e, come si dice, digitate. Le foglie inferiori,
lanceolate, sono macchiate sulla superficie da chiazze di colore bruno
rossastro.
— 12 —
Nella infiorescenza che presento, fig. (2) anche ritratta in disegno, si os¬
servano ovari ingranditi formando le caratteristiche capsule delle quali al¬
cune portano ancora la corolla disseccata fig. (3) ed in relazione anche l’in¬
grossamento graduale dell’ovario. Se intanto non si dovesse ammettere
l’avvenuta fecondazione, malgrado la mancata apertura del fiore, non sa¬
rebbe facile spiegarsi l’accrescimento normale dell’ovario, perchè sta in
fatto che sono assai rari i casi nell'O. maculata che qualche fiore non
resti fecondato e di conseguenza non si riscontra 1' accrescimento del¬
l’ovario e della conseguente formazione della capsula. Non mancherò
d' altra parte di procedere ad un più accurato esame sugli ovuli che
vi sono contenuti e ciò per assicurarmi della loro condizione normale
di fecondazione avvenuta.
Intanto data la specialità del caso da me osservato, che non è in¬
frequente in altre piante, ma abbastanza raro nelle orchidee, ho cre¬
duto di prendere data con questa mia comunicazione, tanto più che non
ho riscontrato niente di simile nella letteratura che ho avuto agio di
scorrere finora.
Finito di stampare il 20 agosto 1923
Su di un caso teratologico in un Citrus limonum
v . digitata Risso.
Comunicazione verbale
del socio
Giuseppe Colomba
(Tornata del 12 agosto 1923)
Fra il materiale, che il Prof. De Rosa raccoglie da anni per la col¬
lezione del suo Museo, ho trovato uno strano frutto di Citrus limo¬
num Risso, finora poco conosciuto, e del quale credo opportuno farne
una comunicazione.
Si tratta di un frutto di limone che si presenta in una forma ec¬
cezionale, cilindrica, un po' curvata, a base quasi ottusa e leggermente
acuminata all'apice. Ha una lunghezza di cm. 12,5, per un diametro di
cm. 2,5 l’epicarpio rugoso, ricordante quello dei comuni limoni della
costiera d'Amalfi. Proviene infatti l'esemplare, probabilmente, proprio da
quelle contrade. La parte interna dello esperidio consiste nello sviluppo
di un solo spicchio aspermo, sviluppato nel senso della curva esterna,
così che subito si dimostra che risulta da un carpello unico.
Ho creduto consultare un po’ la letteratura avendo avuto il dubbio
che la forma di tale frutto, che potrebbe riportarsi a quella netta di un
dito, possa essere una delle forme rilevate dal Penzig ( Studi botanici
sugli agrumi, Annali di Agricoltura, anno 1887). Questi però parla di
una forma digitata dovuta a divisione dei carpidii, cosa, del resto, che
— 14 —
egli stesso ha varie' volte riscontrata nel così detto “ arancio stellato „
dove i carpidii, divisi, irradiano dalla base del frutto, come centro, in
tutti i sensi. Il Penzig però riferisce il frutto digitato, non a questa for¬
ma stellata, ma bensì ad un’altra detta “ frutto corniculato „ dovuto al
fatto che solo un carpello si stacca dal cerchio degli altri e sporge
fuori. Aggiunge pure, egli, che i frutti a forma digitata, coltivati spesso
nei nostri giardini, non lasciano distinguere bene gli stimmi all’ apice
di quelle prominenze digitiformi, e non vi entrano logge ovariali, mo¬
strando essi nel loro interno solo il tessuto bianco spugnoso del me¬
socarpio. Queste forme però, cui accenna il Penzig, non trovano esatto
riscontro in quella da me esaminata.
Il Penzig si riferisce sempre all’arancio ( Citras aurantiam L.) e
non accenna ai casi simili ed omologhi del limone (C. limonimi R.). E
poi le prominenze, che il frutto ricordato presenta, sono, come si è
detto, prominenze nelle quali, però, non vi entrano logge ovariali, per¬
ciò da ritenersi come determinate da accrescimento anormale dell’epi¬
carpio e del mesocarpio, cioè variazioni normali della buccia. Anche il
Savastano (Le forme teratologiche dei fiori e del fratto degli agrami ,
1884) non fa cenno ad altro che a questo anormale accrescimento del¬
l'epicarpio e mesocarpio, accrescimento talora localizzato a striscie o a
punti come tante creste. Nel caso attuale, invece, l’intero corpo digitato
costituisce un frutto intero che, per quanto aspermo, deve ritenersi
completo.
Così evidentemente devesi considerarlo come un vero e proprio
frutto anormale, prodotto dall’accrescimento del solo carpello presente
e di conseguenza, probabilmente, l'anomalia di questo frutto è in diretta
funzione dell'anomalia del’ fiore nel quale, effettivamente, l'ovario do¬
veva essere costituito da un solo carpello.
Il caso è tanto più notevole che nelle forme coltivate di limone è
anche meno frequente quello che si verifica nell’arancio e cioè una
moltiplicità di carpelli così che non è addirittura raro il caso di avere
frutta con un numero di logge maggiore della normale.
Finito di stampare il 30 agosto 1923.
Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli.
RENDICONTI DELLE TORNATE
(PROCESSI VERBALI)
PROCESSI VERBALI DELLE TORNATE
Tornata ordinaria del 13 agosto 1922.
Presidente : E. Cutolo — Segretario : C. Gargano
Soci presenti : Carrelli, Zirpolo, Giordani M., Pierantoni, Siniscal¬
chi, Guadagno, Giordani F., Cavara, Marcucci, Quintieri, Mazzarelli
Giuseppe, Mazzarelli Gustavo, D'Avino, Bakunin.
Si apre la seduta alle ore 15.30 in seconda convocazione.
Si legge e si approva il processo verbale della tornata precedente.
Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute
in dono.
Il socio Pierantoni legge un lavoro dal titolo : L’organo dorsale del
Pyrosoma giganteum , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Mazzarelli legge tre comunicazioni: Sulla biologia dell’o¬
strica. 1. Note sulla biologia dell'ostrica (Ostrea edulis L.); 2. La sorte
del fregolo bianco nelle ostriche madri tenute in piccoli acquari; 3. Se
l’ostrica del Fusaro possa considerarsi come una forma locale , e ne chie¬
de la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Carrelli legge un lavoro dal titolo: La decomposizione elet¬
trica delle righe spettrali , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Gargano legge una nota su: La cultura dei tessuti in vi¬
tro, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Guadagno legge un lavoro dal titolo: La vegetazione del
M. Nuovo e le sue origini , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Zirpolo legge una nota del socio Cotronei: Ricerche sul
pancreas dei Petromizonti, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino
a nome dell' A.
Si decide di prendere le vacanze sociali fino al novembre.
Vengono ammessi soci ordinarii residenti: il prof. Antonio Gar-
giulo e a socio ordinario non residente il sig. Giuseppe Colomba.
Si chiude la tornata alle ore 17,30.
Assemblea Generale del 31 dicembre 1922.
Presidente : E. Cutolo — Segretario : C. Gargano
Soci presenti: De Rosa, Monticelli, Cavara, Quintieri, Giordani M.,
Zirpolo, Pierantoni, Guadagno, Gargiulo, Califano, Mazzarelli Giuseppe,
Mazzarelli Gustavo, Chistoni, Giordani F., D’Evant, Piccoli.
Si legge e si approva il processo verbale della tornata prece¬
dente.
Il Segretario presenta i nuovi cambi pervenuti e le pubblicazioni
donate.
Il Presidente comunica all'Assemblea le pratiche svolte per la si¬
stemazione dei locali.
Il socio Gargano propone alFAssemblea la votazione per acclama¬
zione a socio benemerito del Presidente Prof. Enrico Cutolo per il va¬
lido interessamento svolto in tutte le pratiche riguardanti la sistema¬
zione dei locali e le cospicua concessione di sussidi ottenuti per la sua
opera.
La proposta è accolta ad unanimità dai soci.
Il socio Zirpolo legge un lavoro dal titolo: Osservazioni sullo svi¬
luppo dei rami coloniali del Zoobotryon pellucidum Ehrbg., e ne chiede
la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Gargano fa una comunicazione: SulVazione del radio e
delle folgorazioni sugli epiteliomi.
Il socio Mazzarelli fa una comunicazione: Sulle ostriche perlifere .
Il socio Pierantoni in seguito alla comunicazione del socio Maz¬
zarelli propone che la Società faccia un voto presso il competente Mi¬
nistro per mettere in piena efficienza la stazione idrobiologica del
Lago Fusaro.
Il socio Gargano propone che 1' Assemblea faccia un voto al Mi¬
nistero della P. I. per sospendere il provvedimento di soppressione della
cattedra di Embriologia generale nella Facoltà di Medicina.
Il socio Chistoni propone un voto perchè si faccia subito il con¬
corso per Direttore del R. Osservatorio Vesuviano.
Il socio Zirpolo legge una comunicazione a nome del socio Caroli :
Sulla presenza nel Golfo di Napoli della Penilia Schmackeri.
Il socio Cavara fa una comunicazione: Casi di impollinazione loti-
ginqua in Araucaria e Gingko biloba.
Il socio De Rosa a nome del socio Siniscalchi propone che la So¬
cietà faccia un voto presso il Municipio di Napoli per sollecitare i la¬
vori di edificazione della nuova sede del Museo Trinchese.
— V —
Viene approvato il seguente:
Voto
La Società dei Naturalisti in Napoli, nell’assemblea generale dei
soci del 31 dicembre 1922, venuta a conoscenza della deliberazione del
Consiglio Comunale di Napoli circa la costruzione di un padiglione
pel museo civico Trinchese;
Considerato il numero di circa 3090 alunni che frequenta per anni
detto Museo;
Considerato il grande vantaggio che la popolazione scolastica ope¬
raia riceve da questa istituzione;
Considerato che l’Assessore della Pubblica Istruzione ha elaborato
un progetto di riforma per l’insegnamento di scienze naturali con corsi
popolari, il quale non potrà effettuarsi se il Museo non è costruito
fa voti
perchè al più presto siano iniziati i lavori per il costruendo padiglione
onde tutta la popolazione scolastica operaia e popolare possa durante
l’anno usufruirne.
Il socio Anile passa dalla categoria dei soci ordinari residenti a
quelli di non residenti.
Sono ammessi soci ordinari residenti i signor Professori Roncali,
Fedele, Parascandolo ed a socio ordinario non residente il Dott. Palombi.
Costituitosi il seggio elettorale nella persona dei soci Ugo Milone,
Califano, Mazzarelli Gustavo risultano eletti :
Vice Presidente : Chistoni Ciro
Segretario : Monticelli Fr. Sav.
Consiglieri : Quintieri Luigi
Guadagno Michele
ed a Revisori dei conti i socìi:
Oreste Forte
Luigi D’Emilio
L’Assemblea è sciolta alle ore 19,30 dopo aver approvato il pro¬
cesso verbale della seduta.
— VI
Tornata ordinaria del 7 gennaio 1923.
Presidente : E. Cutolo — Segretario : Fr. Sav. Monticelli.
La tornata si apre alle ore 17.
Soci presenti : Chistoni, Pierantoni, Cavara, Zirpolo, Siniscalchi,
D’ Emilio, Marcello, De Rosa, Mazzarelli Giuseppe, Mazzarelli Gustavo,
Geremicca F., Guadagno, Giordani F.
Si legge il processo verbale dell’Assemblea precedente già approvato.
11 socio Cavara discute sulle varie incongruenze che si notano nei
pareri formulati dal C. S. della P. I. per l' insegnamento della Bota¬
nica, Zoologia ed Anatomia Comparata. Il ridurre l'insegnamento di
botanica ad un corso semestrale significa togliere tutta l’importanza di
questa disciplina ed è meglio abolirla anzicchè permettere la impossi¬
bilità di fare un corso che possa essere utile agli studenti di Medicina
e di Farmacia. Parimenti l'alternare un corso di Zoologia con quello di
Anatomia comparata è una incongruenza che non si può spiegare se non
ammettendo che nel C. S. manchino elementi adatti ad intendere il va¬
lore e l’importanza di quelle discipline per la serietà degli studi.
Propone quindi che si faccia un voto in cui si dichiari che è ne¬
cessario che nel C. S. vengano chiamati uomini competenti delle varie
Facoltà e di gruppi di materie.
I soci Pierantoni e Monticelli credono che bisogna fare un voto per¬
chè vengano chiamati a far parte del C. S. i vari competenti, e per
ciò che riguarda la sistemazione delle varie materie si deve soprasse¬
dere perchè non è ancora pervenuto il regolamento del Ministro della P. I.
Viene proposto dalla Presidenza e si approva il seguente:
Voto
La Società dei Naturalisti in Napoli, nella tornata del 7 gennaio 1923;
Considerando che nei pareri formulati dal C. S. della P. I. sui
nuovi ordinamenti degli insegnanti delle diverse Facoltà si notano delle
incongruenze, specialmente per ciò che riguarda le materie delle Fa¬
coltà di Scienze Naturali (vedi pareri dell’insegnamento della Zoologia,
Anatomia comparata e Botanica);
Considerando che tali incongruenze sono dovute al fatto della man¬
canza nel suddetto consesso dei rappresentanti pei gruppo di materie
biologiche delle Facoltà di Scienze Naturali.
fa voti
perchè nel C. S. della P. I. vengano chiamati a far parte i rappresen¬
tanti dei singoli gruppi delle materie appartenenti a ciascuna Facoltà,
— VII
affinchè il Consiglio Superiore stesso possa essere competente nelle que¬
stioni riguardanti ciascuno di questi gruppi.
Il socio Chistoni propone un voto per gli assistenti ed aiuti, di¬
cendo che le delimitazioni degli anni a 6 ed a 8 è un grave inconve¬
niente per i laboratori di scienze pure.
II socio Mazzarelli Giuseppe dice di accettare il voto Chistoni e
propone che si faccia bene intendere la differenza fra assistenti di cli¬
niche e quelli di scienze pure.
Che se per i primi un rinnovamento può giovare di molto, per i
secondi è una rovina.
Propone poi che data la scarsezza di cattedre universitarie i gio¬
vani assistenti possano entrare nelle scuole medie.
Il socio Pierantoni si associa alla divisione del voto che propone
Mazzarelli e vorrebbe che fosse motivato col far intendere che andando
via gii assistenti non c’è chi li sostituisca.
Il socio Monticelli dice che bisogna soprassedere perchè la no¬
tizia non è ancora certa, ma che nel caso si faccia tal voto si debba
insistere sulla differenza fra le varie specie di assistenti.
Cutolo riepiloga la discussione e propone il seguente :
Voto
La Società dei Naturalisti in Napoli nella tornata del 7 gennaio
1923 essendo informata di possibili proposte per limitazione di tempo
che si vorrebbe assegnare alla durata in carica degli aiuti e degli assi¬
stenti;
Considerando che bisogna fare una distinzione fra assistenti di la¬
boratorio di scienze pure ed assistenti di laboratorio con applicazioni
pratiche (clinici);
Considerando che una limitazione di sei od otto anni per gli as¬
sistenti dei laboratori di Scienze pure arrecherebbe un danno incalco¬
labile alLincremento delle produzioni scientifiche ed alla formazione di
un seminario di aspiranti alle cattedre universitarie;
Considerando che per il tempo occorrente affinchè un laureato
possa divenire un provetto assistente, ogni limitazione di tempo co¬
stringerebbe i Direttori di laboratori a formare sempre nuovi assi¬
stenti, perdendoli proprio nel momento in cui la loro opera diviene piu
proficua ;
Considerando che una tal legge priverebbe subito un gran numero
di laboratori di assistenti già pratici e difficilmente sostituibili per man¬
canza di personale; come dimostra la grande difficoltà già esistente nel
sostituire i posti vuoti nelle materie puramente scientifiche;
perchè il Ministro della P. I. nel caso in cui voglia addivenire ad una
delimitazione di tempo, questa non riguardi gli assistenti ed aiuti dei
laboratori di Scienze pure.
La tornata si chiude alle ore 20 dopo avere approvato il suddetto
Voto.
Assemblea generale del 4 febbraio 1923.
Presidente: E. Cutolo — Segretario : Fr. Sav. Monticelli
Soci presenti: Chistoni, Marcucci, Fedele, Capozzoli, Roncali, De
Rosa, Palombi, Guadagno, Giordani F., Giordani M., Bakunin, Co¬
lomba, Parascandola, Mazzarelli Gustavo, Forte, Geremicca F., Zirpolo,
Milone, Quintieri, D’Evant, Piccolo.
Si legge e si approva il processo verbale della tornata precedente.
Il Presidente annunzia la morte del socio Marzio Cozzolino.
Il socio De Rosa dice inattesa la morte del socio Cozzolino e parla
del valore dello studioso che nonostante sia morto in età giovane, ap¬
pena trentaquattrenne, pure lascia notevoli lavori degni della consi¬
derazione degli studiosi. Manda un saluto alla memoria del socio così
presto scomparso.
Il Presidente si associa e dice di inviare le condoglianze della
Società alla famiglia.
Il Presidente comunica le risposte del M. della P. I. in ordine ai
voti emessi dalla Società per la riforma del C. S. della P. I. e per gli
assistenti universitari.
Il socio Fedele legge un lavoro dal titolo : Simmetria ed unità di¬
namica nelle catene di Salpa , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Palombi legge un lavoro dal titolo: Diagnosi di nuove
specie di policladi della R . Nave Liguria , e ne chiede la pubblicazione.
Il socio Chistoni dice che il voto sulla laurea in Geografia emesso
dalla nostra Società sarà un fatto compiuto nel prossimo anno scolastico.
Il socio Chistoni inoltre comunica che nel giornale universitario il
Prof. Monti annuncia che il Magistrato delle acque di Padova ha inca¬
ricato tre professori viennesi per il rilevamento geologico nella Venosta,
Pusteria, Val d’Isarco. Ora tutto questo va a disdoro dell’Italia e degli
scienziati italiani. Pare impossibile che in Italia non vi sia gente che
possa -fare di questi rilievi e che si debba ricorrere a scienziati stra¬
nieri e per giunta a gente che partecipò a Caporetto contro l'Italia.
Propone che la Società invii direttamente al Presidente del Consi¬
glio dei Ministri la sua protesta vibrata onde il grave sconcio sia eli¬
minato.
Riferisce inoltre sulle sorti dell’Osservatorio geografico di Pola e fa
voti perchè queirimportante Osservatorio geografico sia restituito al più
presto al suo decoro.
Il socio Chistoni inoltre dice che si è ottenuto, in seguito ai nu¬
merosi voti formulati dalla Società che l'Istituto geografico militare fac¬
cia la livellazione dei Campi Flegrei dal Capo Miseno a Fuorigrotta con
uno sviluppo di 70 Km. e che ora farà la livellazione partendo dal
Mandracchio, Istituti Universitari!, Orto botanico fino a S. Maria del
Pianto.
Guadagno riferisce sul Tunnel di Posillipo e prega il Presidente di
interessare direttamente il Sindaco, perchè si occupi della cosa.
Il socio Gargano legge la relazione sull'andamento morale e finan¬
ziario della Società per l’anno 1922.
Egregi Consoci ,
Lo Statuto ed il regolamento della nostra Società concedono al
Segretario uscente l’onorifico incarico di leggervi a nome del Consiglio
direttivo la relazione sull’andamento morale e finanziario per l’anno 1922.
Ed è con orgoglio e con dolore, che adempio a questo incarico,
con orgoglio perchè ho l’opportunità di potervi mostrare l’incremento
sempre crescente della nostra società ; con dolore, perchè dopo un
biennio lascio i compagni di lavoro del Consiglio direttivo, con i
quali da molti lustri mi legano vincoli di affetto e d’amicizia sincera.
Soci. — Il numero dei soci al 31 dicembre era di 116 divisi in
soci ordinari residenti 66, soci ordinari non residenti 34 e soci ade¬
renti 16.
Sono stati ammessi come soci ordinari residenti i signori proff.
Bakunin Maria, Pomilio Umberto, d'Emilio Luigi, Capozzoli Rinaldo,
Corradini Flavio, del Regno Washington, Fiore Guido, Gargiulo An¬
tonio, Roncali Demetrio Bruto, Fedele Marco e Parascandola Antonio.
Sono stati ammessi come soci ordinari non residenti i signori
proff. Valerio Rosaria, Fiore Maria, Dalla Brida Costantino, Lo Giudice
Pietro, Cotronei Giulio, Colomba Giuseppe, Palombi Arturo.
Il Consiglio direttivo ha trasferito i soci Mauro Anna Maria ed
Anile Antonino dalla categoria di soci ordinari residenti a quella di
soci ordinari non residenti ; i soci Geremicca Federico e Carrelli An-
X
tonio da soci ordinarli non residenti a soci ordinarli residenti ed il
socio aderente Sbordone Annibaie a socio ordinario non residente.
Ma se con un senso di vero piacere constatiamo questo sempre
crescente aumento di scienziati e di cultori di scienze naturali, che de¬
sidera venire ad aumentare la falange dei nostri soci, non possiamo
nascondere l’angoscia per la perdita di un nostro carissimo socio or¬
dinario residente il prof. Francesco Balsamo, e del socio ordinario non
residente prof. Marzio Cozzolino.
Il prof. Balsamo era uno dei primissimi soci della Società dei Na¬
turalisti ed al suo grande valore di Botanico insegne accoppiava una
rettitudine di animo ed una bontà di cuore infinito, che lo rendevano
l’esempio vivente del professore e del padre di famiglia.
Non vi parlerò io della sua grande attività scientifica, non è pari
la mia mente; in una tornata straordinaria il chiarissimo nostro socio
prof. Fridiano Cavara, incaricato dal Consiglio direttivo, vi parlerà de¬
gnamente di lui
Il socio Marzio Cozzolino anche egli Botanico copriva attualmente
la carica di direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura, posto
ottenuto per concorso, e nel quale aveva portato tutto l'entusiasmo dei
suoi giovani anni e della sua vasta cultura.
Alle doloranti famiglie, alle quali il Consiglio direttivo ha inviato
le parole di condoglianze sincere, vada il solidale saluto dell’ Assem¬
blea dei soci.
Il Consiglio direttivo si è trovato, per ragioni amministrative e per
rispetto alla nostra carta statutaria nella penosa condizione di dovere
adattare verso alcuni soci alcune misure disciplinari, e cioè radiare per
mora alcuni soci. Ed è da augurarsi che questi soci, che pur in nu¬
merose circostanze, avevano dimostrato attaccamento alla società, rien¬
trino nel seno della Società dei Naturalisti, dove ritroveranno sempre
quell’affetto e quella liberalità di vedute che è stata da circa un qua¬
rantennio la forza sociale.
Bollettino. — Per ragioni tipografiche e di opportunità ammini¬
strative il Consiglio direttivo ha creduto utile riunire in un unico vo¬
lume i Bollettini 1921 e 1922, e questo fra giorni sarà distribuito ai soci
ed alle società scientifiche con le quali siamo in corrispondenza. Esso è
stato pubblicato per i tipi delPOfficina Tipografica Aldina ed è il Volume
34 della collezione ed è un libro di circa 400 pagine corredato da nu¬
merose tavole e figure intercalate nel testo. Come i volumi precedenti è
diviso in tre parti: la prima Atti comprende i lavori originali dei soci e
così le Memorie e le Note, la seconda le Comunicazioni verbali ed infine
XI
i Rendiconti delle tornate con 1’ elenco dei soci e delle pubblicazioni
pervenute in dono ed in cambio.
E dato l’enorme prezzo della carta, della composizione, della
stampa e delle tavole rappresenta il maggiore sforzo al quale si è po¬
tuto andare incontro.
Tornate. — La Società si è riunita sette volte in tornata ordinaria
ed assemblea generale, e in queste sette sedute il numero delle Me¬
morie lette è cospicuo e così anche il numero dei voti e deliberati ap¬
provati riguardanti questioni che hanno attinenza con la Scienza e con
la Società dei Naturalisti.
Voti e deliberati. — Anche quest’anno la Società si è occupata del
progetto Corbino sulle lauree miste in fisica e scienze naturali, ha fatto
voto al Ministro perchè detto progetto sia sostanzialmente modificato.
Ha anche inviato un voto perchè nell’ Università di Napoli siano
conferite lauree in Geografia dato che esistono tutti gl’ insegnamenti
speciali atti ad integrare una cultura severa su questo importante di¬
ploma, che ora viene insegnato come materia collaterale e non fonda-
mentale dai laureati in lettere e filosofia.
Si è fatto anche un voto per il livellamento del Serapeo di Poz¬
zuoli, per il riordinamento delle nostre biblioteche, per affrettare i la¬
vori della erigenda nuova sede del Museo Trinchese, per l'italianità
della Stazione zoologica di Napoli, per il ripristino della cattedra di
Embriologia nella facoltà di medicina di Napoli, per la sistemazione
degli assistenti universitari e per il concorso di direttore dell’Osserva¬
torio vesuviano.
Attività scientifica. — I lavori pubblicati nel Bollettino 1922 sono
23, e così divisi Zoologia 10, Botanica 2, Fisica e Metereologia 5, Pa¬
tologia generale 4.
I titoli dei lavori sono i seguenti :
Zirpolo. — Sull' omeofagistno della Asterina gibbosa Penti.
Mazzarelli. — Sulla biologia dellOstrea edalis. Nota 1.
Marcello. — Breve nota sa due casi teratologici del Rafanus
sativas.
Zirpolo. — Osservazioni sulla biofotogenesi.
Gargano. — Inclusioni di cellule negli epiteliomi.
Del Giudice. — Le acciughe dei mari italiani.
Gargano. — Le alterazioni prodotte nel fegato della Lacerta mu-
ralis Laur. dal Cysticercus dithyridium.
XII
Del Regno. — Gli elementi diottrici dell’occhio afachico.
Mazzarelli. — Note sulla biologia dell’ ostrica ( Ostrea edulis.).
2. La sorte del fregolo bianco nelle ostriche madri tenuto in piccoli
acquarii.
Gargano. — Esperimenti di cultura “ in vitro „ di tessuti di Selaci.
Malladra. — E attività del Vesuvio nell'anno 1918.
Zirpolo. — Sulla biologia del Zoobotryon pellucidum Ehrbg.
Carrelli. — Sul raggio dell'atomo.
Carrelli. — La decomposizione elettrica delle righe spettrali.
Guadagno. — La vegetazione del monte Nuovo e le sue origini.
Cotronei. — Ricerche sul pancreas dei Petromizonti.
Gargano. — Azione del radio sugli epiteliomi.
Mazzarelli. — La «secca» del Pampano.
Pierantoni. — Sulla biofotogenesi simbiotica.
Zirpolo. — Sulla presenza di organi simbiotici nell'Hirudo medi¬
cinali L.
Gargano. — Dei tumori spontanei nei Mammiferi.
Bilancio 1922. — Come rileverete dalla relazione dei revisori dei
conti e dalla esposizione del Bilancio consuntivo 1922 il Bilancio or¬
dinario si chiude con un attivo di L. 711.75, di che va data lode al
Consiglio -direttivo, e al Chiarissimo Presidente che con cura paterna
ha vigilato alle funzioni sociali. Ho parlato del bilancio ordinario, per¬
chè si sono ottenute o si ottengono somme cospicue per circa lire qua¬
rantamila con le quali il Consiglio direttivo intende provvedere alla
scaffalatura ed al riordinamento della Biblioteca che rappresenta uno
dei maggiori patrimoni sociali, affinchè questi nuovi locali costruiti sul¬
l’area del vecchio palazzo universitario, possano decorosamente ospitare
la Società onorevolmente, che segna tanti anni di vita gloriosa dedicata
alla Scienza ed all' incremento della scuola.
Egregi Consoci }
Nel chiudere la mia relazione debbo additare alla benemerenza
deH'Assemblea alcuni soci .che in un momento di disagio finanziario
della Società vollero anticipare delle somme, e che ora, che la Società
era in condizioni di poterle restituire, hanno desiderato che esse fos¬
sero devolute aH’acquisto di eleganti sedie.
E debbo del pari additare alla riconoscenza deH'Assemblea quattro
nostri soci, che con il loro benvolere e con il loro zelo hanno reso non
pochi servizi al funzionamento della Società dei Naturalisti, e cioè al
socio Mario Giordani, vice Segretario attivo ed intelligente, al Cassiere
— XIII
Ermete Marciteci, vigile custode delle finanze sociali, al Bibliotecario
Mario Salfi, ed al socio Giuseppe Zirpolo, Redattore del Bollettino.
Infine nutro fiducia che nella nuova sede, riordinatasi la Biblioteca,
la Società possa attendere, senza preoccupazioni, alla sua alta finalità
di incremento delle Scienze naturali, sorretta dal buon volere e dalla
operosità di tutti.
Il Presidente ringrazia il socio Gargano per l’opera esplicata du¬
rante la sua carica di Segretario.
Il Presidente invita il socio Forte a leggere la relazione sulla revi¬
sione dei Conti per Fanno 1922.
Il socio Forte legge la relazione anche a nome del socio D’Emilio
e propone un voto di plauso al C. D. E’ approvato ad unanimità il bi¬
lancio consuntivo 1922.
Il Segretario legge il bilancio preventivo 1923, che è approvato.
Si discute circa il pagamento delle quote mensili e pigliano la pa¬
rola i soci Gargano, Giordani F., Monticelli, Cutolo, Forte. Si addi¬
viene nella necessità che l’esattore pigli accordi con i soci circa il pa¬
gamento. Il Presidente propone la radiazione per mora dei soci Bellino
R., Masi A., Albore I., Figliolia, A.
Sono eletti ad unanimità soci ordinari residenti i Dott.ri Pozzi,
Sbordone, Signore, Maio e socio ordinario non residente il Dr. Mingioli.
L’Assemblea si scioglie alle ore 18.
Tornata ordinaria del 18 marzo 1923.
Presidente: E. Cutolo — Segretario: Fr. Sav. Monticelli
Si apre la tornata alle ore 14.30 in seconda convocazione.
Socii presenti: De Rosa, Siniscalchi, Marcucci, Zirpolo, Gargano,
Mingioli, Milone, Sbordone D., Signore, Chistoni, Giordani F., Car¬
relli, Del Regno, Muratore, Parascandola, Serao, Cavara, Mazzarelli
Gustavo, Mazzarelli Giuseppe, Geremicca F.
Si legge e si approva il processo verbale dell’Assemblea precedente.
Il Presidente comunica che il C. D. ha stabilito per l’anno 1923
di concedere 16 pagine di stampa e un contributo non superiore a lire
cinquanta per clichè o tavole fatte a spese dell’Autore.
Il Presidente comunica che il voto emesso dalla Società per il Mu¬
seo Trinchese é stato accolto in quanto sono state dall'Ente municipale
approvate ancora le spese. Il socio Siniscalchi ringrazia il Presidente e
l’Assemblea.
XIV
Il socio Serao legge un lavoro dal titolo: Ricerche sulla reazione
tra cloruro di benzlle e fenolo, e ne chiede la pubblicazione.
Il socio Del Regno legge un lavoro dal titolo : L'effetto fotoelet¬
trico e ne chiede la pubblicazione.
Il socio Zirpolo legge un lavoro dal titolo: Sulla simbiosi fra Zoo-
xantelle e Phylllroe bucephala Peron et Leseur, e ne chiede la pubbli¬
cazione.
Il socio Zirpolo legge a nome del socio Biondi un lavoro dal ti¬
tolo: Osservazioni sulle bombe vesuviane, e ne chiede la pubblicazione
a nome dell’Autore.
Il socio Gargano legge una nota dal titolo: L'origine nucleare del
centrosomi negli oociti di cagna, e ne chiede la pubblicazione.
Il socio Carrelli legge un lavoro dal titolo: Sull’assorbimento di
Fluorescenza, e ne chiede la pubblicazione.
Il socio Giordani F. fa una relazione sulla stampa scientifica.
Il socio Mazzarelli comunica che il Comm. Giammarino col 31
marzo lascia la sua carica di Direttore Generale del Demanio. Si pro¬
pone in vista delle benemerenze del Comm. Giammarino per gli studi
idrobiologici, di inviargli un deferente saluto per la sua opera così bene
svolta a vantaggio della Scienza.
La tornata si chiude alle ore 16.20.
Tornata ordinaria del 29 aprile 1923.
Presidente : E. Cutolo — Segretario: Fr. Sav. Monticelli
Soci presenti: Marcucci, Giordani F., Siniscalchi, De Rosa, Chistoni,
Zirpolo, Colomba, Fedele, Gargano, Parascandola, Del Regno, Serao.
La tornata si apre in seconda convocazione alle ore 16.
Si legge e si approva il processo verbale della tornata precedente.
Il Segretario presenta i cambi e le pubblicazioni pervenute in dono.
Il Presidente prega i socii di voler concorrere all'incremento della
Biblioteca donando libri e pubblicazioni utili al sodalizio.
Il Segretario legge una lettera del Comm. Giammarino che rin¬
grazia la Presidenza ed i soci per la lettera inviatagli in occasione del
suo ritiro dalla Direzione Generale del Demanio.
Il Presidente presenta il Bollettino 1921-22. Un volume di oltre
300 pagine con 11 tavole fuori testo.
Il Presidente comunica che i soci Giordani F. e Zirpolo hanno vinto
rispettivamente i premi all'Istituto d’incoraggiamento ed all’Accademia
pontaniana e si congratula vivamente con loro.
I soci Giordani e Zirpolo ringraziano.
II socio Gargano dice di voler fissare le tornate in precedenza per
poter presentare a tempo i titoli dei lavori che si vogliono leggere, e
propone che il Bollettino esca diviso in fascicoli.
Il Presidente risponde dicendo che in un prossimo C. D. si sta¬
bilirà la data approssimativa delle tornate. Circa la divisione del Bol¬
lettino fa notare la spesa maggiore cui andrebbe soggetta la Società,
d’altra parte si faranno calcoli approssimativi per vedere se la propo¬
sta convenga nell’interesse di tutti.
11 socio Zirpolo legge un lavoro dal titolo: Studi sulla biolamine -
scema batterica. - 7. Azione dei sali di potassio e ne chiede la pubblica¬
zione nel Bollettino.
Il socio Fedele legge una nota dal titolo : Sulla identità di Dolio-
lum Chuni Neumann con Dolchinia mirabilis , Korotneff, e ne chiede la
pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Zirpolo legge una Nota del socio Caroli : Di una specie
italiana di Typhlocaris (T. salentina n. sp.) con osservazioni morfolo¬
giche e biologiche sul genere, e ne chiede la pubblicazione a nome
dell'Autore.
Il socio Giordani fa una relazione sul celtio.
Il socio De Rosa propone di fare una escursione. Il socio Chistoni
propone di fare una visita alla Solfatara in vista della sua rinnovata
attività e di là passare al Serapeo.
Si stabilisce che il 10 maggio si faccia una visita alla Solfatara ed
indi al Serapeo.
La Dott. Bice Torelli è ammessa ad unanimità socio ordinario
residente. Il Sig. Ugo Trezza è ammesso ad unanimità socio ordinario
non residente.
La tornata si chiude alle ore 17.50.
Tornata ordinaria del giorno 8 luglio 1923.
Presidente: C. Chistoni — Segretario : Fr. Sav. Monticelli
Soci presenti: D’.Evant, Mazzarelli Gius., Marcucci, Gargano, Salfi,
Zirpolo, Biondi, Guadagno, Signore, Colomba, Capozzoli, Mazzarelli Gu¬
stavo, De Rosa, Milone, Monticelli Giuseppina.
Si legge e si approva il processo verbale della tornata precedente.
Il Vice Presidente legge una lettera del Presidente che si scusa di
non poter partecipare alla tornata per gravi ragioni professionali.
XVI
Il socio Mazzarelli dice in merito al processo verbale che se fosse
stato presente alla tornata precedente avrebbe caldeggiata la proposta
Gargano circa la pubblicazione del Bollettino in fascicoli.
Il socio Milone prega il C. D. di voler stabilire un’altra seduta per
le ricezione dei lavori per il Bollettino 1923.
Il Presidente comunica che domenica 15 luglio si farà l’annuale
escursione al Vesuvio.
Poiché sulla quota si fanno discussioni in base al prezzo esagerato
che chiede la ditta Gook il socio Chistoni dà esaurienti spiegazioni ai
soci Milone, Signore e Gargano che vorrebbero una riduzione forte
sulle tramvie e funicolare elettrica trattandosi di una Società scientifica.
Il Segretario comunica che la direzione delle "'Rivista di Teosofia „
chiede il cambio col nostro Bollettino. Poiché la rivista si occupa di
argomenti completamente estranei alle scienze fisiche e naturali si re¬
spinge il cambio.
Il Segretario legge un invito della società di Filadelfia per parte¬
cipare alle onoranze del Dott. Ioseph Leidy. Si stabilisce di aderire e
di incaricare un socio che si troverà alla cerimonia di rappresentare-
la Società.
Il socio Marcucci legge un lavoro dal titolo: La morfologia del baci¬
no dei Saaropsidi. Il pube degli Uccelli e ne chiede la pubblicazione
nel Bollettino.
Il socio Salfi legge un lavoro dal titolo: Ricerche sali epitelio del
mesointestino di Locusta danica (L.) e ne chiede la pubblicazione nel
Bollettino.
Il socio Gargano legge i seguenti lavori : 1. Alterazioni indotte
dal radio sulla tiroide normale. - 2. Considerazioni sulla morfologia
delle cellule coltivate in vitro, rispetto a quelle di elementi liberi in
tessuti patologici , e ne chiede la pubblicazione del Bollettino.
Il socio Mazzarelli G. legge un lavoro del socio Lo Giudice: Osser¬
vazioni preliminari sulla salinità dello stretto di Messina, e ne chiede
la pubblicazione a nome dell'Autore.
Il socio Signore fa una comunicazione verbale sul Bradisisma
di Pozzuoli.
Il socio Guadagno in merito alla comunicazione del socio Signo¬
re dice:
Poiché il prof. Signore ha accennato alle lesioni che si verificano
nelle gallerie della Collina di Posillipo, ritenendo che esse possano at¬
tribuirsi al fenomeno bradisismico, debbo far rilevare, come del resto
credo di aver dimostrato in un mio lavoro presentato al R. Istituto d’ In-
XVII
coraggiamento di Napoli *), che le lesioni che si verificano nelle Gal¬
lerie e collettori della Collina di Posillipo sono dovute allo schiaccia¬
mento del tufo alle spalle dei rivestimenti in un tratto ove la collina
è per giunta martoriata da ben otto perforazioni in una zona ristretta.
Il detto tufo giallo, che verso il nucleo della Collina si schiaccia tra 10 e
16 kg. per cmq., non è adatto a sopportare le pressioni che per i carichi
dovuti alla roccia sovrastante si scaricano su di esso. Inoltre i caratteri¬
stici sfaldamenti, dei quali ho dato le fotografie nel mio lavoro, si ma¬
nifestano nel senso longitudinale alle gallerie, sia nelle gallerie ad orien¬
tamento E. O. che in quelle a S. N. il che non dovrebbe accadere se,
come si è affermato, vi fosse stato un incurvamento della collina (?), ipo-
tetizzato in base all'abbassamento di alcuni millimetri del Caposaldo di
S. Vitale a Fuorigrotta.
Inoltre alla ipotesi dell’influenza dei bradisismi nel lesionamento
delle Gallerie della Collina ostano fatti inoppugnabili ; che mentre si
lesionano, per esempio, i manufatti della zona tra Piedigrotta e la Di¬
rettissima, resta intatta la Galleria di Seiano ; che non si lesionano i
collettori delle fognature e le gallerie, quando essi entrano nel tufo duro,
o quando i rivestimenti sono sufficienti ed infine osta l’ incolumità del
tratto di Collettore Cuma dalla metà della Collina di Posillipo al mare
di Cuma. Anche il prof. Dell'Erba del nostro Politecnico in un pre¬
gevolissimo lavoro monografico, che ha visto recentemente la luce : (//
tufo giallo napoletano pag. 276), ha espresso idee analoghe alle mie.
Debbo aggiungere che questo Caposaldo di Fuorigrotta fulcro della
suddetta affermazione, è molto sospetto. Esso non è un Caposaldo si¬
smico ma è la quota targhetta dell' Istituto Geografico militare posta
sulla parete della Chiesa di S. Vitale, e che mal si presta ad una li¬
vellazione di precisione. In oltre la recente trivellazione del pozzo ar¬
tesiano di Piazza S. Vitale a Fuorigrotta ha mostrato che sotto la
piazza non vi è il solito tufo della Collina, ma vi sono ben 105 metri
di strati di lapillo , sabbie e puzzolane e solo alla profondità di 105
metri comparisce il tufo giallo. Su questa gran coltre di materiale sciolto
posa dunque il Caposaldo di S. Vitale ; ed allora un piccolo tassa¬
melo a causa di acque sotterranee, per naturale agire delle pressioni
della massa sovrastante o per diversa ragione, può produrre un abbas¬
samento che nulla ha da vedere, nè coi bradisismi locali (Pozzuoli e
Serapeo), nè con quelli più lati che investono la platea profonda della
penisola italiana da Genova all’ Aspromonte. E perciò che lo abbassa-
l) Le perturbazioni statiche dei manufatti che attraversano la Collina di
Posillipo e le loro cause. Att. R. Ist. Incor. Serie VI, voi. LXXV, fase. 1.
XVIII
mento di pochi millimetri del Caposaldo di S. Vitale non mi pare adatto
a tirar fuori deduzioni che potrebbero dare uno speciale indirizzo alla
soluzione del problema delle comunicazioni fra l’oriente e l’occidente
della Città, (taglio della Collina) con immensa erogazione di milioni
da parte delle amministrazioni competenti.
Il socio Mazzarelli Gustavo fa una comunicazione verbale: Su di
uno statoscopio per la registrazione dei temporali.
Il socio Salfi fa una comunicazione: Sulla Geonemia delle specie
del genere Chrysochraon Fischer.
Il socio Zirpolo fa una comunicazione: SulV azione delle basse tem¬
perature sulla bioluminescenza batterica e sullo sviluppo dei rami del
Zoobotryon pellucidum Ehrbg.
Si stabilisce di tenere tornata il 29 luglio per discutere la riforma
delle scuole medie e si dà l'incarico al socio Mazzarelli di riferire.
Si stabilisce di inviare una lettera di congratulazione al socio
Pierantoni per avere vinto il premio reale dei Lincei per i lavori che fu¬
rono in gran parte pubblicati nel nostro Bollettino.
Si stabilisce di inviare una lettera di condoglianze alla Signora
Prof. Bakunin per la morte del marito prof. Oglialoro nostro socio.
E’ ammesso socio ordinario non residente il Dott. G. Colosi.
Si toglie la tornata alle ore 18.30.
Tornata ordinaria del 29 luglio 1923.
Presidente : Fr. Sav. Monticelli — Segretario : G. Zirpolo
Soci presenti: Mazzarelli Gius., D’Evant, De Rosa, Muratore, Ca-
vara, Milone, Colomba, Palombi, Gargano, Mazzarelli Gustavo.
Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16.30.
Si legge e si approva il processo verbale della tornata precedente.
Il socio Siniscalchi si scusa con lettera di non poter intervenire alla
tornata per grave motivo familiare.
Il socio Milone prega la presidenza di voler intavolare trattative
con la casa centrale Cook per ottenere una riduzione tutte le volte che
la Società deve fare escursioni al Vesuvio.
Il socio De Rosa desidera che la Presidenza si occupi presso le
Ferrovie dello Stato per far ottenere una congrua riduzione ai soci, al¬
lorché compiono escursioni o viaggi di indole scientifica.
Il Presidente comunica che il giorno 15 luglio si fece l’annuale
gita al Vesuvio con l’intervento di varii socii e con la guida dei Prof.
C. Chistoni, e F. Signore.
XIX —
Il sodo Gargano chiede alla Presidenza perchè interessi il Diret¬
tore della Tipografia Aldina di voler con maggiore sollecitudine pub¬
blicare il Bollettino.
Il socio Zirpolo legge due lavori del socio G. Colosi: 1. Alcune
specie discusse di Misidiacei; 2. A proposito di Heteroglyphaea Paronae
Colosi, e ne chiede la pubblicazione a nome dell’Autore.
Il socio Colomba fa una comunicazione verbale : Su di un caso di
cleistogamia dell’ Orchis maculata L.
Il socio Zirpolo fa una comunicazione verbale: Su di un caso di
atrofia del cieco epatico-dorso-cefalico in una Phyllirhoè bucephala Peron
et Leseur.
Il socio Mazzarelli Gius, riferisce sulla riforma delle Scienze Na¬
turali nelle Scuole Medie. Si stabilisce di pubblicare una relazione da
alligarsi al volume e si approva il seguente :
Voto
La Società dei Naturalisti di Napoli riunita in assemblea nella pro¬
pria sede il giorno 29 luglio 1923 alle ore 16;
esaminato il decreto legge 6 maggio u. s. col quale si provvede
alla riforma dell’insegnarnento secondario;
presa visione degli ordini del giorno della Società Italiana di Scienze
Naturali di Milano , della Società Botanica Italiana di Firenze , della
Facoltà di Scienze di Pavia e di Torino, ecc.;
dolente che in tale decreto sia stata grandemente menomata l’im¬
portanza delle Scienze fisiche e naturali nell’ insegnamento secondario,
tendendosi, in tal guisa, a diminuire la cultura scientifica della Nazione,
in un momento in cui le applicazioni delle Scienze diventano sempre
più importanti e le cognizioni scientifiche sono sempre maggiormente
necessarie per la vita;
meravigliata della soppressione dell' insegnamento della Storia na¬
turale nel Ginnasio e degli elementi di Scienze Naturali nei corsi in¬
feriori (già Scuola Tecnica) dell’Istituto Tecnico, nonché della riduzione
inesplicabile dell’insegnamento della Chimica nel Liceo scientifico e di
quello delle Scienze Naturali e dell’Igiene nel Liceo femminile;
convinta d’ altra parte che i decretati abbinamenti non possano
portare che a conseguenze disastrose se prima gl’insegnanti non sa¬
ranno convenientemente preparati nelle Università ai corsi che do¬
vranno dettare, e meravigliata che fra i vari abbinamenti sia contem¬
plato perfino quello (nei corsi inferiori dell’Istituto Tecnico) della Com¬
putisteria con le Scienze Naturali ;
dolente che lo stato giuridico degli insegnanti secondari sia di
XX
fatto abolito, sì che questi, come già un tempo, saranno di nuovo senza
garanzia alcuna, in balia dei loro capi diretti e del Ministero
fa voti
a) che, pur modificandone, ove occorra, i programmi, sia ripri¬
stinato rinsegnamento della Storia Naturale nel Ginnasio e quello degli
elementi di Scienze Naturali nei corsi inferiori (già Scuola Tecnica)
dell’Istituto Tecnico;
b) che sia istituito l'insegnamento completo della Chimica nel Li¬
ceo scientifico , ripristinandosi ciò che era insegnamento di Chimica
nella sezione fisico-matematica dell’Istituto Tecnico, cioè con un inse¬
gnamento a sè , non abbinato con altri , dettato da un insegnante
laureato in Chimica ;
c) che sia istituito l’insegnamento delle Scienze Naturali e del¬
l’Igiene nel Liceo femminile;
d) che con disposizione transitoria — per la dignità degl'insegna¬
menti e della Scuola— si soprassieda ad attuare la legge per quanto
riguarda lo abbinamento delle varie discipline scientifiche, sino a
quando il Ministero potrà disporre di personale convenientemente pre¬
parato agl’insegnamenti abbinati da dettare, in seguito a studi all'uopo
prescritti nelle Università pel conseguimento di speciali diplomi; e
disponendosi ad ogni modo che gli attuali insegnanti di Matematica
siano dispensati dal dovere di abbinare il loro insegnamento con quello
della Fisica o delle Scienze Naturali, salvo beninteso che siano prov¬
visti di speciale diploma di laurea in tali discipline;
è) che in ogni caso la Computisteria non debba mai essere ab¬
binata con le Scienze Naturali , ma sia affidata a speciale insegnante
anche per incarico ;
/) che lo stato giuridico dei professori medi , destinato sopra¬
tutto a dare all’ insegnante quella tranquillità, senza la quale egli non
può attendere, con la necessaria calma, alle sue delicate mansioni, venga
ripristinato pieno ed intero;
e prega S. E. il Presidente del Consiglio e S. E. il Ministro per
la P. I. di prendere in benevola considerazione questi voti, che mirano
unicamente a impedire che la scemata importanza dell’ insegnamento
scientifico nella Scuola Media, e la mancata tranquillità di animo del¬
l’insegnante, abbiano a provocare un troppo grande abbassamento del
livello scientifico della Nazione — livello che, in verità, si aveva invece
vivo bisogno di elevare — ; pur esprimendo il fondato timore che, a
causa dei voluti abbinamenti e del conseguente diminuito numero de¬
gli insegnanti, nonché della dispersione delle energie degl’insegnanti
XXI
stessi per la necessaria loro preparazione in numerose discipline, anche
con gli opportuni ritocchi proposti nei sopra riportati voti, la decretata
riforma condurrà, per complesse ragioni, ad una inevitabile depressione
degli studi scientifici nel nostro Paese.
Il socio Mazzarelli, si occupa dell'Osservatorio idrobiologico del Lago
Fusaro. Egli fa la storia dell’istituzione di questo laboratorio scientifico
che nella mente di quelli che lo crearono aveva un significato di par¬
ticolare importanza, cioè doveva essere la fucina in cui si sarebbero
potuti compiere studii notevoli sulla fauna e flora del lago. C’era an¬
cora la speranza che in seguito tutto il rendimento del lago venisse
utilizzato per la istituzione di tavoli di studii per ricerche idrobiologi¬
che, le quali si potevano eseguire in particolar modo, avendo tutti i
mezzi a disposizione.
In seguito agli ultimi avvenimenti l’azienda del lago Fusaro è pas¬
sata ad un privato ed è appena rimasto l'osservatorio con una dota¬
zione così grama da poter appena sopperire alle piccole spese per il
funzionamento degli apparecchi.
Il socio Mazzarelli prega la Società di voler esercitare una specie di
tutela su questo istituto nominando una commissione la quale escogiti
i mezzi per poter sopperire alle sue necessità di laboratorio scientifico.
Il Presidente dice che già la Società si è occupata e propone un voto.
Gargano dice che attualmente, data la mentalità che esiste nei Mi¬
nisteri per una falsa economica è ben inutile attendersi sussidii dei
Ministeri.
Cavara dice che se è vero questo, pure basta saper trovare la via per
poter avere ogni specie di sussidio. Accenna al Parco Nazionale della
Sila per il quale il governo è propenso a spendere una somma cospicua.
Mazzarelli ritiene che la Società nomini una commissione per poter
far proposte concrete.
De Rosa propone varii mezzi per poter ottenere dei sussidii. Il
Presidente dice di mettere in atto le proposte del socio De Rosa.
In seguito a richiesta del socio Cavara il Presidente comunica che
il C. D. ha già stabilito di tenere la commemorazione dei soci Balsamo
e Oglialoro.
Il Presidente comunica la morte del socio Gargiulo e propone che
siano inviate alla famiglia le condoglianze. E’ approvato.
E’ ammesso ad unanimità socio ordinario residente il sig. Grandi
Loreto.
11 Presidente ringrazia il socio De Rosa per un cospicuo dono di
libri che fa alla Società. Si toglie la seduta alle ore 19.
XXII
Tornata ordinaria del 12 agosto 1923.
Presidente: E. Cutulo — Segretario:. Fr. Sav. Monticelli
Soci presenti: Chistoni, Zirpolo, Alfano, Alfieri, Perret, Siniscalchi,
Guadagno, Pierantoni, Colomba, Marcucci, Biondi, Mazzarelli Giuseppe,
Mazzarelli Gustavo, Fiore, Sbordone, Capozzoli, Cutolo Costantino,
Cavara, Palombi, Gargano, Muratore, Milone, Geremicca Federico.
Si apre la tornata alle ore 16 in seconda convocazione.
Si legge e si approva il processo verbale della tornata precedente.
11 Presidense comunica i nomi dei soci che fanno parte della com¬
missione per il lago Fusaro: Chistoni, Cavara, Pierantoni, Mazzarelli
Giuseppe, De Rosa, Zirpolo e Monticelli quale segretario della Società.
Il Segretario comunica i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute
in dono.
Il socio Chistoni richiama l’attenzione della Società circa il Con¬
gresso che si terrà ad Utrecht nel quale si stabilirà la nomenclatura per
lo studio delle radiazioni solari. Inoltre egli raccomanda alla Società di
interessarsi perchè Potenza sia scelta per stabilire un centro di studi di
eliofania.
Il socio Mazzarelli Giuseppe fa una comunicazione dal titolo: Note
sulla biologia dell’ostrica. - IV. La durata del periodo riproduttivo delle
ostriche del Lago Fusaro, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Mazzarelli Gustavo fa una comunicazione : Su di un nuovo
tipo di evaporimetro galleggiante , e suo funzionamento , e ne chiede la
pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Milone fa una comunicazione : Sulla determinazione del¬
l’azoto col metodo Kjeldhal , e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Zirpolo legge la relazione del socio Malladra : Sui feno¬
meni verificatisi al Vesuvio negli anni 1919-20, e ne chiede la pubblica¬
zione nel Bollettino a nome dell'Autore.
Il socio Gargano prega la Presidenza di voler invitare il socio
Malladra di accelerare le pubblicazioni in modo da potersi leggere la
relazione dell’anno in corso.
Il socio Pierantoni legge una nota del socio Colosi dal titolo: Su
di un nuovo Gerionide fossile , e ne chiede la pubblicazione a nome
dell’Autore.
Il socio Sbordone legge a nome del socio Perret una nota: Su
di una emanazione forza vitale mai dimostrata f inoggi , e ne chiede
la pubblicazione.
XXIII
Il socio Colomba fa una comunicazione verbale: Su di un caso
teratologico di Cytrus limonum.
Il socio Zirpolo fa una comunicazione del socio Caroli : 2° Sulla
pertinenza della presunta Larva di Nautilograptus minibus.
Il socio Sbordone A. comunica che durante una sua escursione
a Montevergine ha visto che il giardino tenoreano, ideato e fondatola
Fridiano Cavara sotto gli auspici della Società dei Naturalisti, è diven¬
tato attualmente un luogo di raccolta di detriti. Prega la Presidenza di
volersi interessare alla ricostruzione di detto giardino o a togliere la
lapide che è oggi un non senso.
Il socio Cavara dice che con dolore ascolta quella informazione. La
colpa, a parte le ragioni del periodo bellico, è tutta del Ministro che
soppresse il fondo di 700 lire che aveva stabilito e l'Orto Botanico che
inizialmente dava il suo contributo non ha potuto più ulteriormente
mantenere l'impegno per deficienza di mezzi.
Prega la Società di voler assumere l'incarico di iniziare pratiche
presso la locale Abbadia per stabilire in seguito il da farsi per
riattivare una località molto importante per lo studio della piante alpi¬
ne, specialmente ora che una funicolare permetterà la più facile ascesa.
Il Presidente ringrazia il socio Sbordone della notizia e promette
al socio Cavara di fare suo il voto approvato all' unanimità dai soci :
Voto
La Società dei Naturalisti di Napoli nella tornata del 12 agosto,
venuta a conoscenza, per informazioni data dal socio Prof. A. Sbor¬
done, del deplorevole stato attuale del giardino tenoreano di Monte¬
vergine;
Considerando che esso fu fondato ed inaugurato sotto gli auspici
della Società dei Naturalisti;
Considerando che esso costituisce un campo di studio prezioso
per l'adattamento delle piante alpine;
Considerando che durante gli anni di guerra e postbellici non fu
possibile, per i mancati sussidi, curarne la piena efficienza;
Considerando che la rinnovata attività scientifica del paese richiede
la sistemazione di un giardino sperimentale così importante
fa voti
perchè la Presidenza si cooperi in tutti i modi e con ogni mezzo presso
le autorità locali e superiori come l’Abbazia di Montevergine, l'ufficio
Demaniale, il Ministero deH’Economia Nazionale e quello dell’Istruzione,
XXIV
perchè venga rimesso nelle sue primitive condizioni ed anzi migliorato
il giardino che ideato da Fridiano Cavara e dedicato al nome di Michele
Tenore fu voluto ed inaugurato sotto gli auspici della Società dei Na¬
turalisti.
Il socio Perret fa alcune esperienze sulla nota presentata.
11 Presidente alle ore 18.20 chiude la seduta ringraziando i soci del
loro intervento e dà le vacanze sociali.
Tornata ordinaria del 16 dicembre 1923.
Presidente: E. Cutolo — Segretario: Fr. Sav. Monticelli
Soci presenti: Chistoni, Zirpolo, Colomba, Palombi, De Rosa, Ca¬
vara, Pierantoni, Guadagno, Carrelli, F. Giordani, Sbordone A., Sbor¬
done D., Mingioli, Gargano, Marcucci, Parascatidola.
Il Presidente apre la tornata in seconda convocazione.
Il Presidente nel comunicare il lavoro compiuto dal socio Biblio¬
tecario Parascandola invita i soci ad un voto di plauso per l’opera as¬
sidua e faticosa da questi compiuta. I soci per acclamazione aderiscono
a tale plauso ed incaricano il Presidente di volersi rendere interprete
del sentimento di tutti verso il socio Parascandola.
II socio Colomba legge un lavoro dal titolo: Sai valore ereditario
del carattere « file di granelli » nella spiga di granturco, e ne chiede
la pubblicazione nel Bollettino.
Il socio Palombi legge un lavoro dal titolo : Di un nuovo ospi-
tatore delle cercarie dell Echinostomum secundum Nicoli 1906 del My-
tilus galloprovincialis Lmk, e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino.
Il Presidente dice di aver inviata una lettera all'Abate e ne fa leg¬
gere la risposta.
Apre quindi la discussione sul da farsi.
Cavara dice che la Società deve subito interessarsi per iniziare le
pratiche per la ricostruzione del giardino tenoreano molto importante
per la cultura di piante alpine che costituiscono, a parte una località
sperimentale di grande utilità scientifica, anche un mezzo di educa¬
zione per chi si reca lassù, specialmente in alcuni periodi delFanno.
Poiché la zona finora tenuta è priva di acqua sarebbe necessario
scegliere un'altra zona dove è possibile innaffiare le aiuole. Indica per¬
ciò una nuova località non molto lontana dalla precedente. Il socio
Sbordone dà particolari ragguagli su questa nuova zona indicata.
XXV
Pigliano inoltre la parola i soci Giordani F., Guadagno, De Rosa
circa il giardino tenoreano.
Il Presidente riassume la discussione e stabilisce di scrivere all’ a-
bate di Montevergine pregandolo di voler consentire ad una permuta
di zona. Prega frattanto il socio Cavara di preparare il fabbisogno per
il novello impianto della Tenorea.
Il socio Gargano fa una comunicazione verbale : Sulla presenza di
strutture filamentose in alcuni tessuti patologici.
Sono ammessi soci ordinarii residenti ad unanimità Dott. Gaetano
Rodio, Luigi Pellegrini, Raffaele Riccio, Luigi D’ Aquino e socio ordinario
non residente il Prof. Luigi Cognetti De Martiis.
La seduta è tolta alle ore 17.30.
Assemblea generale del 30 dicembre 1923.
Presidente : E. Cutolo — Segretario'. Fr. Sav. Monticelli
Soci presenti: De Rosa, Pierantoni, Chistoni, Biondi, Signore, Salfi,
Trezza, Palombi, Colomba, Zirpolo, Riccio, Mingioli, Pellegrini, Gior¬
dani F., Giordani Mv Sbordone D., Capobjanco, Marcello, Siniscalchi.
Si apre l’Assemblea in seconda convocazione alle ore 16.
Il Segretario legge il processo verbale della Tornata precedente
che è approvato.
Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute
in dono.
Viene eletto ad unanimità socio ordinario residente il Dott. Vessi-
chelli Nicola.
Si procede quindi all’elezione del Presidente, di due Consiglieri
per il biennio 1924-25 e di due revisori di conti per l'anno 1923.
Il Presidente chiama a far parte del seggio per l’elezione il socio
Francesco Giordani quale presidente ed i soci Geremicca F. e Signore
quali assistenti e Sbordone D. scrutatore.
Vengono eletti ad unanimità:
Presidente : Capobianco
Consiglieri : De Rosa
Giordani M.
Revisori dei conti: Milone
D’ Emilio
Il Presidente proclama i nuovi eletti.
XXVI
Il socio Mingioli chiede la parola per rivolgere un voto di plauso
al Presidente uscente che nello spazio -di due anni ha saputo insieme
col Consiglio direttivo dare tanta attività alla Società da renderla una
delle migliori esistenti in Italia.
Il socio Capobianco e Pierantoni si associano al voto di plauso pro¬
posto dal Mingioli, ma avvertono che già si era convenuto di rivolgere
a suo tempo il plauso unanime dei soci tutti per le grandi benemerenze
del Presidente E. Cutolo.
Il Presidente rievocando brevemente la storia della Società ringrazia
i soci delle parole gentili ed affettuose a lui rivolte e promette di con¬
tinuare nella sua opera.
Prega inoltre i soci di voler approvare il processo verbale della se¬
duta, dovendo essere inserito nel Bollettino che è in corso di stampa.
Il Segretario legge il processo verbale che è approvato.
L’Assemblea è sciolta alle ore 17.30.
CONSIGLIO DIRETTIVO
per l'anno 1924
Capobianco Francesco
Chistoni Ciro
Monticelli Francesco Sav.
De Rosa Francesco
Giordani Mario
Quintieri Luigi
Guadagno Michele
Salti Mario
Parascandola Antonio
Zirpolo Giuseppe
Presidente
Vice-Presidente
Segretario
Consiglieri
Vice-Segretario
Bibliotecario
Redattore del Bollettino
ELENCO DEI SOCI
( 1 0 Gennaio 1924 )
4? ’
BENEMERITI DBLLA SOCIETÀ
Monticelli Francesco Saverio — Via Ponte di Chiaia 27.
Cutolo Enrico — Via Roma 404.
SOCI ORDINARII RESIDENTI
1. Aguilar Eugenio — Vico Neve a Materdei 27.
2. Arena Ferdinando — Via Roma 129.
3. Bakunin Maria — R. Politecnico (Napoli).
4. Bruno Alessandro — Via Bari 30.
5. Capobianco Francesco — Via Sapienza 18.
6. Capozzoli Rinaldi — Corso Vittorio Emanuele 475.
1. Caroli Ernesto — Istituto Zoologico della R. Università. Napoli.
8. Carrelli Antonio — S. Domenico Soriano 44.
9. Cavara Fridiano — R. Orto Botanico , Napoli.
10. Chistoni Ciro — Istituto di Fisica terrestre R. Univ. Napoli.
11. Colomba Giuseppe — Via S. Biagio dei Librai 39.
12. Cutolo Enrico — Via Roma 404.
13. D’Aquino Luigi — Via S. Domenico Soriano 22.
14. D’Emilio Luigi — Via Depretis 41.
15. Del Regno Washington — Ist. Fisico R. Università Napoli.
16. Della Valle Antonio — Via Salvator Rosa 259.
17. De Rosa Francesco — Via S. Lucia 62.
18. De Miranda Domenico — Colleg. Milit. della Nunziatella - Napoli
19. Fedele Marco — Stazione Zoologica Napoli.
20. Forte Oreste — Prolungamento Amedeo, Palazzo Scarpa.
21. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62.
22. Geremicca Federico — S. Teresa agli Scalzi 116.
23. Guadagno Michele — Via Foria 193.
24. Getzel Demetrio — Via dei Mille 159.
25. Giordani Francesco — Corso Umberto I 34.
26. Giordani Mario — Corso Umberto I 34.
21. Grande Loreto — R. Orto Botanico , Via Foria.
XXX
28. Maio Ester — Istituto di Fisica Terrestre R. Univers. Napoli.
29. Marcello Leopoldo — Piazza Cavour - Farmacia Marcelle.
30. Marcucci Ermete — Calata S. Severo alla Pietrasanta 27.
31. Milone Ugo — Via S. Lucia 173.
32. Monticelli Fr. Saverio — Ponte di Chiaia 27.
33. Mazzarelli Giuseppe — Baia.
34. Mazzarelli Gustavo — »
35. Parascandola Antonio — Via Giudecca a Pietro Colletta 12.
36. Pellegrino Giuseppe — Via Sapienza 19.
37. Pellegrino Luigi — Via S. Paolo 5.
38. Perret Frank — Villa Luisa Posillipo.
39. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, 27.
40. Police Gesualdo — Via Bausan IL
4L Pomilio Umberto — Via S. Lucia 15.
42. Pozzi Olimpio — Soc. Generale Illumin. via Paolo E. Imbriani.
43. Quintieri Luigi — Via Amedeo 18.
44. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18.
45. Riccio Raffaele — Piazza Carlo III, R. Albergo dei Poveri.
46. Rodio Gaetano — R. Orto Botanico.
47. Romano Pasquale — Via Porta Medina 44.
48. Roncali Demetrio — Istituto di Patol. Chirurgica R. Univ. Napoli.
49. Scacchi Eugenio — Istituto di Mineralogia della R. Università.
50. Salfi Mario — Via Montesilvano 30.
51. Sbordone Domenico — 5. Domenico Maggiore 3.
52. Signore Francesco — Istituto di Fisica Terrestre R. Univ. Napoli.
53. Siniscalchi Alfonso — Via Salvator Rosa 249.
54. Torelli Beatrice. — Parco Margherita 33.
55. Trani Emilio — Via Campanile ai Miracoli 47.
56. Vessichelli Nicola — Vico Cieco Pietro Colletta 9.
57. Viglino Teresio — Piazza Dante 4L
58. Zirpolo Giuseppe — Via Duomo 193.
SOCI ORDINARI NON RESIDENTI
1. Anile Antonino — Via XX Settembre 27, Roma.
2. Alfano Giov. Batt. — Osservatorio Meteorico-Geodinamico Valle di
Pompei.
3. Biondi Gennaro — Resina.
4. Buffa Edmondo — Via Cavour 325, Roma.
5. Califano Luigi — Vico Forino a Foria 7.
6. Celentano Vincenzo — Vico Minutoli a Foria 33, Napoli.
XXXI
7. Cerruti Attilio — Piazza Carbonella 2, Taranto.
8. Cognetti de Marti is Luigi — R. Istit. Anatomia Comparatat Torino.
9. Colosi Giuseppe — istituto Zool. R. Univ. Torino Pai. Corignani.
10. Conti Pasquale — Villa Pane, V omero.
11. Cotronei Giulio — Agostino Depretis 99 - Roma.
12. D’Avino Antonio — R. Liceo Nocera Inferiore.
13. De Cillis Maria — Via Mizzan 51- Tripoli.
14. Dalla Brida Costantino — Via Amedeo 9.
15. Fenizia Gennaro — Via Eoria 136.
16. Fiore Maria — Corso Vittorio Emmanuele 466.
17. Foà Jone — Via Cisterna dell’Olio 18, Napoli.
18. Gerèmicca Alberto — Largo Avellino 4.
19. Guarnieri Francesco — Eslacion Alien Republ. Argentina.
20. Lo Giudice Pietro — Ist. zoologico R. Univ. Messina.
21. Magliano Rosario — Lagonegro.
22. Malladra Alessandro — R. Osservatorio Vesuviano, Resina.
23. Mauro Anna Maria — Massafra {Lecce).
24. Mingioli Paolo — Materdei 8.
25. Muratore Giuseppe — R. Liceo Benevento.
26. Neppi Valeria — Via Milano 3, Trieste.
27. Palombi Arturo — Corso Garibaldi 84. Portici.
*
28. Patroni Carlo — R. Istituto Tecnico Arezzo.
29. Piccoli Raffaele — Via Cisterna dell' olio 18, Napoli.
30. Sbordone Annibaie — S. Domenico Maggiore 3.
3 1 . Serao Carlo — Via Eiorentini 60.
32. Trezza Ugo — Via Cristallini 53.
33. Valerio Rosaria — Sala di Caserta.
SOCI ADERENTI
1. Alfieri Giulio — Via Posillipo 166.
2. Caruso Antonio — Via Pontenuovo 28.
3. Cutolo Claudia — Villa Claudia, Vomero.
4. Cutolo Costantino — Villa Duretti, Vomero.
5. Fidasi Giuseppe — Riviera di Chiaia 263.
6. Monticelli D’Afflitto Giuseppina — Ponte di Chiaia 27.
Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli*
Elenco delle pubblicazioni pervenute
in cambio ed in dono
(31 dicembre 1923)
EUROPA
Italia
Acireale
Bologna
Brescia
Cagliari
Cassino
Catania
Ferrara
Firenze
— R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Ze¬
lanti (Memorie , Rendiconti ).
— Bollettino della R. Stazione sperimentale di agrumi-
coltura e frutticoltura.
— Société de la Flore Valdòtaine (Bollettino).
— R. Accademia delle Scienze dell’Istituto (Rendiconti).
— Commentari dell’Ateneo.
— Bollettino della Società tra i Cultori delle Scienze
mediche e naturali.
Bollettino della Società Regionale contro la malaria.
— La Meteorologia pratica.
— R. Accademia Gioenia (Bollettinot Memorie).
— Acc. di Scienze Mediche e Naturali.
— Archivio per l’Antropologia e l'Etnologia.
Società Botanica Italiana (Bollettino).
Nuovo Giornale Botanico italiano.
Bollettino bibliografico della Botanica italiana.
Monitore Zoologico Italiano.
« R e d i a » Giornale di Entomologia.
R. Società toscana di Orticoltura (Bollettino) .
R. Accademia dei Georgofili (Atti).
Società entomologica italiana (Bollettino).
L’Araldo Medico — Periodico bimestrale.
Bollettino meteorologico dell'Osservatorio Ximeniano
dei PP. delle Scuole Pie.
- IV -
Genova
Intra
Lodi
Lucca
Milano
Messina
Modena
Napoli
Padova
Palermo
— R. Accademia medica ( Bollettino , Memorie)
Museo civico di Storia Naturale {Annali).
Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della
R. Università {Bollettino).
Società ligustica di Scienze Naturali e Geografiche
{Atti).
Rivista ligure di Scienze, Lettere ed Arti.
— Scuola Industriale.
— R. Stazione sperimentale del Caseificio {Annuario).
— R. Accademia lucchese {Atti).
— Società Italiana di Scienze Naturali e Museo civico
di Storia Naturale {Atti).
— Rassegna Tecnica. Giornale di Ingegneri, Architetti,
Agronomi ed Arti industriali.
— Atti della Società dei Naturalisti e Matematici.
Bollettino della Società Medico-Chirurgica di Modena.
— R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche
(. Memorie , Rendiconti , Annuario)
Accademia Pontaniana (Atti).
Annuario del Museo Zoologico della R. Università.
di Napoli (Nuova Serie).
Orto Botanico della R. Università {Bollettino).
Gl’Incurabili.
Stazione Zoologica di Napoli {Pubblicazioni).
Annali di Nevrologia.
Rivista Agraria.
Società Africana d’Italia {Bollettino).
Appennino meridionale. Bollettino trimestrale del
Club Alpino Italiano. — Sezione di Napoli.
Atti del R. Istituto d’incoraggiamento.
L’Agricoltura.
La Medicina sociale.
— Accademia scientifica veneto-trentino-istriana {Atti)
R. Stazione bacologia {Annuario).
La Nuova Notarisia.
La Voce dei Campi e dei Mercati. Il Raccoglitore
— Il Naturalista siciliano.
Giornale del Collegio degli Ingegneri agronomi,
R. Istituto Botanico. Contribuzioni alla Biologia
vegetale.
R. Orto Botanico e Giardino coloniale {Bollettino)
— V -
Palermo
Perugia
Pisa
Portici
Roma
Rovereto
Sassari
Scafati
Siena
Torino
Trieste
Udine
Venezia
— Annuario biografico del Circolo Matematico.
— Annali della Facoltà di Medicina e Memorie della
Accademia Medico-chirurgica.
— Società toscana di Scienze Naturali (Memorie, Pro¬
cessi verbali).
— R. Scuola Superiore di Agricoltura (Annali).
Annali della stazione per le malattie infettive del
bestiame.
Laboratorio di Zoologia generale ed Agraria (Bol¬
lettino).
— R. Accademia dei Lincei (Rendiconti).
R. Accademia Medica (Bollettino, Atti).
R. Comitato Geologico Italiano (Bollettino).
Ministero di Agricoltura (Annali).
Laboratorio di Anatomia normale della R. Università
(Ricerche).
Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei (Atti).
Società Zoologica Italiana (Bollettino).
Società Italiana per il Progresso delle Scienze (Atti).
R. Stazione chimico-agraria sperimentale (Annali).
Archivio di Farmacognosia e Scienze affini.
Gazzetta Chimica.
Annuario bibliografico italiano delle scienze Medi¬
che ed affini.
Rassegna di pesca.
— Accademia degli Agiati (Atti).
Museo civico (Pubblicazioni).
— Studi sassaresi.
— Bollettino tecnico della coltivazione dei Tabacchi.
— Rivista italiana di Scienze Naturali.
— R. Accademia delle Scienze (Atti).
Club Alpino Italiano (Rivista, Bollettino).
Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della
R. Università (Bollettino).
— Scienza ed Arte.
— « Mondo Sotterraneo» Rivista di Speleologia.
— L’Ateneo veneto.
Bollettino bimestrale del R. Comitato Talassografico
Italiano.
- vi -
Verona
Valle di Pompei
Helsingfors
Bordeaux
Cherbourg
Langres
Levallois-Perret
Nancy
Nantes
Nice
Paris
Bruxelles
Louvain
Budapest
Kolozsvar
-Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e
Commercio (Atti, Memorie).
■Bollettino dell'Osservatorio meteorico-geodinamico.
Finlandia
- Societas prò Fauna et Flora fennica ( Acta , Medde-
landetì).
Francia
■ Société d' Océanographie du Golfe de Gascogne
(Rapports).
Société nationale des Sciences Naturelles et Mathé-
matiques (Me'moires).
■ Société de Sciences Naturelles de la Haute Marne
(Balletin).
Association des Naturalistes (Bulletin).
- Société des Sciences et Réunion biologique de Nancy
(Balletin des séances).
Bibliographie Anatomique.
Société des Sciences Naturelles de 1' Ouest de la
France (Balletin).
- Riviera scientifique.
-Journal de l' Anatomie et de la Physiologie de
rhomme et des animaux.
Société Zoologique de France (Balletin Mémoires).
Musèum d'Histoire Naturelle (Balletin).
La feuille des jeunes naturalistes.
La Revue de Phytopathologie et des maladies des
Plantes.
L’Astronomie.
Belgio
Bulletin sismique.
Société Royale Zoologique.
La Cellule.
Ungheria
Aquila - Zeitschrift des K- Ung. Ornith. Institutes.
Muzeumi Fiizetek az erdelynemzeti Asvàni tàrànak.
VII -
Graz
Iugoslavia
— Mitteilungen des NaturwissenschaftlicHen Vereins fur
Steiermak.
Brunn
Czeco - Slovacchia
— Verhandl. des Naturforsch. Vereins.
Wien
Austria
— Verh der K-K. Zoologisch. - botanisch. Gesellschaft.
Annalen des Naturhistorischen Hof Museum.
Bonn
Giistrow
Berlin
Germania
— Naturshistorische Vereins derpreussischen Rheilande.
— Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte.
— Verhandlungen des BotanischesVereins der Provenz
Brandeburg.
Sitz. der Gesellsch. Naturfosch. Freunde.
Leipzig
Giessen
— Herbarium.
— Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fùr Natur
und Heilkunde.
Cambridge
London
Inghilterra
— Philosophical Society (Proceedings, Tmnsactions).
— Royal Society (Proceedings , Reports of thè Sleeping
sickness Commission).
Plymouth
— Marine Biologica! Association of thè United King-
dom (Journal).
Tromsoe
Norvegia
— Tromsoe Museum.
Olanda
Amsterdam — Academie Royale (Memoires).
- Vili -
Coimbra
Portogallo
— Annses scientificos da Academia Polytecnica do
Porto.
Lisbona
— Bulletin de la Société Portugaise de Sciences Na-
turelles.
Spagna
Barcelona
— Institució catalana d’Historia Naturai (Butleti).
La Ciencia Agricola.
Butleti del Club Montanyenc.
Ayuntamento de Barcelona.
Cartuja
Madrid
— Boletin mensuel de la Estaciòn Sismologica.
— Memorias de la Reai Sociedad espanda de Histo-
ria Naturai.
Zaragoza
Sociedad espanda de Historia Naturai ( Atiales , Bo-
letìn).
— Sociedad hiberica de Ciencias Naturales (Boletìn).
Associación de Labradores de Zaragoza y su pro¬
vincia,
Anales de la Facultad de Ciencias.
Valencia
— Anales de l’Instituto Tecnico.
Svezia
Upsala
— Geological Institution of thè University of Upsala
(Bulletin).
Stockholm
— K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv for Botanik,
Arkiv for Zoologi).
Svizzera
Chur
— Naturforschenden Gesellschaft Graubùnden’s(7aAras-
bericht).
Lugano
Zurich
— Società ticinese di Scienze Naturali (Bollettino).
— Societas Entomologica.
Tokyo
ASIA
Giappone
— Annotationes Zoologicae japonenses.
- IX -
AFRICA
Egitto
Cairo — Société Entomologique d’ Ègypte (Bulletin , Me¬
mo ir es).
AMERICHE
Argentina
Buenos -Ayres — Museo nacional ( Anales , Comunicaciones).
Brasile
Rio de Janeiro — Archivos do Museu Nacional.
Nicteroy — Escola sup. de Agricultura.
Halifax
Santiago
Bogotà
Messico
Canada
— Nova Scotian Institute of Scienze.
— Société scientifique du Chili (. Actes ).
Colombia
— E1 Agricultor. — Organo de la Sociedad de los
Agricultores colombianos.
Revista del Ministerio de Obras publicas.
Messico
— Sociedad Cientifica Antonio Alzate (Memorias,
Revista).
Institùto Geològico ( Boletiti , Perargones ).
Anales del Institùto Medico Nacional.
La Naturaleza.
Boletin de la dereccion d’Estudios Biologicos.
Revista Mesicana de Biologia.
Paraguay
Puerto Bertoni — Estacion Agronomica.
- X -
Lima
Perù
— Boletin de la Societad geografica.
San Salvador
San Salvador — Museo Nacional (Anales).
Stati Uniti
— University of California (Publications, Balletin).
— Society of Naturai History ( Proceedings ).
— Cold Spring Harbor Monographs.
— Elisha Mitchell scientific Society (Journal).
— Bull, of thè Lloyd Library of Botany etc.
— The University of Minnesota.
— Illinois biological monographs.
Bull, of thè state Laboratory of Hist. Nat.
— Academy of Sciences (Bulletta, Annual Report).
Field Museum of Naturai History (Department of
Botany).
— Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres
(Transactions).
Wisconsin Geological and Naturai History Survey
(Balletin).
— Bulletin of thè University of Montana (Biologica
Series).
— Botanical Garden (Bulletin).
Notre Dame Indiana — The American Midland Naturalist.
Philadelphia — Academy of Naturai Sciences (Proceedings).
Saint Louis — Academy of Science (Transactions).
Missouri Botanical garden (Annual Report).
Springfield (Massachussets) — Museum of Naturai History.
Tufts College (Massachussets) — Studies.
Washington — United States Geological Survey (Annual Report );
U. S. Department of Agriculture. — Division of
Ornithology and Mammalogy (Bulletin North Ame¬
rican Fauna).
Smithsonian Insti tution (Annual Report).
Berkeley
Boston
Brooklyn
Chaphell Hill
Cincinnati
Minneopolis
Urbana
Chicago
Madison
Missoula
New York
-XI-
Washington
Montevideo
— U. S. National Museum (Bulletin).
U. S. Department of Agriculture (Jearbook).
U. S. Department of Agriculture. — Bureau of Ani¬
mai Industry (Annual Report).
Carnegie Institution of Washington (Publications).
The Rockfeller Sanitary Commission for thè Era-
dication of Hookworm Desease.
Uruguay
— Museo nacional. Seccion historico-filosofica ( Anales ,
Comunicaciones).
PUBBLICAZIONI PERVENUTE IN DONO
(31 dicembre 1923 )
Del Grosso L.
Salmon.
Guadagno M.
Bonelli G. — Pro selvaggina e caccia. (Autore).
Catalano G. — Principi di chimica organica fondati sulle teorie
moderne. Napoli, 1872, (Dono E. Cutolo).
— Manuale delle più usate preparazioni chimico far¬
maceutiche colle rispettive teoriche redatto a for¬
ma di dizionario dal farmacista Luigi del Grosso
Napoli, 1846. (Dono E. Cutolo).
— Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo,
naturale, politico, e morale con nuove osserva¬
zioni e correzioni degli Antichi e moderni viag¬
giatori. Venezia 1740. Dal Voi, I al XIX. (Dono
E. Cutolo).
— Note di Erbario. Napoli 1909. (Autore).
— L’Epipogium Aphyllum (Schm. Sw. nell'Italia me¬
ridionale 1910. (Autore).
— Sulla nomenclatura di alcune Rubie della flora
europea, Napoli 1914. (Autore).
— A proposito del Thymus striattfs Vahl. (Autore),
Napoli, 1913.
— La vegetazione della penisola Sorrentina. Parte la
2a e 3a. Napoli 1916. (Autore).
— La vegetazione della penisola Sorrentina. Parte 4a
1922. Napoli.
— Note ed aggiunte alla flora dell'Isola di Capri.
Napoli 1922, (Autore).
— Le resezioni del simpatico nella pratica chirurgica.
Napoli, 1923. (Autore).
Riccio R. F. Buonanno La Rossa — Note di anestesia regionale. Na¬
poli, 1923. (Autori).
„ — La toracoplastica extrapleurica nel trattamento chi¬
rurgico della tubercolosi polmonare. Napoli, 1923.
(Autore).
„ — I punti di elezione nelle anestesie traculari, (peri-
nervia e cutanervasa) dello sciatico. (Autore). Na¬
poli, 1922.
Riccio R.
Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti .
INDICE
ATTI
(MEMORIE E NOTE )
Gargano C. — Le alterazioni prodotte nel fegato della Lacerta
muralis Laur. dal Cysticercus dithyricLium
Fedele M. — Simmetria ed unità dinamica nelle catene di Salpa
Palombi A. — Diagnosi di nuove specie di Policladi della R. N.
" Liguria . .
Del Regno W. — L’effetto fotoelettrico .
Serao C. — Ricerche su la reazione tra cloruro di benzile e fenolo.
Biondi G. — Osservazioni su alcune bombe vesuviane.
Caroli E. — Sulla presenza di Penilia schmackeri Richard nel
golfo di Napoli .
Carrelli A. — Sull'assorbimento di fluorescenza ....
Gargano C. — L'origine nucleolare dei centrosomi negli oociti di
cagna .
Zirpolo G. — Sulla genesi delle colonie primaverili del Zoobotryoti
pellucidam Ehrbg .
Zirpolo G. — Ricerche sulla simbiosi fra Zooxantelle e Phyllirhoè
bucephala Peron et Leseur .
Lo Giudice P. — Sulla salinità delle acque di superficie dello
stretto di Messina durante l' inverno 1921-22 .
Colosi G. — A proposito di Heteroglyphaea paronae Colosi
Salfi M. — Ricerche sull’epitelio del mesointestino di Locusta
danica, L .
Fedele M. — Identità fra Dolchitiia mirabilis Korotneff e Do -
liolum Chimi Neumann .
Marcucci E. — La morfologia del bacino dei Sauropsidi. Il pube
degli Uccelli . .
Colosi G. — Alcune specie discusse di Misidacei ....
Salfi M. — Sulla geonemia delle specie del genere Chrysochraoti
FlSCH. ( Orthoptera-Locustidae ) .
Gargano C. — Documenti istologici per una ipotetica terapia
degli epiteliomi cutanei .
Gargano C. — Alterazioni indotte dal radio sulla tiroide normale
Gargano C. — Considerazioni sulla morfologia delle cellule col¬
tivate in vitro rispetto a quella di elementi normalmente
liberi in tessuti patologici .
Zirpolo G. — Studi sulla bioluminescenza batterica
pag. 3
„ 20
» 33
a 38
„ 86
a 92
« 96
„ 100
a 106
„ H3
„ 129
„ 139
„ 141
a 143
„ 152
„ 159
„ 191
„ 196
„ 199
„ 208
221
245
Colosi G. — Una specie fossile di Gerionide (Decapodi brachiuri)
Perret F. — Su di una « emanazione » « forza vitale effluente »
finoggi non dimostrata .
Zirpolo G. — Situazione delle basse temperature sullo sviluppo
del Zoobotryon pellucidum Ehrbg .
Caroli E. — Di una specie italiana di Typhlocaris ( T . salentina n.
sp.) con osservazioni morfologiche e biologiche sul genere
COMUNICAZIONI VERBALI
Cavara F. — Fecondazione a distanza in Ginkgo biloba Linn. e
in Araucaria Bidwilli Hook .
Signore F. - Il bradisisma in relazione coll'attività vulcanica dei
Campi flegrei .
Zirpolo G. — Caso di atrofia del cieco epatico dorso-cefalico in
una Phyllirhoe bucephala Peron et Leseur
Colomba G. — Su di un caso di cleistogamia del YOrchis macu¬
lata L .
Colomba G. — Su di un caso teratologico in un Citrus limonum
v. digitata Risso .
RENDICONTI DELLE TORNATE
(PROCESSI VERBALI)
Processi verbali delle tornate 1923 .
Consiglio direttivo per l'anno '924 .
Elenco dei socii .
Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio e in dono.
■
TAVOLE
Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXXV.
Tav. 1.
LIBRARY,
m.b.a.
PLYMOUTH.
Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, 1
Tav. 2
Boll. d. Soc. dei Nat. in Napoli, Voi. XXXV.
Tav. 2.
Boll. d. Soc. del Nat . in Napoli , Voi. XXXVI. Tav. 3
P. CROMOTIP. ALDINA — NAPOLI
.
i b n arYi
M.B.A.
-
LIBRARY»
M.B.A.
PLYMOUTH»
ALLEGATI
Allegato N. 1.
Per la Stazione Zoologica di Napoli
(Tornata ordinaria dell' 1 1 luglio 1920)
Ancora una volta, dopo cinque anni, la questione della Sta¬
zione Zoologica ritorna innanzi alla nostra Società, che verso
questo massimo centro degli studi di biologia marina ha sempre
mostrato il suo doveroso interessamento. Cinque anni or sono
si trattava di rendere la Stazione Zoologica indipendente dalla
egemonia tedesca, e nello stesso tempo di assicurarne la esi¬
stenza nel lungo periodo della guerra: (e qui non possiamo fare
a meno di rammentare uno dei più giovani e valorosi nostri soci,
Paolo Della Valle, che la Patria volle rapito alla vita e alla scienza
innanzi tempo, e che può dirsi l'iniziatore del nostro movimento i):
oggi occorre proteggere la Stazione contro le insidie di un nuovo
orientamento che ne denaturerebbe la essenza, certamente con
grave suo danno, se pur non avviandola ad inevitabile rovina.
I fatti sono universalmente noti; ma conviene riassumerli, per
maggiore intelligenza di tutti.
q Paolo Della Valle anche nelle asprezze della guerra scriveva ad uno
di noi (prof. Mazzarelli) quanto segue:
Dal fronte di combattimento 10 luglio 1915
Egregio Professore,
Le scrivo dalle trincee di combattimento dei nostri contro gli Au¬
striaci, mentre shrapnel e granate si incrociano per aria con il loro caratteri¬
stico fruscio, e a decine cadono feriti e morti i nostri oltre che i loro. In tali
condizioni il mio pensiero continuamente ricorre alla questione di cui tanto mi
interessai prima di partire. Mi sembra perfino impossibile che non si debba
riuscire nello scopo che la nostra dignità nazionale ci impone nel presente
momento storico. Come Le dissi partendo mi fido nell'opera Sua.
4
Paolo Della Valle.
Sottotenente medico 16° Reggimento Fanteria
4° Battaglione
— 2 —
Bisogna premettere che la Stazione Zoologica di Napoli fin
dalla sua fondazione ha avuto sempre delle caratteristiche so¬
stanziali: quella di essere un Istituto privato ed internazionale,
e quella di offrire la più completa libertà di azione, nel campo
degli argomenti di studio, sia del materiale di ricerca, sia della
metodica, sia delle teorie e delle scuole. Aperta agli studiosi di
tutti i Paesi, essa non era adatta per gli studenti che avessero
ancora avuto bisogno di guida nelle loro ricerche. Gli scienziati
eminenti che ne erano a capo, quali il Direttore, Antonio Dohrn,
e poi Ugo Eisig, Paolo Mayer, Paolo Schiemenz, I. Giesbrecht, che
sopratutto lo coadiuvavano, se richiesti non lesinavano i loro con¬
sigli, ma si guardavano bene dall'esprimere nemmeno il loro parere
sugli argomenti che gli studiosi imprendevano a trattare. Era come
un albergo gestito, diremmo, quasi, per una convenzione inter¬
nazionale. Ogni Stato o ente aveva diritto, in rapporto con
quello che annualmente pagava alla Amministrazione della Sta¬
zione, ad un certo numero di tavoli di studio, arredati di tutto
il necessario per le ricerche. Chi voleva recarvisi doveva otte¬
nere dallo Stato o dall'Ente l'uso di un tavolo di studio: ottenu¬
tolo la Stazione ne riceveva avviso dallo Stato o dall'Ente
stesso. Chi giungeva si presentava al vice-Direttore: questi chia¬
mava il preparatore, il ben noto Peppino Riegel, ora defunto,
e lo faceva accompagnare al posto preventivamente preparato
ed arredato di tutto l'occorrente (tranne gli istrumenti che oc¬
correva portare seco); ivi il preparatore indicava le vasche spet-
tantigli per tenervi gli animali vivi ed eseguiva tutte le modifica¬
zioni che gli si richiedevano. Più tardi l’ospite riceveva la vi¬
sita del Conservatore (che fu per tanti anni Salvatore Lo Bian¬
co), il quale gli chiedeva quale materiale, e cioè quali animali,
occorresse per i suoi studi: prendeva nota ed andava via. Seguiva
la visita del Bibliotecario che lo invitava ad accompagnarlo nella
ricca Biblioteca e gli indicava il modo come erano distribuiti i
libri e i periodici, e nello stesso tempo il meccanismo del pre¬
stito dei libri e periodici medesimi. Il giorno dopo si tornava
e si trovavano già sul tavolo dei bicchieri di acqua di mare con
entro, viventi, gli animali da studiare.
Dopo ciò si restava completamente liberi, senza dar conto
a nessuno delle proprie indagini, senza essere obbligati a subire
— 3
quella direzione, assurda, per gli studiosi maturi, che viene impo¬
sta negli istituti universitari. Si restava liberi di studiare di giorno,
e se occorreva, anche di notte, di mattina e di sera, con un per¬
sonale sempre pronto a tutto quello che abbisognava, si restava
liberi di far conoscenza col proprio vicino, ovvero di passargli
accanto senza nemmeno salutarlo; di entrare in relazione col per¬
sonale scientifico della Stazione, o magari di mostrare di non
accorgersi nemmeno della sua presenza. Così procedeva la Sta¬
zione, mentre il personale direttivo di essa non trascurava, in
continuazione, di occuparsi di quanto alla Stazione andava man
mano occorrendo, affinchè gli ospiti tutti non mancassero di nulla,
nonché delle indagini che ciascuno di essi imprendeva per proprio
conto. Unico grave difetto; quella specie di dinastia ereditaria della
famiglia Dohrn, che avrebbe impedito a suo tempo la libera scelta
di un Direttore adatto e poteva esporre la Stazione ad essere un
giorno malamente, diremo così, governata da un Direttore in¬
capace o troppo avido di lucro, e peggio ancora, in caso di estin¬
zione della famiglia, l’alea che la Stazione andasse in mano ad
una Università tedesca; (così era stabilito nel contratto col Co¬
mune di Napoli !), con grave offesa alla nostra dignità nazionale;
unica grave minaccia, la sempre crescente egemonia tedesca
sulla Stazione.
Mentre stavano così le cose l'improvviso scoppio della guerra
europea fece sì che il personale scientifico della Stazione, al¬
lora del tutto tedesco od austriaco, lasciasse precipitosamente
l'Italia. La Stazione si resse anco'ra per alcuni mesi, ma era evi¬
dente che i fondi venivano meno, ed allora si rese opportuno,
e forse indispensabile, l’intervento, invocato dal Municipio di
Napoli (proprietario della Stazione) del Governo Italiano, che
aveva così anche la possibilità di eliminare per l’avvenire il
pericolo della menzionata avanzante egemonia tedesca e di tron¬
care il non meno pericoloso andazzo dell’eredità forzata della
Stazione nelle mani di un qualsiasi membro della famiglia Dohrn
o peggio ancora, come si è detto, in qnelle di una Università
tedesca.
Il Ministro della P. 1. nominò dapprima una Commissione
straordinaria per l’amministrazione della Stazione e più tardi, in
seguito alla proposta contenuta nella relazione della Commissione
— 4 —
medesima, eresse la Stazione stessa in Ente morale con decreto
luogotenenziale del 26 Maggio 1918, approvandone successiva¬
mente lo Statuto con altro D. L. del 9 Giugno. Valendosi della
disposizione transitoria contenuta neirart. 9 dello Statuto stesso,
e tenendo presente l'art. 5 del medesimo, il Ministro del tempo,
bon. Berinini, dette al Prof. Monticelli, ordinario di Zoologia
nella Università di Napoli, l'incarico temporaneo della dire¬
zione della Stazione.
Ma dopo alquanto tempo, e proprio mentre il Consiglio di
Amministrazione si accingeva a compilare il Regolamento, ai
membri del cennato Consiglio non solo, ma anche al Ministro
pervenne un memoriale anonimo, diffuso inoltre largamente nel
pubblico, inteso a dimostrare la necessità di modificare lo Statuto,
specialmente perchè in esso è consacrato che a Direttore della
Stazione Zoologica deve essere chiamato uno zoologo, mentre
secondo l'Autore del memoriale stesso più opportuno sarebbe
chiamarvi un fisiologo, o quanto meno che i direttori delle
due Sezioni di Zoologia e di Fisiologia, si alternassero nella Di¬
rezione dell'Istituto. Questo in breve il punto fondamentale della
questione: accessori gli altri.
Per sostenere la sua tesi l'Autore del citato memoriale scrive
testualmente: “ Ciò che sopratutto importa per l'avanzamento
(sic) degli studi di biologia marina in generale e per il progresso
di questa Stazione Zoologica in particolare è di sradicare il pre¬
giudizio che, dato l'appellativo di " Zoologica „ che la Stazione reca
sin dall'origine, ad essa debba necessariamente presiedere uno
zoologo. Non bisogna dare alle parole una importanza maggiore
di quella convenzionale che esse hanno. Il Kofoid, che ha fatto
recentemente uno studio comparativo sulle stazioni affini a que¬
sta di Napoli, sparse per V “ Europa,,, ha già cessato di chia¬
marle zoologiche e la chiama biologiche; e tali sono, o
debbono essere in realtà. La Stazione Zoologica di Napoli è
stata ed è essenzialmente un Istituto di biologia marina, dove si
sono fatte e si fanno non solo osservazioni e descrizioni di animali,
di tessuti ed organi morti e fissati — che a questo è ormai ridotta la
vecchia zoologia meramente morfologica — ma anche ricerche spe¬
rimentali su animali, tessuti, ed organi viventi ; ricerche di fisio¬
logia, di chimica fisiologica e di chimica fisica applicata alla fi-
— 5 —
siologia. Ora è universalmente riconosciuto che queste ultime
ricerche non solo non sono meno importanti delle prime ma anzi
sono a questi superiori, di quanto lo studio e la conoscenza dei
fenomeni della vita sovrastano allo studio e alla conoscenza delle
mere forme irrigidite dalla morte ; di quanto la fisiologia, che è
il centro verso cui convergono tutte le discipline biologiche, so¬
vrasta alla morfologia descrittiva ; di quanto una scienza dina¬
mica ed in continuo e rigoglioso progresso, qual’è la prima, so¬
vrasta ad una scienza statica, e ormai quasi cristallizzata quale è
la Zoologia classica
Ci rincresce di doverlo dire, ma l'Autore del memoriale
scrivendo queste parole non si è reso conto che egli lasciava
nel lettore nettamente l' impressione che egli non conoscesse che
cosa sia la Zoologia!
E dicendo la “Zoologia,, intendiamo la “ scienza zoologica,,
— senza equivocare tra Zoologia vecchia e Zoologia nuova, e
senza confonderla col dilettantismo zoologico — quale è stata da
secoli sanamente intesa da noi ogni qual volta ha saputo resi¬
stere alle influenze esotiche, non diciamo da Lazzaro Spallanzani
ma addirittura da Francesco Redi in poi !
Lasceremo da parte quanto il citato Autore del memoriale
scrive sul voluto predominio della Fisiologia sulle altre scienze
biologiche; il suo linguaggio è altamente deplorevole: ogni
scienza è degna del massimo rispetto, nessuna scienza, da scien¬
ziati degni di tal nome, deve essere considerata superiore o in¬
feriore ad un'altra. E quanto al Kofoid, libro di mera compila¬
zione (per istruzione del pubblico americano) sulle Stazioni bio¬
logiche del mondo, ci limiteremo a dire che non vi era proprio
bisogno di chiamarlo in causa, perchè se l'Autore del memo¬
riale fosse al corrente di quello che è avvenuto in Italia da un
ventennio a questa parte, invece di seguire il vieto andazzo di
portare alle stelle solo quanto si dice o si fa dagli stranieri, sa¬
prebbe che proprio venti anni or sono presso il Museo Civico
di Storia naturale di Milano veniva istituito un “laboratorio
biologico,,, che si occupava specialmente della biologia delle
acque; che più tardi, nel 1907, a Milano stesso questo labora¬
torio si trasformava in una grande stazione di Idrobiologia;
che nel 1914 si istituiva in Taranto una Stazione di Biologia
— 6 —
marina; che nel 1916 si inaugurava a Messina l'Istituto cen¬
trale di Biologia marina del R. Gomitato Talassografico, e
che finalmente nel 1919 si è istituito sul lago Fusaro un osser¬
vatorio di B i o 1 o g i a marina; ed avrebbe anche saputo, nel
tempo stesso, che a dirigere siffatte stazioni biologiche sono
sempre stati chiamati degli zoologi, e affatto recentemente a
dirigere la Stazione Zoologica, di Rovigno è stato chiamato uno
zoologo, e che inoltre nel capitolato che fa parte della legge
speciale per il Mar Piccolo di Taranto, è espressamente dichia¬
rato che il Direttore di quel laboratorio di Biologia marina
deve essere uno zoologo. D'altra parte l'Autore del memo¬
riale avrebbe dovuto anche sapere che lo stesso Kofoid, autore
del libro da lui invocato, è uno zoologo, e che tutte le Sta¬
zioni di Biologia marina straniere sono dirette da z o o-
logi, e che all’estero si può ben trovare uno zoologo che di¬
riga un Laboratorio di Fisiologia generale, ma non già un
Fisiologo che diriga un laboratorio di Biologia marina.
E la cosa del resto è perfettamente logica. Dandosi il nome di
biologiche alle Stazioni che prima si chiamavano solo zoolo¬
giche si è solo voluto indicare che esse non dovessero ser¬
vire soltanto alla Zoologia sistematica ed agli studi di Embrio¬
logia e dì Morfologia, dando a quest'ultima parola il suo rigido
significato “ gegenbauriano e non quello solo etimologico, che
non è poi quello scientifico, ma sopratutto alla conoscenza della
vita degli esseri in rapporto all'ambiente in cui questi vivono :
studio della vita dunque e non della morte, come crede o vuol
far credere l'Autore del memoriale, scienza dinamica quindi
è non statica> e niente affatto cristallizzata.
In un'assemblea come questa ci corre appena l'obbligo di
rammentare, che l'essere vivente, animale o vegetale che sia, si
riannoda mediante infiniti legami all'ambiente in cui vive. L'es¬
sere implica l'ambiente, e reciprocamente un ambiente determi¬
nato implica 1'esistenza di esseri che presentino un insieme di
caratteri determinati. Questa dipendenza reciproca è quella che
collega il fenomeno da misurare con quello che serve di
misura, e realmente l'essere vivente, secondo l'ingegnosa im¬
magine del Thoulet, è bene un istrumento di misura dell'am¬
biente, come, il termometro e un istrumento che misura la tem-
- 7 —
peratura, il barometro la pressione atmosferica. Ogni cangia¬
mento di condizioni dell’uno corrisponde ad un cangiamento di
condizioni delle altre. Una data pianta, un dato animale implicano
la coesistenza di una data temperatura, di una data pressione, e
possono, per conseguenza, servire a misurare queste ultime. La
esistenza di un essere vivente nelle acque implica quindi tutto
un insieme di condizioni : di luce, di temperatura, di pressione,
di salinità, di contenuto di ossigeno, di trasparenza, di evapo¬
razione, di correnti, di movimento delle onde (in rapporto alla
loro volta con lo stato meteorologico, in determinate condizioni
di tempo e di spazio, che si riannoda poi alle peculiari condi¬
zioni astron omiche dell'annata), ed inoltre di profondità di
natura del suolo, di conformazione delle coste, ed infine, ciò che
ha la maggiore importanza di tutto il resto, di nutrimento : nu¬
trimento che è rappresentato alla sua volta da un altro essere
vivente, animale o vegetale, che esso stesso implica una serie di
particolari condizioni di ambiente; senza contare le condizioni
inerenti ai rapporti che tale essere vivente ha coi suoi simili,
come quelli sociali o coloniali e quelli di simbiosi, di commen¬
salismo e di parassitismo e oltrecchè quelli di funzionare da pre¬
datore o da preda, senza contare le migrazioni, gli spostamenti
batometrici degli esseri stessi in relazione col periodico od oc¬
casionale variare di tali condizioni. E siffatte molteplici condi¬
zioni è necessario studiare, e con esse lo svolgersi della vita
degli esseri in mezzo ad esse. Per gli zoologi, cultori di biolo¬
gia marina, il laboratorio è dunque molto più vasto di quello
che possa immaginarsi ; tale laboratorio è il mare, nella sua va¬
stità sconfinata, nei suoi abissi, con le sue calme e le sue ire ; ed
essi sono ben paghi quando, dopo non lieve lavoro, riescono
appena ad intravedere una legge che stabilisca p. es. un rapporto
tra un determinato grado di salinità e di temperatura e la presenza
o il rigoglioso apparire di una data specie, ovvero tra remi¬
grazione di un'altra e l'andamento di una data corrente, o la
maggiore o minore ricchezza di ossigeno in una data plaga
acquea. Scienza della vita e non della morte una
tale scienza, scienza dinamica e non statica.
Ma per cosi procedere noi dobbiamo innanzi tutto cono¬
scere le forme animali, avere con esse sufficiente dimestichezza
— 8 —
per poterle seguire in tutte le vicende della loro vita: dopo,
soltanto dopo, saremo in grado di eseguire su di esse tutti i
possibili studi nel vasto campo della biologia intesa nel senso
più lato.
Ed è ovvio pertanto che solo uno zoologo possa dirigere
una stazione di biologia marina, poiché essendo indispensabile
innanzi tutto la conoscenza delle forme viventi (di quelle ani¬
mali specialmente, per il loro maggior numero) — una conoscenza
tale da sapersi per lo meno orientare tra esse — il punto di par¬
tenza non già il punto di arrivo, è sempre, indiscutibilmente, la
Zoologia descrittiva, che è come l'alfabeto, senza la conoscenza
esatta del quale non è possibile leggere alcun libro. Ed è sem¬
pre uno zoologo, con tale sano indirizzo, che in una qualsiasi
Stazione Biologica deve avere la parte direttiva; perchè egli sol¬
tanto, e non altri, avendo la completa visione dei rapporti che
possono intercedere tra esseri viventi ed esseri viventi, fra que¬
sti e l'ambiente, è in grado di segnare l'indirizzo generale della
Stazione ; e di mettere in valore, coordinandoli, i risultati degli
specialisti delle singole branche della Biologia, che dei dati e
del materiale raccolto dalla Stazione stessa si avvalgono per i
loro studi. E ciò anche se una Stazione dovesse limitarsi a prov¬
vedere gli animali che occorrono per gli acquari esposti al pub¬
blico ! Perchè anche per tenere un acquario bisogna essere uno
zoologo, (l'Acquaria di Berlino informi !) con quel particolare in¬
dirizzo biologico sopra cennato, e sarebbe poi veramente ameno,
a dir poco, che a dirigere una stazione zoologica o di biologia
marina col relativo Acquario fosse preposto un Fisiologo, abi¬
tuato a conoscere gli animali soltanto affidandosi al cartellino
su cui il cortese conservatore dell'Istituto ne scrive il nome
scientifico, pronto a sbagliarsi non dico di specie o genere,
(per certi fisiologi genere e specie sono la stessa cosa ! gli
esempi non mancano !) ma di ordine, di classe e perfino di tipo
qualora per avventura, per un causale errore si scambiassero da
un bicchiere all'altro i cartellini stessi! e non é il primo caso
che ricerche fisiologiche (e anche istologiche o embriologiche),
eseguite da non zoologi, abbiano perduto qualsiasi importanza
per inesatta od errata determinazione delle specie, determina¬
zione che soltanto chi possiede una fondamentale cultura natu-
— 9 —
ralistica è in grado di apprezzare al suo giusto valore. Non si
tratta dunque di un pregiudizio che fa, in tutto il mondo, chiamare
gli zoologi a capo delle stazioni di biologia marina, ma di una
vera necessità, non solo scientifica, sibbene anche tecnica, per il
funzionamento delle Stazioni stesse.
Tuttavia proprio il sopra citato memoriale pare abbia de¬
terminato il Ministero, al quale è da lamentare non sia stato
ben prospettato quanto sopra è stato esposto, a nominare una
Commissione per la riforma dell’ordinamento della Stazione
Zoologica !
Questa Commissione, in cui i veri conoscitori del funzio¬
namento della Stazione e dei suoi scopi scientifici non erano
davvero in numero eccessivo, pur non essendo in numero le¬
gale (il verbale venne firmato da cinque membri soltanto su un¬
dici, un sesto membro espresse un voto separato) presentò le
sue proposte in un apposito schema di Statuto. Fra queste sono
degne di nota quelle relative agli articoli 3, 8 e 10.
L'art. 3 parla di contributi, e parrebbe non sostanzialmente
differente dall'art. 2 del vigente statuto, se la locuzione usata
alla lettera g di " assegni italiani e stranieri per tavolini di stu¬
dio „ in luogo di " locazione di tavoli di studio „ non facesse
nascere il sospetto di qualche mutamento essenziale. Ed infatti
"l'assegno,, non è la "locazione „, e non ha la portata finan¬
ziaria della locazione, nè impersona l'essenza dell'art. 1° dello
statuto ora vigente. Ma vi è di più. L'articolo parla di contri¬
buto a) del Ministero dell' Istruzione ; b) del Comitato Talas¬
sografico ; c) del Ministero dell'Agricoltura ; ma stranamente
nella relazione non ne stabilisce l'entità. Viceversa poi si è sa¬
puto che in Commissione si è parlato della necessità un sussidio
annuo di L. 200.000 da parte del Ministero dell'Istruzione, di
150.000 da parte del Comitato Talassografico e di 50.000 da
parte del Ministero di Agricoltura: 400.000 lire in tutto, che il Go¬
verno italiano avrebbe dovuto elargire alla Stazione, senza della
quale elargizione parrebbe che la Stazione non potesse funzionare!
Noi non sappiamo se queste cifre siano l'espressione di una
speranza ovvero risultino da affidamenti avuti dai singoli mini¬
steri. Se ciò fosse risulterebbe che il governo si accingerebbe
a sussidiare la Stazione con tale cospicua somma di 400.000
— 10 —
lire annue, stabilendo la sua effettiva preponderanza sulla Sta¬
zione Zoologica, e togliendole definitivamente il suo carattere
privato e internazionale, al quale la Stazione deve la sua fama
e il suo passato benessere. Noi non crediamo che un sì cospi¬
cuo sussidio abbia ad essere effettivamente erogato, ma ove lo
fosse noi, cittadini italiani e cultori di scienze, dovremmo asso¬
lutamente opporci.
Non infatti nel momento in cui i gabinetti universitari vol¬
gono in condizioni finanziarie tristissime, massime, e sono molti,
quelli a scarsa dotazione, il Ministero deir Istruzione deve im¬
pegnarsi a un così cospicuo sussidio in favore di un Ente che
ha proprie risorse; alle quali non si tratta che dare un mag¬
gior sviluppo coadiuvando, con una opportuna azione diplo¬
matica, i lodevoli sforzi della direzione della Stazione, che
cominciano già ad essere coronati da successo, intesi a ripri¬
stinare, per quanto è possibile, le antiche locazioni dei tavoli di
studio, da parte dei varii Stati Esteri. Ed è bene si sappia che
quest'anno sia per tali locazioni, sia per i sussidi, sia per i bi¬
glietti di ingresso dei visitatori dell'Acquario, la Stazione ha
introitate oltre 200.000 lire!
E nemmeno nel momento in cui l'Istituto Centrale di Bio¬
logia marina di Messina manca ancora di tutto, per difetto di
personale, di suppellettile scientifica, di libri, e in cui occorre
provvedere degnamente alle sue nuove stazioni di biologia ma¬
rina, il Comitato Talassografico deve impegnarsi a un sussidio
di ben 150.000 lire a favore di un Ente che ha proprie risorse,
e che una tale somma non si è mai sognato di chiedergli.
Ed infine nemmeno nel momento in cui le Regie Stazioni
di Piscicoltura mancano ancora di tutto, e sono ben lontane dal
funzionare degnamente, e in cui non è possibile ancora istituire,
per mancanza di fondi, quegli osservatori di pesca di cui si
sente così vivo bisogno, e dei quali si è recentemente occupata
la Giunta esecutiva per il coordinamento degli studi di Biolo¬
gia applicata alla pesca, il Ministero di Agricoltura (che ha si¬
nora nella parte ordinaria del suo bilancio stanziate solo non
più di 80.000 lire) deve impegnarsi a un sussidio annuo di
50.000 lire a favore di un Ente, che non può dare alla pesca
che una piccola parte della sua attività, e che non ha chiesto
— 11
un simile sussidio, contentandosene di uno assai più modesto.
Quanto poi all'art. 8° dello schema dello Statuto proposto
dalla Commissione, esso contempla, nella Stazione tre sezioni,
diremo equipollenti: runa di Zoologia, la 2a di Fisiologia, e la
3a di Chimica Fisiologica. Questo ordinamento così limitato non
è assolutamente ammissibile :
1° perchè viene a sopprimere la sezione di Botanica, già
esistente, che non può non essere autonoma e che ha nobilis¬
sime tradizioni. Essa fu la prima sezione istituita nella Stazione
stessa, la quale, è bene notarlo, aveva intrapresa la maggiore
pubblicazione col titolo di “ Fauna und Flora des Golfes von
Neapel „.
2° perchè non è ammissibile una sezione dì sola chimica
fisiologica in una Stazione di Biologia marina: essa deve essere,
come era prima, una sezione di Chimica generale, da servire
alla chimica del mare e alla chimica fisiologica ed è assai strano
che la Commissione abbia dimenticato nientemeno la Chimica
del mare I ! !
Quanto infine all' art. 10 esso disporrebbe che la direzione
della Stazione fosse affidata indifferentemente ad uno dei tre
direttori di sezioni (cosicché la direzione potrebbe anche essere
affidata ad un fisiologo o... ad un chimico!); ma di ciò abbiamo
già a lungo precedentemente parlato, e non è d'uopo più ripe¬
terci per dimostrare ancora una volta la assurdità di una sif¬
fatta proposta.
Ma vogliamo fermarci un momento sulla sezione botanica
che la Commissione ritiene opportuno abolire, mentre essa è
stata fin qui parte integrante della Stazione.
È veramente strano che nel concetto di questa riforma si
faccia astrazione dalla vita degli innumerevoli esseri appartenenti
alla flora marina, dai quali dipende direttamente o indiretta¬
mente la vila degli animali del mare.
Tale connessione non era certo sfuggita all' illustre fonda¬
tore della Stazione Zoologica, il quale istituì in questa la Sezione
botanica, promosse la raccolta e lo studio delle piante del mare
come ne fanno attestazione le eccellenti monografie sia di stra¬
nieri che di italiani consegnate nelle pubblicazioni della Stazione.
11 titolo stesso, come si è avvertito, nella più importante di esse:
Fauna und Flora des Golfes voti Neapel , sta a dire della im¬
portanza assegnata fin dalle origini della Stazione allo studio
delle piante marine.
Nè potrebbe essere diversamente, dato che la vita nelle
acque del mare, come in terra ferma, si esplica sotto la duplice
manifestazione di vita vegetale e animale. E senza troppo insi¬
stere sugli intimi rapporti che si stabiliscono fra gli esseri che
convivono nelle acque del mare, e senza invocare pur le odier¬
ne dottrine che mettono in rilievo la importanza del metaboli¬
smo delle piante marine per la vita degli animali, si comprende
troppo facilmente la necessità dello studio della flora marina in
una Stazione di biologia qual'è la Stazione Zoologica di Napoli
che per tale studio offre tutta la opportunità e tutti i mezzi.
Basti il ricordare, se ce ne fosse bisogno, che proprio negli anni
che precedettero la conflagrazione europea, ad integrazione della
Sezione di botanica, fu nominato un assistente nella persona del
Dr. Funk.
La vegetazione marina che ha avuto nella Stazione valorosi
cultori quali il Bertold, Y Oltmann, il Valiante, il Nicolosi-
Roncati, il Pantanelli ed altri ancora, offre un campo stermi¬
nato alle indagini biologiche, basta pensare che ancora non è
stato fatto uno studio completo sulla distribuzione nel Golfo
delle alghe e delle monocotiledoni marine in relazione con le
profondità del mare, con la natura litologica del fondo e delle
coste, e con tanti fattori che concorrono a modificare nei vari
settori le condizioni di vita delle piante stesse.
Il problema tanto discusso delle variazioni floristiche bati—
metriche aspetta ancora una soluzione, come i molteplici pro¬
blemi riguardanti la trasparenza del mare, la penetrazione e l'as-
sorbimento delle radiazioni luminose, e l'assimilazione clorofil¬
liana in relazione con i fattori suddetti, con la pressione, e la
presenza dell'anidride carbonica alle varie profondità. Ancora
insoluto é il problema della origine e la fisiologica importanza
dei pigmenti che mascherano e modificano la clorofilla. Come
innumeri quistioni di chimica - fisica, e di chimica biologica si
affacciano circa i processi di assorbimento, di elettività dei joni
a i comportamenti specifici delle alghe del mare, come emerge
da studi già iniziati nella stessa Stazione in questi ultimi anni e
— 13 —
resi di pubblica ragione in pubblicazioni scientifiche quali i
"Rendiconti deirAccademia delle Scienze,, di Napoli, il "Bollettino
dell'Orto botanico di Napoli,,. Nè di minore interesse sarebbero
gli studi sulle biomorfosi e chemomorfosi sperimentali, quando
su larga scala venissero intraprese ricerche sperimentali di col¬
tura delle alghe del mare nelle vasche della Stazione, facendo
variare i costituenti chimici e le concentrazioni delle soluzioni;
esperienze che furono anzi iniziate poco prima dello scoppio
della guerra nella stessa Stazione Zoologica. Per tutte queste
considerazioni, il mantenimento, ed una più larga funzione di
una Sezione botanica, s'impone ed è a deplorare che così leg¬
germente si sia pensato di sopprimerla.
Riassumendo la Commissione ministeriale, o meglio la mi¬
noranza di essa intervenuta, che ha coscienziosamente terminato
i suoi lavori e formulate le sue proposte, ha evidentemente fatto
del suo meglio per assolvere il suo compito; ma essa non vi
è riuscita, ed ha presentato proposte tali che, ove fossero ac¬
colte, riuscirebbero di grave nocumento, alla Stazione Zoologica
e agli Istituti scientifici italiani: alla prima perchè togliendole
la caratteristica veste internazionale, alla quale essa deve il suo
rigoglioso sviluppo e affidandone eventualmente le sorti a mani
scientificamente e tecnicamente inesperte, ne promuoverebbero
la rapida decadenza; agli altri perchè resterebbero privi, di un
aumento alle scarse loro dotazioni per quelle somme, che inop¬
portunamente verrebbero somministrate alla Stazione stessa.
Ma v'ha un'altra questione fondamentale sulla quale cre¬
diamo intrattenerci. E' per noi ovvio che l'unico modo per man¬
tenere in vita la stazione e per darle anzi uno sviluppo anche
maggiore di quello che aveva una volta, è di non mutare punto
la sua primitiva fisonomia di istituto scientifico privato ed in¬
ternazionale: la soppressione della dinastia Dohrn e la possibi¬
lità della libera scelta di un Direttore adatto non poteva che
giovarle, come egualmente avrebbe dovuto giovare al suo ca¬
rattere di libero Istituto internazionale la cessazione di qualsiasi
preponderanza del governo tedesco, al pari di quello di qual¬
siasi altro stato. Lodevole fu certamente l'atto col quale il go-
verso italiano intervenne in tempo di guerra, in aiuto di una
istituzione che poteva correre il pericolo di interrompere la sua
— 14 —
proficua esistenza e nello stesso tempo colse 1' occasione pro¬
pizia per distruggere quella egemonia tedesca, che nella Stazione
andava sempre maggiormente affermandosi, togliendo, nel tempo
stesso, di mezzo la strana eredità scientifica dei Dohrn e la mi¬
nacciante umiliazione del probabile passaggio dell'Istituto in mano
a una Facoltà tedesca.
Il governo italiano sorresse la Stazione, ne curò la erezione
in Ente morale, previo il non lieve lavoro della Commissione
straordinaria, approvandone il relativo statuto, proposto dalla detta
Commissione straordinaria e, con disposizione transitoria, ne no¬
minava il Direttore incaricato per avviare, diremo così, il com¬
pleto riordinamento della Stazione. Ma, secondo noi, qui doveva
arrestarsi l'opera del Governo, qui doveva cessare l'intervento di¬
retto dello Stato, il quale doveva limitarsi a quell'alta azione di
tutela e di sorveglianza, che esso ha il diritto e dovere di eser¬
citare su tutti gli enti morali.
Invece nello statuto della Stazione venne scambiato un libero
Ente norale, che si propone un fine puramente scientifico di fuori
di qualsiasi insegnamento, con un consorzio avente il fine di
mantenere in vita l'Istituto superiore, quale un Politecnico per
es. o una Scuola Superiore di Commercio. Errore questo, se¬
condo noi, gravissimo, che ha alterato la tipica fisonomia della
Stazione, con una ingerenza governativa che è fuori posto e
dannosa.
Lo statuto del 1918 contiene infatti clausole che mal si ad¬
dicano ad un Ente che nel 1° articolo dello statuto stesso vien
proclamato un libero Istituto-, e che poi non vanno applicate ad
un Ente morale, il cui consiglio di amministrazione deve essere
arbitro di tutto il funzionamento dell'Ente stesso.
Il Direttore della Stazione Zoologica, dice l'art. 58, deve es¬
sere nominato dal Ministro della P. I.: errore.
Il Direttore della Stazione Zoologica deve essere invece
nominato dal Consiglio di Amministrazione: se per libera scelta
o per concorso deve essere il Consiglio di Amministrazione a sta¬
bilirlo. Non certo nella nostra Società, che è pure Ente morale,
il Presidente sarà nominato dal Ministro della P. I., e se la no¬
stra Società avesse i fondi necessari nulla le impedirebbe di
creare degli Istituti scientifici privati e di affidarne la direzione
15 —
a persone da essa stessa scelta, senza intervento del Governo.
Ma vi ha di più: abbiamo inteso una cosa stranissima. L'art.
2° stabilisce come debba essere composto il Consiglio di Am¬
ministrazione. Va da se che i singoli enti, ivi designati, prov¬
vedono alla nomina dei propri delegati. Il Ministero della Pub¬
blica Istruzione invece nomina, con proprio decreto, questi de¬
legati che gli vengono proposti dai detti enti !
Col nuovo statuto poi 1' ingerenza del governo crescerebbe
a dismisura, sino al punto di applicare al personale, costituente
il corpo scientifico della Stazione, le norme del testo unico delle
leggi sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato !
Invece secondo noi bisogna battere risolutamente altra via,
e questa via deve essere quella che riconduca la Stazione alla sua
antica grandezza, ridando completamente al nuovo Ente morale
il suo carattere di libero Istituto privato, internazionale, sosti¬
tuendo un Consiglio di Amministrazione, fatto dai rappresentanti
degli Enti interessati, al governo della famiglia Dohrn, ma elimi¬
nando qualsiasi ingerenza di qualsiasi Stato cominciando dall'Italia.
Così, e non altrimenti, la Stazione Zoologica di Napoli, gui¬
data da un Direttore Zoologo, di speciale competenza, nominato
dal Consiglio di Amministrazione, potrà riprendere il suo cam¬
mino glorioso nella veste di un pretto Istituto internazionale
privato, adatto soltanto per coloro che vogliono studiare, e se¬
riamente studiare, e non servirsene per un comodo impiego o
per un luogo di riposo da circondarsi di facile rèclame.
Qualsiasi intervento diretto statale non potrà che uccidere
questo grandioso e glorioso Istituto, pur considerato come mo¬
numento imperituro di Antonio Dohrn e dove più generazioni,
a dirla con Carlo Emery, hanno imparato a conoscere che cosa
sia la Zoologia.
Ma che ciò non avvenga ne affida l'alto senno dell'on. Mi¬
nistro della P. J.
F.to: Prof* Fridiano Cavata (ordinario di Bo¬
tanica nella R. Università di Napoli).
„ Prof. Ugo Milone.
„ Prof* Giuseppe Magateli! {or din. di Zoo¬
logia nella R. Univ. di Messina ), relatore.
Allegato N. 2.
La riforma del Ministro Gentile e Tinsegnamento
delle Scienze Naturali nelle Scuole Medie.
(Tornata del 29 luglio 1923)
La nostra Società, vigile sempre nella sacra tutela del pro¬
gresso scientifico della Nazione , massime per quanto concerne
Tincremento delle Scienze Naturali, sempre pur troppo neglette
da noi, e non prese mai nella dovuta considerazione, non può
rimanere indifferente dinanzi alla testé decretata riforma della Scuola
Media, che, pur fermandosi soltanto a quanto concerne le Scienze
Fisiche e Naturali, può considerarsi una vera reformatio in pejus.
In questa riforma occorre distinguere due provvedimenti
diversi, entrambi pur troppo esiziali. Il primo consiste nella ridu¬
zione deirinsegnamento delle Scienze naturali, il secondo nell'ab¬
binamento di questo con altri insegnamenti. Esaminiamoli l'uno
dopo l'altro.
L — Riduzione dell'insegnamento delle Scienze naturali*
Una prima novità dobbiamo constatare nel Liceo Ginnasio
classico : la soppressione dell'insegnamento della Storia Naturale
nel Ginnasio superiore. Quando nel 1881 Guido Baccelli intro¬
dusse 1' insegnamento della Storia Naturale nel Ginnasio, nes¬
suno di quanti in Italia amano la cultura e il progresso scien¬
tifico della Nazione avrebbe mai potuto supporre che dopo oltre 40
anni un tale insegnamento sarebbe stato soppresso. E perchè poi ?
Ci sono perfettamente ignote le ragioni di una tale soppressione.
Se sono solo ragioni di economia, costituirebbero queste un ben
meschino criterio informativo di disposizioni che concernono
nientemeno la cultura scientifica del Paese. Se sono invece di-
— 2 —
dattiche vorremmo proprio conoscerle ! Non dubitiamo che fra gli
stessi cultori di Biologia non vi siano dei critici per mestiere, dei,
come dire ? iconoclasti della scienza, per i quali tutto va male e
nello stesso tempo tutto è inutile, e che per aver sentito da qual¬
che scolaro degli spropositi, e magari per averne uditi altri da
qualche insegnante, non si sono peritati di dichiarare inutile, se
non dannoso, l'insegnamento della Storia Naturale nel Ginnasio.
Ma se un Ministro segue alla lettera i consigli di tali mestie¬
ranti di critica, allora si può star freschi davvero ! La verità
invece è ben altra. L' insegnamento della Storia Naturale nel
Ginnasio, più ancora di quello di altre discipline, lascia tracce
più o meno profonde, più o meno precise ed esatte, sino ad
appassionare addirittura l'allievo, e spingerlo talora a darsi a sif¬
fatti studi, secondo il valore dell'insegnante, secondo l'abilità e
l'attitudine di questo a incatenare 1' attenzione dell' allievo e ad
interessarlo a quanto espone. E a ciò pensando non possiamo
fare a meno d'inviare un saluto alla memoria di Michele Ge-
remicca, insegnante sommo per efficacia e dottrina, che seppe
con la sua parola non solo appassionare l'uditorio, ma spingere
un numero relativamente grande di suoi allievi a dedicarsi alle
Scienze Naturali.
Si sono attaccati i programmi, che a dire di molti obbliga¬
vano gli alunni ad imparare soltanto, a memoria, una filza di
nomi e di caratteri di piante e di animali, si è creduto di ob¬
bligare l'insegnante a fare a preferenza della biologia; ma non
si è capito, o non si è voluto capire, che il difetto, come di¬
cono i Veneziani, era nel manico, e che cioè era nell'insegnante.
L'insegnante di Scienze Naturali che sa il fatto suo non ab¬
bisogna nemmeno di programmi; basta indicargli l'argomento del
suo corso: al resto penserà da sè. Si è pertanto fatta una que¬
stione di cose, di programmi cioè e di materiale didattico, men¬
tre doveva farsi una questione di persone , doveva cioè mirarsi
ad avere degli insegnanti ottimi, che davvero raggiungessero lo
scopo di aprire le giovani menti, con l'osservazione e l'esperienza,
alla conoscenza del vastissimo campo dei fatti e dei fenomeni
naturali, da equilibrare almeno le pur troppo copiose imbibi¬
zioni di materiale fantastico e inverosimile, che dalle fiabe delle
scuole primarie accompagna l'allievo su su sino ai racconti leg-
— 3 -
gendari dell'antichità, ai canti dei rapsodi e dei trovatori, ai poemi
eroici e cavallereschi, creandogli d'intorno un mondo fantastico,
ben lontano dalla realtà della vita e dalla poderosa verità dei
fatti e dei fenomeni naturali, ai quali è pur legata la nostra esi¬
stenza, fuori del mondo dei poeti e dei filosofi.
Pur troppo poi alla storia Naturale non è stata data Y im -
portanza che essa meritava; pur troppo, dove l'insegnante non
sa convenientemente far rispettare la propria disciplina dal Pre¬
side e dai Colleghi, questa finisce col non contar più nulla, come
“ materia secondaria E precisamente a questo sciocco andazzo
devesi, anche se l'insegnante sia, come suol dirsi, in gamba, se ge¬
neralmente nei Ginnasi non si dà dagli allievi alla Storia Natu¬
rale quell'importanza che essa deve avere. La quale importanza
poi si limita ad un po' di attenzione che gli scolari dovrebbero
prestare alle spiegazioni e alle dimostrazioni del professore, e a
non altro* dovendosi escludere gli sforzi di memoria e simili ar¬
tifici.
Ma invece di rinforzare sotto tutti gli aspetti l'insegnamento
delle Scienze Naturali nelle Scuole si è pensato ad abolirlo o al¬
meno a ridurlo : cosi in Italia si finirà con 1' avere non solo il
non invidiabile primato dell' analfabetismo , che pur troppo già
abbiamo, almeno di fronte alle più civili nazioni di Europa, ma
quello altresì dell'assoluta ignoranza dei fatti e dei fenomeni na¬
turali. In un Paese dove pochi sanno p. es. che le balene non
sono pesci, e che non sono pesci nemmeno i polpi , o le arago¬
ste; dove molti credono che gli scarafaggi e i tarli nascano per
generazione spontanea; dove sono p. es. professori di lettere che
spiegano ai loro alunni che la malaria si sviluppa per la pene-
trazione degli anofeli nelle vie sanguigne (autentica !); dove in certi
giornali si legge per es. che viene consultato il “ barometro „
per rendersi conto della temperatura della giornata ; dove lo
sproposito scientifico è assunto a dignità di istituzione nazionale,
e lo si trova consacrato perfino nelle ordinanze dei Comuni, delle
Prefetture, delle Capitanerie di Porto, non erano troppe davve¬
ro, lo creda 1' Oli. Ministro, quelle povere due ore d'insegna¬
mento di Storia Naturale nella 4a e nella 5a classe del Ginnasio,
attraverso il quale devono passare per la maggior parte le ge¬
nerazioni di professionisti e di impiegati del Regno d'Italia!
— 4 —
Non vi sarebbe stata che una sola questione da studiare, quella
cioè, acuì abbiamo sopra accennato, della conveniente preparazione
degrinsegnanti a un siffatto insegnamento. Ma ciò doveva otte¬
nersi nelle Università, adeguatamente trasformando, e non abo¬
lendo, le Scuole di Magistero, nelle quali i giovani avrebbero
dovuto ricevere la necessaria istruzione da provetti insegnanti che
avessero i requisiti sufficienti, sia titolari delle Università stesse,
sia incaricati o liberi docenti, sia anche solo insegnanti secon¬
dari, seguendo criteri d'indole generale fissati dallo stesso Mini¬
stero. Così si sarebbe potuto fare qualche cosa di buono e di
realmente proficuo per la cultura scientifica della nazione. Ma
le disposizioni dell'On. Gentile invece di risolvere una siffatta
questione tendono a distruggere quel poco che si era potuto
finora faticosamente guadagnare.
Quanto all' insegnamento delle Scienze Naturali nel Liceo
classico nulla possiamo dire, non conoscendosene i programmi nè
l'orario; solo l’unione con la Chimica e la Geografia, se il nu¬
mero delle ore settimanali non è aumentato, deve naturalmente
portare ad una riduzione dei programmi, il che certo non pos¬
siamo che deplorare.
Dell' abbinamento con la Chimica e la Geografia parleremo
in seguito.
Egualmente 1' abbinamento della Fisica con la Matematica
lascia supporre che l'insegnante riunisca anche i due orari sinora
in vigore rispettivamente per la Fisica e la Matematica; altrimenti
anche qui si avrebbe una deplorevole riduzione.
E veniamo ora al così detto “ Liceo scientifico „. E diciamo *
“ così detto „, perchè confessiamo di non esser riusciti a capire in
che cosa questo " Liceo scientifico „ si differenzi dal Liceo clas¬
sico se non per qualità negative; la mancanza cioè dell’insegna¬
mento del greco e quello ridotto della chimica, ben piccola impor¬
tanza avendo i due prescritti insegnamenti di Economia politica
e quello di disegno. Cosicché resta assodato che nel Liceo
classico si studia una scienza in più che in quell' altro speciale
Liceo, che, come Incus a non lucendo , viene chiamato 11 Liceo
scientifico „! Ma allora perchè tanto rumore per nulla? A quale
scopo creare uno speciale Istituto, con preside, e, occorrendo,
segretario, e con appositi locali, quando sarebbe bastato conce-
— 5 —
dere agli allievi del 1° anno di liceo, vincolandoli a non potere
aspirare che alla iscrizione alle facoltà di Scienze e di Medicina
delle Università, di poter rinunziare airinsegnamento del Greco,
e, poniamo anche della Chimica (!); aggiungendo poi due inca¬
richi per l'economia politica e di disegno.
Ma, entrando poi nel merito, se questo Liceo scientifico deve
sostituire le soppresse sezioni fisico-matematiche degli Istituti
tecnici il difetto di tale istituto si rivela grandissimo. Noi non sap¬
piamo intanto che cosa ci guadagneranno gl'ingegneri ad essere
obbligati a studiare il latino e la filosofia, e cosa ci guadagneranno
per contro i medici a non studiare il greco : quello che è certo
è che è un errore gravissimo quello di aver ridotto l’ inse¬
gnamento della Chimica, che come tutti sanno non era come
nel Liceo classico abbinato a quello della Fisica, ma veniva det¬
tato da uno speciale insegnante laureato in Chimica, ed era ac¬
compagnato da esercitazioni. E sarebbe stato proprio provvido,
ora che anche coloro che aspirano ad iscriversi alle Facoltà di
Medicina possono provenire da queste antiche sezioni di fisico¬
matematica degl' Istituti fossero passati all' Università con un
discreto corredo di cognizioni di chimica. Ma invece ciò che
proprio era la parte migliore della preparazione scientifica di
tali sezioni è stata nei Licei scientifici, che ne dovrebbero essere
una trasformazione perfezionata, completamente soppressa !
Quanto poi all'insegnamento della Fisica e della Matematica
valga anche qui l'osservazione generica fatta per il Liceo clas¬
sico circa l'abbinamento delle due materie, con raggravante che,
come meglio diremo poi, se in un Istituto era proprio neces¬
sario, e per ampiezza di svolgimento, e per una maggiore sin¬
gola competenza dei rispettivi insegnanti, scindere i due inse¬
gnamenti, questo Istituto doveva essere proprio il Liceo scien¬
tifico.
Per l'insegnamento delle Scienze Naturali e della Geografia,
valgano qui le medesime osservazioni fatte per il Liceo classico
circa i programmi e gli orari, che non sono per anco conosciuti.
Dal Liceo scientifico per modo di dire passiamo al Liceo
addirittura, diremo, " ascientifico „, cioè al Liceo femminile. In
questo Liceo s'insegnerà bensì la filosofia e l'immancabile latino,
nonché il diritto, 1' economia politica e persino 1' economia do-
6 —
mestica (scienza quanto altra mai di difficile applicazione nei ca¬
lamitosi tempi attuali!); ma nulla, assolutamente nulla, s'insegnerà
di Scienze Naturali e d'igiene, bagaglio ritenuto affatto inutile
per signorine di buona famiglia, alle quali, invece, certo con
maggior successo, l' indulgente legislatore, ha reso obbligatorio
l'insegnamento della danza! Ora può esser mai concepibile una
scuola di cultura dove non si impartisca nemmeno la piu ele¬
mentare nozione di scienze fisiche, chimiche e naturali ? Queste
future madri di famiglia, che, come ben notava il prof. Mon-
dolfo di Bologna, con la danza diventeranno bensì delle mon¬
dane non delle vere madri, non saranno dunque in grado
nemmeno di comprendere cosa sia il sapone e come debba esser
fatto per non danneggiare la biancheria domestica, e ignore¬
ranno del tutto i pericoli per es. delle insalate crude, della frutta
cruda ecc. e d'altro ancora che esse continueranno a sommini¬
strare incoscientemente anche ai loro bambini !
Infine perchè togliere l'insegnamento degli elementi di Scienze
Naturali nei corsi inferiori degl'istituti tecnici, invece di coordi¬
narlo con quello che dovrà impartirsi nei corsi superiori ? An¬
che qui la soppressione di un tale insegnamento, che doveva
conservarsi sia pure con mutati programmi, è grandemente de¬
plorevole.
In conclusione la riforma dell'on. Gentile:
a) sopprime l'insegnamento della Storia Naturale nel
Ginnasio ;
b ) sopprime l'insegnamento delle nozioni di Scienze
Naturali nei corsi inferiori dell’Istituto Tecnico (l'antica Scuola
Tecnica);
c) riduce l'insegnamento della Chimica dal Liceo
scientifico ;
d) esclude l'insegnamento delle Scienze Naturali dal
Liceo femminile;
e) probabilmente riduce i programmi di Scienze Natu¬
rali nel Liceo Classico e nel Liceo scientìfico.
Vi è, come si vede in questa riforma tanto quanto basta ad
abbassare, e considerevolmente, il livello scientifico della Nazione,
già pur troppo sufficientemente basso !
Sarebbe pertanto necessario ripristinare gl'insegnamenti sop-
— 7 —
pressi, istituire l'insegnamento della Chimica nel Liceo scienti¬
fico, con uno speciale insegnante laureato in chimica, come già ne-
glistituti Tecnici, sezione fisico-matematica, e introdurre rinsegna¬
mento delle Scienze naturali e dell' Igiene nel Liceo femminile.
2. — L'abbinamento degl' insegnamenti*
Ma v'ha dell'altro, e quest'altro ci è dato daH'abbinamento
degli insegnamenti, che porterà a risultati anche più disastrosi,
in quanto che affiderà importanti discipline sperimentali ad in¬
competenti, rendendo affatto nullo, se non addirittura risibile,
l'insegnamento stesso.
Ricordiamo sempre un povero insegnante, che dalle vicende
della sua carriera, e per il supremo disprezzo in cui il direttore
generale del tempo (illustre letterato) doveva avere per le scienze
fisiche e naturali, era stato costretto, pur essendo abilitato in mate¬
matica, a dettar fisica in un Liceo di provincia. Il poveretto non
riusciva ad eseguire il più semplice esperimento. Perfino il campa¬
nello gli suonava entro la campana della macchina pneumatica, fra
le grasse risate degli alunni,... e dei colleghi! Ed egli finì con
l'accontentarsi di una residenza peggiore, pur d' insegnare ma¬
tematica e non più fisica. Non teme l'on. Ministro di generaliz¬
zare ora per tutta Italia un così poco edificante spettacolo?
Bisogna ben guardarsi dagli abbinamenti, che se possono
sedurre il Ministro del Tesoro per le economie che essi per¬
mettono nel bilancio, devono lasciare molto perplesso il Mini¬
stro dell'Istruzione. Economie che si realizzano col costringere
un professore ad insegnare quello che non sa, o che sa male,
non sono economie, perchè si risolvono in danno dell'insegna¬
mento per se stesso, e in danno di terzi, che sarebbero poi i
padri di famiglia, obbligati a pagare tasse non lievi, senza avere
la garanzia che ai propri figliuoli siano impartiti a dovere gl'in¬
segnamenti di cui abbisognano.
Non é che in teoria i decretati abbinamenti non siano pos¬
sibili : tutti gli abbinamenti sono possibili, anche quello, poniamo,
dal latino con la matematica. Ma occorre che l'insegnante sia in
precedenza convenientemente preparato a siffatto insegnamento
abbinato, e cioè che egli, nei corsi universitarii, abbia potuto
— 8 —
studiare e latino e matematiche. Altrimenti gli abbinamenti sono
inamissibili. Epperò, pur ammettendo il principio che si possa
addivenire a certi abbinamenti, è fuor di dubbio che ad essi non
si debba addivenire se non quando vi saranno insegnanti capaci
di assumere tali insegnamenti abbinati. Sino a quel momento
dovranno essere, logicamente, sospesi gli abbinamenti decretati,
che potranno poi attuarsi gradatamente, man mano che si potrà
disporre d'insegnanti adatti. Giacché è vano dare importanza ai
concorsi testé banditi per materie abbinate. Il matematico potrà
pur vincere il concorso per le cattedre di Matematica e Fisica,
ma resterà pur sempre matematico; solo potranno utilizzarsi i
pochi provveduti di laurea mista in Fisica e Matematica. E d'altra
parte le falangi di professori di matematica di Liceo e di Istituto
Tecnico, ora in servizio, come s'improvviseranno mai professori
di Fisica ?
Ma anche negli abbinamenti occorre seguire un criterio lo¬
gico, criterio logico che non ci par di trovare nella decretata
riforma in quanto p. es. concerne l'insegnamento della Geografia.
Infatti nella scuola complementare, nel Ginnasio inferiore, nei
corsi inferiori dell'Istituto Tecnico, nei corsi inferiori dell'Istituto
Magistrale, troviamo la geografia abbinata con l'italiano e la sto¬
ria, e con l’italiano, il latino e la storia; nel Liceo femminile
con la storia, la filosofia e l'economia politica; nel Liceo clas¬
sico, con le Scienze Naturali e la Chimica; nei corsi superiori
dell'Istituto Tecnico con le Scienze Naturali; nei corsi superiori
dell’Istituto Magistrale con le Scienze Naturali e l'igiene, sotto il
nome di " Scienze geografiche „, e con le Scienze Naturali, anche
col nome di “ Scienze geografiche „, nel Liceo scientifico. Ma si
tratta di una sola geografia, della comune geografia insegnata
sinora nei Ginnasi e negl’istituti Tecnici e Scuole Tecniche, o si
tratta di varie geografie ? Quella dei corsi inferiori, e anche delle
scuole complementari e del Liceo femminile, è per avventura
soltanto geografia antropica, politica e storica, e invece quella
dei corsi superiori è geografia fisica e biologica, e magari anche
astronomica? Se così fosse l'abbinamento con le Scienze Natu¬
rali sarebbe possibile; ma in caso contrario, e cioè se fosse sem¬
pre la stessa rifrittura sul modello dell'insegnamento della geo¬
grafia che sino ad ora si è impartito nei Ginnasi, sarebbe un
surménage per l'insegnante di Scienze, che si troverebbe anche
fuori posto. Occorrerebbe che la questione fosse chiarita, e ad
ogni modo restiamo con la speranza che i prossimi programmi
mettano le cose a posto.
E che dire poi dello stranissimo abbinamento inventato per
le scuole complementari ? Nientemeno matematica, scienze na¬
turali e... computisteria! Passi pure per la matematica, quando
si avranno professori capaci d'insegnare, con precisione di con¬
cetti, sia pure elementari, e matematica e Scienze Naturali; ma
la computisteria non ha proprio nulla che vedere nè con la
Matematica nè con le Scienze Naturali, e non è nemmeno di¬
gnitoso che un tale insegnamento sia assunto da un laureato.
Occorre che la computisteria, costituisca un insegnamento a
sè, dato, sia pure, per incarico.
In conclusione l'abbinamento con le scienze fisiche e natu¬
rali di altre discipline, se applicato subito, non potrà dare che
risultati disastrosi per 1' insegnamento, abbassando anche mag¬
giormente il livello scientifico della Nazione. Chiarita la questione
della geografia, ed eliminata la computisteria, esso potrà anche
essere col tempo, e gradatamente, attuato; ma non prima che si
siano formati, non con improvvisati concorsi, ma con adeguati
studi, che essi dovranno seguire nelle Università, gl'insegnanti
adatti.
* *
Tuttavia, in ultimo, non nascondiamo la grande perplessità
in cui ci lascia tutta intera la riforma dell'on. Gentile, anche se le
proposte dei ritocchi sopra accennati venissero accolte. Già scar¬
sissima era la cultura fisico-naturalistica della Nazione con mag¬
gior numero di scuole, con maggior numero di adatti insegnanti,
con una maggiore estensione, nelle scuole di tutti i gradi, di un
tale insegnamento scientifico. Che cosa avverrà ora, con le scuole
molto diminuite di numero, gli insegnanti in buona parte non
adatti, e lo stesso insegnamento ridotto come estensione e come
intensità? E se pochi erano coloro che si davano agli studi di
Scienze Naturali, pur essendo maggiore la possibilità di trovare
occupazione, non diventeranno, ora, pochissimi, o addirittura rari?
10 -
Non solo, ma coloro che si recheranno a studiare Scienze nelle
Università, preoccupati di mettersi in grado di poter ottenere
un posto con insegnamenti abbinati, preferiranno certo le lauree
miste, di cui si dovrà, per forza dì cose, avere una estesa fiori¬
tura, e diserteranno i Laboratori, o per lo meno saranno co¬
stretti a rinunziare a qualsiasi indagine scientifica.
Così rabbassamelo del livello scientifico della nostra Na¬
zione si andrà rapidamente accentuando, e non sarà lontano il
tempo in cui, come già una volta, sarà necessario ricorrere nuo¬
vamente agli stranieri per affidar loro, nelle nostre Facoltà di
Scienze, cattedre e posti di aiuto. Non teme Ton. Gentile che la
sua riforma ci porterà a questo risultato? Noi sì, lo temiamo
ortemente.
Finito di stampare il 10 dicembre 1923.
Colosi G. — Una specie fossile di Gerionide (Decapodi brachiuri) pag. 248
Perret F. — Su di una « emanazione » « forza vitale effluente »
finoggi non dimostrata ....... „ 256
ZiRPOLO G. — Sull'azione delle basse temperature sullo sviluppo
del Zoobotryon pellucidum Ehrbg .... „ 263
Caroli E. — Di una specie italiana di Typhlocarìs (T. salentina n.
sp.) con osservazioni morfologiche e biologiche sul genere „ 265
COMUNICAZIONI VERBALI
Cavara F. — Fecondazione a distanza in Ginkgo biloba Linn. e
in Araucaria Bidw illi Hook. ..... pag. 3
Signore F. - Il bradisismi in relazione coll'attività vulcanica dei
Campi flegrei . „ 6
Zirpolo G. — • Caso di atrofia del cieco epatico dorso- cefalico in
una Phyllirhoe bucephala Peron et Leseur . . ff 7
Colomba G. — Su di un caso di cleistogamia d eWOrchis macu¬
lata L . „ 9
Colomba G. — Su di un caso teratologico in un Citrus linwnum
v. digitata Risso . . „ 13
RENDICONTI DELLE TORNATE
(PROCESSI VERBALI)
Processi verbali delle tornate 1923 . pag. ili
Consiglio direttivo per l’anno '924 ... . , . „ xxvil
Elenco dei socii . . xxix
Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio e in dono. . „ iìl-xm
Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti.
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Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al
SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ’
Dr. Prof. Fr. Sav. Monticelli presso la Sede
R. Università — Via Federico II di Svezia
Prezzo del presente volume L. 100
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